IN QUESTO NUMERO

DECRETO RILANCIO: CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO ART. 25

Di seguito (si veda articolo “IN DUE MESI DI LOCKDOWN FORZATO PERSI QUASI 4,4 MILIARDI DI LITRI DI CONSUMI”) si…

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“DOPO” COVID-19 CAMBIERÀ (E NON IN MEGLIO) IL TREND DEI CONSUMI

Di vendite e consumi di carburanti per autotrazione nel periodo di più stretta emergenza sanitaria ed in termini spiccioli quantitativi…

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Nota informativa
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TRA FILOSOFARE E (SOPRAV)VIVERE: PACATE RIFLESSIONI

TRA FILOSOFARE E (SOPRAV)VIVERE: PACATE RIFLESSIONI

Interrogato in aula su quali provvedimenti il Governo intenda assumere nei confronti dei rapporti commerciali e contrattuali della categoria dei gestori, il Ministro PATUANELLI risponde citando la risoluzione DE TOMA, per aggiungere che, in ogni caso, checché ne consegua dalle iniziative adottande in conseguenza della medesima risoluzione, «Le citate iniziative, invero, dovranno tener conto degli obiettivi previsti nel Piano integrato per l’energia e il clima italiano (Pniec) che, nella stesura definitiva inviata alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE) 2018/ 1999, contiene indicazioni di sviluppo del settore dei trasporti verso la elettrificazione della mobilità. Occorrerà, quindi, garantire la transizione verso la de-carbonizzazione dell’economia con un adeguato sviluppo delle infrastrutture per i carburanti alternativi e per la ricarica elettrica, che potranno vedere partecipi anche gli attuali segmenti della distribuzione dei carburanti tradizionali, appositamente ristrutturati».

Il testo di quanto sopra narrato è disponibile in formato PDF cliccando col mouse sul seguente titolo:

INTERROGAZIONE PATUANELLI E RISPOSTA

L’interpretazione che ne è stata data, grosso modo, è la seguente: in ogni caso, ciò che conta e che si va verso l’elettrico, discutere ancora del fossile è forse ormai cosa fuori tempo e forse anche un tantino oziosa, poco significativa.

E su questo ragionamento dell’elettrico, o dell’alternativo al fossile, pare fondato l’intero dibattito nazionale ed europeo, con precise linee di indirizzo.

Pazienza se forse servirebbe una certa maggiore cautela ed un pizzico di “neutralità” energetica, nonché un complesso ragionamento su “come” e con “cosa” gestire la transizione, dal momento che la trasformazione, a solo titolo di esempio, del parco circolante comporta risolvere il problema che senza una politica di incentivi al rinnovo dello stesso ne diventa difficilissima la conversione. Con cosa si finanzieranno incentivi che, per la loro ampiezza, comporterebbero investirvi l’intero attuale prelievo fiscale sui tradizionali carburanti fossili, non è chiaro, come non è chiaro come venga sostituito sul piano delle risorse l’attuale gettito erariale da questi derivante. Pazienza: a volte (anzi spesso), l’impazienza ideologica a volte ha la meglio sulle considerazioni di praticabilità.

Come che sia, sempre su questo aspetto del parco circolante, uno studio dello scorso anno redatto da UNIONE PETROLIFERA (sarà magari un po’ datato, la nuova crisi economica incombente, dovuta alla pandemia COVID-19, ne condizionerà il passo, altri mutamenti nel modo di vivere e lavorare alla luce dell’esperienza di lockdown – ne parliamo di seguito in questo stesso numero – sono in atto, ecc.), stimava un cambiamento significativo che avrebbe portato, per calare la cosa nel concreto, nel giro di dieci-quindici anni a venire, a cancellare la domanda di benzina e gasolio nell’ordine almeno di due terzi della domanda consolidata. Una rivoluzione totale di prospettiva.

Per chi fosse intenzionato a documentarsi di più, ne alleghiamo il testo, ricco di numeri ed ipotesi, consultabile e scaricabile cliccando col mouse sul successivo titolo:

STIME UP DOMANDA PETROLIFERA 2019 2040

Non sono mancate in questi tempi grami, contraddistinti dalla gravissima crisi di liquidità delle gestioni stradali ed autostradali determinata dalla restrizione della mobilità che ha causato il crollo verticale delle vendite e l’interruzione del circuito primario compro-vendo, anche visioni (qualcuno le chiama accuse) di tipo vagamente complottistico: eliminare i gestori, ossia le microimprese della distribuzione carburanti, per «penalizzare i combustibili fossili a vantaggio dell’elettrico», con una “infiltrazione” che «occupa livelli apicali del Ministero ormai dall’inizio della legislatura con la calata dei crociati dell’elettrico, favoriti dal campo lasciato loro libero da un settore petrolifero in disarmo e disgregato dal suo stesso interno». Salvo, peraltro, dire, e giustamente, che, se questo fosse l’intento «si può sempre cominciare dalla cima della filiera del petrolio» e non dall’anello più debole.

Complotto o meno, quel che sembra più plausibile in queste vicende è che si tratti di superficialità, di palese indifferenza a considerare chi è esposto negativamente ai cambiamenti (peccati gravi), di quell’atteggiamento di chi dice che quando si taglia il tronco, chi se ne importa delle schegge che volano, nonché di burocratica ergonomìa: con tante cose da fare per cambiare rotta, non serve perdere tempo per situazioni ormai superate dalla storia.

Vi è poi una consolidata tendenza a voler risolvere le questioni da un punto di vista totalizzante, talmente “generale” da perdere di vista i particolari e la diversa collocazione tra gli attori della commedia: le grandi “regìe” – che si parli di illegalità o di ristrutturazione, di “compattamento” del settore -, i tavoli ecumenici che avrebbero la finalità di “mettere tutto a posto una volta per tutte”.

Esperienza ci dovrebbe aver insegnato che poi non è mai esattamente così: non solo è lunghissimo e difficilissimo mettere “tutto a posto”, ma soprattutto ad essere inafferrabili sono le cose che riguardano chi in questo settore vive e lavora dalla prospettiva di chi guarda, non per sua colpa, questo mondo dal basso in alto.

Certo una ristrutturazione della rete è (era) indispensabile, ma non sfugge neppure che essa non è (non era) sufficiente a redistribuire erogato ridando efficienza ad un numero minore di impianti, né (di questi tempi in cui di petrolio son piene le fosse, ed anche dei tempi futuri che vanno verso decise riconversioni delle fonti), senza cambiamenti del quadro contrattuale e commerciale entro cui si definisce il rapporto fornitori-gestori, né risulta sufficiente a combattere l’illegalità che si suppone solo allignata dentro la rete “marginale”.

E tutto ciò, comunque, senza neppure considerare appunto che andremo verso una transizione guidata “dall’alto” che renderà il vecchio modello di rete, anche quello tra virgolette efficiente, superato.

E che, per finire, mentre si discute di tutto ciò (ossia, potremmo dire senza ironia, dei “massimi sistemi”), sempre per esperienza, si allontana sempre il momento di ragionare della categoria facendone anzi un momento sempre più remoto, intangibile e sempre subalterno a mille altre “emergenze” ovvero a mille altri “tavoli totali”.

E, per tornare al fatto raccontato all’inizio, la sparizione (o la sua relegazione dietro le quinte) della risoluzione De Toma è, sommai, una controprova di quanto appena detto. Una risoluzione che era partita esattamente “occupandosi dei gestori” con il giusto rilievo al quadro contrattuale ed al suo rinnovamento. Evidentemente “troppo”, se poi alla fine il testo, non gradito dalle controparti del settore per principio, o per frettolosità e pregiudizio, è stato asciugato esattamente in questa componente, lasciandone solo un vaghissimo accenno, una generica ed anodina petizione di “buoni princìpi”, giusto per “accontentare la carta”.

Per chi voglia ricordare, di seguito alleghiamo le due versioni, del “prima” e del “poi”, consultabili come sempre cliccando col mouse sui seguenti titoli:

RISOLUZIONE DE TOMA ORIGINARIA

RISOLUZIONE DE TOMA FINALE  

Fin qui, se vogliamo, abbiamo parlato del “filosofare”.

Ma i gestori devono poter “vivere” o, almeno, “sopravvivere”, o almeno vedersi riconosciuta una dignità per il restante tempo, più o meno durevole, in cui il settore manterrà alcune caratteristiche attuali mentre si avvierà verso una drastica trasformazione.

Come si è più volte detto, questo è un settore “speciale” in cui vi sono leggi “speciali”, che pur essendo nate, ai tempi, per garantire anche il ruolo della categoria, sono basate su una sorta di “finzione giuridica”, per cui si considera formalmente impresa una attività che sostanzialmente non lo é. Ci riferiamo all’anomalia palese, rispetto ad ogni altro settore commerciale, che non dissimilmente dal nostro, vede la presenza di microimprese e piccole imprese, della totale assenza di autonomia nella filiera del prezzo.

Numerose liberalizzazioni – ritenute sempre necessarie ad evitare altre asimmetrie (ad esempio tra operatori preesistenti e nuovi ingressi sul mercato), o a favorire la concorrenza nei prezzi, o una supposta tutela del consumatore, o più semplicemente a favorire evoluzioni funzionali agli interessi dei soggetti forti del comparto – si sono succedute senza mai toccare il “fondo del barile”, là dove invece esattamente il rapporto di totale dipendenza economica è la regola, e senza aver neppure bisogno di dover citare le situazioni border line, il “caporalato” od altro ancora.

In un mercato sempre più aperto (aperto anche all’illegalità) e concorrenziale, è stato sempre più difficile mantenere quella “garanzia” del margine che aveva strutturato il rapporto contrattuale tra aziende e gestori.

Ed esattamente in questo contesto, è sempre risultato più difficile conciliare la funzione di coloro – le associazioni di rappresentanza – che dovevano garantire, sottoscrivendo accordi in nome e per conto dei gestori, accordi che “toccano direttamente il portafoglio” -, il margine dei medesimi dalle tempeste del mercato, della concorrenza, delle dinamiche degli erogati, insomma, la sostenibilità economica delle gestioni.

Questo ruolo forzato di garanzia sempre più difficile, il peggioramento progressivo del mercato, la indisponibilità delle controparti ad affrontare una revisione del quadro contrattuale, ad adeguare margini entro il quadro tradizionale degli accordi, a condizionare le trattative esclusivamente alle proprie unilaterali politiche commerciali del momento, ha reso il ruolo delle organizzazioni sempre più distante dalla capacità di creare cultura di impresa, quella cultura che fa crescere gli operatori, offre servizi e consulenze atte a realizzare uno scopo economico funzionale alla gestione di una impresa, che in qualche misura li affranca dallo stato di subalternità integrale, senza peraltro poter neppure offrire, in alternativa, la tutela tipica del lavoratore dipendente.

Di qui la marcata crisi di rappresentanza, il proliferare della disaffezione e di un vero e proprio “antagonismo” – spesso semplificatorio e “messianico”, spesso come reazione di sterile rigetto – all’interno della categoria.

Da questi nodi veri partiva l’originale risoluzione De Toma, per impostare una gamma di soluzioni (poi del tutto “annebbiate” purtroppo dal crivello delle controparti) che andavano 1) dalla tutela dei contratti tradizionali per fissare un minimo di tutela e di giustificazione economica a chi voleva rimanere nel vecchio schema del comodato-esclusiva, 2) alla protezione di quanti erano fuori dall’ombrello dei vecchi contratti a seguito della dismissione della rete di major che avevano lasciato il mercato spacchettando i loro asset, fino a 3) forme di sostanziale innovazione rispetto al quadro “storico”, senza escludere gradualità e pluralità simultanea delle impostazioni contrattuali.

Quale era l’innovazione? Detto in parole povere, puntare ad una distinzione tra prezzo e disponibilità dei beni, reali od immateriali, aziendali altrui (la maggior parte dei gestori è in regime di comodato dell’impianto).

Nel configurare un affitto di ramo d’azienda per la parte strutturale e marchio a sé stante, il prodotto invece dovrebbe essere ceduto dal fornitore a prezzi allineati alle forniture extrarete di norma da esso effettuate, lasciando al gestore, rivenditore terminale al pubblico, la effettiva (reale non formale) determinazione del prezzo di vendita al consumatore finale. Il regime delle forniture dovrebbe contemplare ancora il permanere dell’esclusiva e di un tanto si dovrebbe tenere conto nella determinazione del valore dell’affitto di ramo d’azienda scorporato dal prezzo.

Nessuna espropriazione, ma semmai il comune interesse delle due parti a stare sul mercato in condizioni di concorrenza sostenibile, con l’obiettivo di rimuovere una asimmetria che è purtroppo del tutto limitata (tranne pochissime eccezioni) a questo settore, e che è evidentemente la vera causa della totale assenza di autonomia gestionale e commerciale, della “ghettizzazione speciale” del gestore, indegna di un ordinaria “civiltà commerciale”. E con una realistica potenzialità di tenere sotto controllo il dilagare dell’illegalità sul piano di una concorrenza legale e diffusa attuata sinergicamente sul piano degli interessi comuni e reali.

Sono considerazioni quelle qui svolte del tutto pacate, senza polemiche né supponenza alcuna. Come già detto, non si ha la pretesa di avere la verità in tasca, né di dare per scontato il quadro delle difficoltà, la necessità del dialogo nel settore e con la politica e le istituzioni – e proprio per evitare che la vita delle persone e delle imprese sia abbandonata all’indifferenza dei decisori, dei “filosofi dei massimi sistemi”, nella totale assenza di rispetto delle “schegge” che volano! -, ma si ha il diritto, anzi più che altro il dovere, di immaginare qualcosa di diverso.

Cominciare ad affrontare le cose partendo da una nuova creazione del mondo che ridisegni un nuovo puzzle di tutti i tasselli immaginabili è un gioco che altri ci toglierebbero dalle mani; cercare di fare al meglio ciò che richiede il proprio ruolo – specie se lo si esercita per conto di altri con dirette conseguenze sulla loro pelle –, anche se è solo una parte piccola del mondo, forse è ragionevolmente più appropriato. E neppure così riusciremo ancora, se non forse in prospettiva, a risolvere il problema immediato (dell’ora e dell’adesso) del sopravvivere. Magari siamo ingenui o fuori strada o fuori di testa, magari è troppo tardi. Soprattutto, però sarà troppo tardi se non ci avremo almeno provato. [Bruno BEARZI – G.M.]

DECRETO RILANCIO: CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO ART. 25

Di seguito (si veda articolo “IN DUE MESI DI LOCKDOWN FORZATO PERSI QUASI 4,4 MILIARDI DI LITRI DI CONSUMI”) si riferisce di una diminuzione dei consumi di carburanti per il mese di aprile 2020 rispetto allo stesso mese del 2019 nell’ordine del 65 %, tracollo che nel circuito della rete distributiva pubblica (escluso, cioè, il circuito extrarete) arriva addirittura al 69-70 %.

Con un diretto aggancio a tale notiziasi segnala quanto previsto nelle pieghe del Decreto Legge “Rilancio, del 19 maggio 2020, n. 34nell’articolo 25 del provvedimento, che istituisce il c.d. “Contributo a fondo perduto” esente da tassazione e riservato a soggetti che svolgono attività d’impresa e di lavoro autonomo con ricavi o compensi nel periodo d’imposta 2019 non superiori a 5 milioni di euro.

Il contributo a fondo perduto

-spetta se i ricavi o compensi dell’aprile 2020 risultano inferiori di oltre un terzo rispetto a quelli realizzati nell’aprile 2019 (ossia, come condizione minima, la perdita sia almeno pari al 34 %)

-viene assegnato secondo tre distinte classi di volume dei ricavi o compensi conseguiti nel 2019, cioè fino a 400mila euroda oltre 400mila a 1 milione di euroda oltre 1 milione e fino al massimo di 5 milioni di euro;

a seconda della classe quantitativa, il contributo a fondo perduto, con una progressività inversa rispetto al volume dei ricavi o compensi, ammonta al 20 % della perdita aprile 2020 su aprile 2019 nella classe fino a 400mila euro; al 15 % della perdita aprile 2020 su aprile 2019 nella classe da oltre 400mila e fino a 1 milione di euro; al 10 % della perdita aprile 2020 su aprile 2019 classe da oltre 1 milione e fino al massimo di 5 milioni di euro.

L’istanza per il contributo viene effettuata in via telematica o direttamente dal soggetto richiedente o attraverso gli intermediari fiscali consueti (il commercialista, l’organizzazione di categoria, il CAF, od altro) e contiene oltre ai dati del soggetto, le informazioni che verranno richieste in ordine sia alla sussistenza dei requisiti per godere del contributo (classe di fatturato, diminuzione dello stesso aprile su aprile), sia alla l’autocertificazione di regolarità antimafia.

Sarà l’Agenzia delle Entrate a comunicare la data di avvio della fase di presentazione delle istanze, che potranno essere presentate fino al termine ultimo di sessanta giorni da tale data.

L’accredito del contributo verrà effettuato direttamente dall’Agenzia delle Entrate sul conto corrente bancario o postale del beneficiario.

Non si tratta, dunque – detto con chiarezza -, per ovvie ragioni tecniche, di un sostegno cash e disponibile subito (il decreto legge è ancora in corso di esame parlamentare – mentre, si stanno elaborando dalle Associazioni emendamenti proattivi e migliorativi per la categoria di cui daremo notizia nei prossimi giorni sul sito nazionale FIGISC -, la piattaforma deve essere allestita dall’Agenzia delle Entrate ed il lasso temporale per la presentazione delle istanze è di 60 giorni), ma per la nostra categoria ha comunque un valore per nulla trascurabile in un momento come questo, e nel futuro dei prossimi mesi, con gravi criticità di ogni tipo per le gestioni dei punti vendita carburanti.

A titolo di esempio, assumiamo un impianto di distribuzione carburanti che abbia un erogato di 100.000 litri nell’aprile 2019, con un mix di prodotti del 58 % di vendite di gasolio, 38 % di benzina e 4 % di gpl: con i prezzi medi dell’aprile 2019 (che erano più alti del 14-15 % di quelli dell’aprile 2020) tale impianto effettuava in tale mese vendite per circa 151.000,00 euro, IVA compresa.

Le perdite medie nazionali dell’aprile 2020 sullo stesso mese del 2019 sono (secondo i dati nazionali di cui in premessa di questo articolo) nell’ordine del 68,5 % e fanno presumere – si tratta naturalmente di un esempio – che le vendite ammontino in volume a 31-32.000 litri ed in valore a 41-42.000,00 euro (secondo i prezzi medi aprile 2020un aspetto, quella della variazione in ribasso dei prezzi, non rilevante in quanto il testo normativo si riferisce a “valori economici” e non a “volumi di beni ceduti).

La perdita di ricavi al netto di IVA sarebbe di circa 90.000,00 euro (in volume di 68.000 litri).

Un punto vendita da 100.000 litri al mese equivale – ma stiamo sempre facendo un esempio astratto – a un erogato annuo di 1.200.000 litricon il mix di prodotti di cui sopra (58 % di vendite di gasolio, 38 % di benzina e 4 % di gpl) e coi prezzi medi del 2019 dei tre prodotti, il valore economico equivale a circa 1,776 milioni di eurosiamo nella classe di ricavi da oltre 1.000.000,00 e fino a 5.000.000,00 di euro, e spetta un valore del contributo pari al 10 % della perdita aprile 2020 su aprile 2019.

Nell’esempio di cui sopra, tale perdita è di circa 90.000,00 euro e pertanto l’ammontare del contributo a fondo perso vale circa 9.000,00, esenti da imposta in quanto non costituenti base imponibile per l’anno 2020.

Di seguito, l’attuale testo dell’articolo 25 del Decreto Legge:

Articolo 25 Decreto “Rilancio” (D.L. 19 maggio 2020, n. 34)

Contributo a fondo perduto

«1.Al fine di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid-19“, è riconosciuto un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, di seguito testo unico delle imposte sui redditi.

2.Il contributo a fondo perduto di cui al comma 1 non spetta, in ogni caso, ai soggetti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell’istanza di cui al comma 8, agli enti pubblici di cui all’articolo 74, ai soggetti di cui all’articolo 162-bis del testo unico delle imposte sui redditi e ai contribuenti che hanno diritto alla percezione delle indennità previste dagli articoli 27, e 38 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, nonché ai lavoratori dipendenti e ai professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103.

3.Il contributo spetta esclusivamente ai titolari di reddito agrario di cui all’articolo 32 del citato testo unico delle imposte sui redditi, nonché ai soggetti con ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, lettere a) e b), del medesimo testo unico delle imposte sui redditi, o compensi di cui all’articolo 54, comma 1, del medesimo testo unico delle imposte sui redditi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

4.Il contributo a fondo perduto spetta a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Al fine di determinare correttamente i predetti importi, si fa riferimento alla data di effettuazione dell’operazione di cessione di beni o di prestazione dei servizi. Il predetto contributo spetta anche in assenza dei requisiti di cui al presente comma ai soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019 nonché ai soggetti che, a far data dall’insorgenza dell’evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19.

5.L’ammontare del contributo a fondo perduto è determinato applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019 come segue:

a) venti per cento per i soggetti con ricavi o compensi indicati al comma 3 non superiori a quattrocentomila euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto;

b) quindici per cento per i soggetti con ricavi o compensi indicati al comma 3 superiori a quattrocentomila euro e fino a un milione di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto;

c) dieci per cento per i soggetti con ricavi o compensi indicati al comma 3 superiori a un milione di euro e fino a cinque milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

6.L’ammontare del contributo a fondo perduto é riconosciuto, comunque, ai soggetti di cui al comma 1, beneficiari del contributo ai sensi dei commi 3 e 4, per un importo non inferiore a mille euro per le persone fisiche e a duemila euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

7.Il contributo di cui al presente articolo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rileva altresì ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, e non concorre alla formazione del valore della produzione netta, di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

8.Al fine di ottenere il contributo a fondo perduto, i soggetti interessati presentano, esclusivamente in via telematica, una istanza all’Agenzia delle entrate con l’indicazione della sussistenza dei requisiti definiti dai precedenti commi. L’istanza può essere presentata, per conto del soggetto interessato, anche da un intermediario di cui all’articolo 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 delegato al servizio del cassetto fiscale dell’Agenzia delle entrate o ai servizi per la fatturazione elettronica. L’istanza deve essere presentata entro sessanta giorni dalla data di avvio della procedura telematica per la presentazione della stessa, come definita con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, di cui al comma 10.

9.L’istanza di cui al comma 8 contiene anche l’autocertificazione che i soggetti richiedenti, nonché i soggetti di cui all’articolo 85, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non si trovano nelle condizioni ostative di cui all’articolo 67 del medesimo decreto legislativo n. 159 del 2011. Per la prevenzione dei tentativi di infiltrazioni criminali, con protocollo d’intesa sottoscritto tra il Ministero dell’interno, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate sono disciplinati i controlli di cui al libro II del decreto legislativo n. 159 del 2011 anche attraverso procedure semplificate fermo restando, ai fini dell’erogazione del contributo di cui al presente articolo, l’applicabilità dell’art. 92 commi 3 e seguenti del citato decreto legislativo n. 159 del 2011, in considerazione dell’urgenza connessa alla situazione emergenziale. Qualora dai riscontri di cui al periodo precedente emerga la sussistenza di cause ostative, l’Agenzia delle entrate procede alle attività di recupero del contributo ai sensi del successivo comma 12. Colui che ha rilasciato l’autocertificazione di regolarità antimafia é punito con la reclusione da due anni a sei anni. In caso di avvenuta erogazione del contributo, si applica l’articolo 322-ter del codice penale. L’Agenzia delle entrate e il Corpo della Guardia di finanza stipulano apposito protocollo volto a regolare la trasmissione, con procedure informatizzate, dei dati e delle informazioni di cui al comma 8, nonché quelle relative ai contributi erogati, per le autonome attività di polizia economico-finanziaria di cui al decreto legislativo n. 68 del 2001.

10.Le modalità di effettuazione dell’istanza, il suo contenuto informativo, i termini di presentazione della stessa e ogni altro elemento necessario all’attuazione delle disposizioni del presente articolo sono definiti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

11.Sulla base delle informazioni contenute nell’istanza di cui al comma 8, il contributo a fondo perduto é corrisposto dall’Agenzia delle entrate mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al soggetto beneficiario. I fondi con cui elargire i contributi sono accreditati sulla contabilità speciale intestata all’Agenzia delle entrate n.1778 “Fondi di Bilancio“. L’Agenzia delle entrate provvede al monitoraggio delle domande presentate ai sensi del comma 8 e dell’ammontare complessivo dei contributi a fondo perduto richiesti e ne dà comunicazione con cadenza settimanale al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

12.Per le successive attività di controllo dei dati dichiarati si applicano gli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, anche a seguito del mancato superamento della verifica antimafia, l’Agenzia delle entrate recupera il contributo non spettante, irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 e gli interessi dovuti ai sensi dell’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in base alle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 421 a 423, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Si rendono applicabili le disposizioni di cui all’articolo 27, comma 16, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché, per quanto compatibili, anche quelle di cui all’articolo 28 del decreto 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Per le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

13.Qualora successivamente all’erogazione del contributo, l’attività d’impresa o di lavoro autonomo cessi o le società e gli altri enti percettori cessino l’attività, il soggetto firmatario dell’istanza inviata in via telematica all’Agenzia delle entrate ai sensi del comma 8 é tenuto a conservare tutti gli elementi giustificativi del contributo spettante e a esibirli a richiesta agli organi istruttori dell’amministrazione finanziaria. In questi casi, l’eventuale atto di recupero di cui al comma 12 é emanato nei confronti del soggetto firmatario dell’istanza.

14.Nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’articolo 316-ter del codice penale.

15.Agli oneri di cui al presente articolo, valutati in 6.192 milioni di euro per l’anno 2020, si provvede ai sensi dell’articolo 265.»

“DOPO” COVID-19 CAMBIERÀ (E NON IN MEGLIO) IL TREND DEI CONSUMI

Di vendite e consumi di carburanti per autotrazione nel periodo di più stretta emergenza sanitaria ed in termini spiccioli quantitativi ci occupiamo nel successivo articolo di questo stesso numero di FIGISC ANISA NEWS. Ma per il momento ci poniamo un primo interrogativo su quello che sarà un presumibile trend per il prossimo futuro alla luce dei drastici cambiamenti operati dalla pandemia e dalle misure adottate per contrastarla nel modo di vivere e lavorare della gente.

Su quel che è andato perduto, in termini di volumi, durante il lockdown ed in previsione della grave crisi economica susseguente (un calo del 15 % del PIL nel primo semestre), si può senz’altro, anche solo in via intuitiva, convenire con quanto afferma il presidente di UNIONE PETROLIFERA: che, cioè, i volumi 2019 della domanda petrolifera per il settore trasporti sono ormai in via del tutto definitiva irrecuperabili.

Ciò che è andato perso, lo è per sempre e non è replicabile in virtù di qualche straordinario shock reattivo di recupero, né psicologico nelle propensioni di consumo, né reale sul piano economico o sociale.

Al netto dei noti indirizzi politico-ideologici comunitari e nazionali del digital & green e diventati asse di intervento per la ripartenza dalla crisi verso lo sviluppo economico basato sulla sostenibilità ambientale – «Il Green Deal europeo e la digitalizzazione favoriranno l’occupazione e la crescita, la resilienza delle nostre società e la salute del nostro ambiente. Questo è il momento dell’Europa. La nostra volontà di agire deve essere all’altezza delle sfide che stiamo affrontando. Con Next Generation EU (N.d.R.: il Piano della ripresa di 750 miliardi di euro, di cui 173 all’Italia, presentato il 27 maggio) forniamo una risposta ambiziosa» ha dichiarato Ursula VON DER LEYEN -, al netto di ciò che, almeno per ora riguarda i “piani alti” della politica salvo domani riguardare tutti, la forzata trasformazione delle modalità della vita quotidiana vissuta in questi mesi ha aperto, quasi svelato, possibilità prima non tenute in considerazione.

Usiamo le parole di altri per definire meglio questi concetti.

In un articolo pubblicato su STAFFETTA QUOTIDIANA il 22.05, Riccardo PIUNTI sostiene che «Lo smart working, alias “lavoro agile” come lo chiamano i nostri legislatori, è stato il protagonista silenzioso della pandemia Covid-19 ma sarà la più importante conseguenza della stessa».

Spiega in dettaglio Piunti (ed è certo difficile non concordare con le sue osservazioni:

«Mi riferisco alla gran massa degli impiegati (di elevato grado o meno) che, causa pandemia, sono stati, in questi mesi, per la prima volta nella loro vita e in quella dell’azienda, obbligati a casa e al lavoro via computer, via web, via intranet, via Skype, Zoom. Facciamoci qualche domanda: Come mai le grandi aziende, in Italia, tardano a riaprire i battenti dei loro uffici? come mai c’è chi programma di farlo a settembre, magari dopo un lento avvio a piccoli scaglioni? Come mai non sembrano aver fretta alcuna? Come mai non negoziano ma accettano apparentemente in modo passivo che la più lieve malattia registrata, in altri tempi, dal medico competente si trasformi oggi in un tempo indefinito di ostracismo dall’ufficio del dipendente che ne è affetto? Basta a rispondere a queste domande la consapevolezza che la cassa integrazione straordinaria in atto (peraltro non ovunque), se prorogata, può fare gola ad alcune aziende con i loro pletorici uffici? Basta a capire le motivazioni di questa mancanza di ansia alla riapertura il fatto che regole e le circolari dell’Inail potrebbero mettere in difficoltà anche l’azienda più rigorosa? Probabilmente no, probabilmente le aziende hanno scoperto, involontariamente che lo smart working funziona, risolve l’assenteismo dei genitori di figli piccoli, non crea problemi di comunicazione (o almeno così pare), non vincola né danneggia l’operatività degli uffici; si risparmia tempo di andata e ritorno, non si perde tempo al caffè, non c’è l’esodo del pranzo… e tutto continua miracolosamente a funzionare.

Cosa ne conseguirà, quando la pandemia sarà debellata e si tornerà alla normalità? Che ogni direttore o amministratore delegato d’azienda, piccola o grande, prima di autorizzare una missione a Milano, Roma o Londra o Parigi (con taxi, treno/aereo, taxi, bar, pranzo, e, se del caso, hotel) ci penserà molto bene e finirà per controproporre, in alternativa, un bel meeting con Zoom o Teams. Che ogni dirigente sindacale vorrà valorizzare il proprio ruolo nel negoziare le nuove regole dello smart working da estendere a una parte rilevante dei dipendenti, puntando stipulare accordi aziendali o nazionali e portare ai dipendenti dell’azienda un bonus economico per la tenuta ufficio a casa. Che tutte le attività di formazione aziendale verranno vincolate al web, evitando programmazione, incastri, interferenze con il lavoro ordinario che l’aula, inevitabilmente genera. Che le mamme o i papà con figli si attiveranno, alla prima occasione, per richiedere lo smart working e gestire i propri figli a casa fino a “n” anni… risparmiando babysitter, accompagni e stress. Che l’azienda che programma il cambio uffici per scadenza affitto o altro, punterà a ridurre spazi e stanze su cui impegnarsi nel lungo termine con affitti onerosi, incrementando la quota dei “senza ufficio”. Che le aziende del settore digitale si attiveranno, dinnanzi al mercato nascente, per creare piattaforme sempre migliori di contatto virtuale, convention online, esposizioni via internet. Che, perché no?, si potrà con soddisfazione rilevare che il traffico di autoveicoli e i consumi di carburante caleranno e la relativa produzione di CO2 diminuirà di conserva

Scenari per nulla fantascientifici e anzi del tutto plausibili: non è certo la prima volta che ciò che è inaspettatamente intervenuto a turbare l’ordine consueto delle cose abbia poi determinato non già un repentino ritorno, per reazione, alla consuetudine, quanto piuttosto una graduale adozione e diffusione delle nuove modalità di essere e lavorare.

Analoghe considerazioni, sulla stessa testata e nella stessa data, sono state sviluppate da Giovanni Battista ZORZOLI: «Probabilmente gran parte dei cambiamenti comportamentali acquisiti durante il lockdown andranno a far parte del repertorio dei ricordi con cui in futuro molti tedieranno i nipotini. Esito opposto avranno quasi certamente il maggiore ricorso allo smart working e agli acquisti online, con effetti non marginali in termine di mobilità, consumi energetici, tasso di socializzazione, mentre meno certe sono le possibili ricadute sui trasporti a lunga distanza, in particolare aerei».

Con particolare dovizia di dati, Zorzoli prosegue così la sua analisi: «Da un’indagine di Fondirigenti (attiva nella formazione dei dirigenti di azienda) risulta che nella fase pre-coronavirus le aziende italiane utilizzatrici dello smart working erano il 39% al Nord, il 42% al Centro e il 36% al Sud, ma coinvolgevano mediamente il 28% dei lavoratori. Durante l’emergenza, il 30,75% l’ha adottato per una piccola parte dei lavoratori, il 47,97% per una buona parte e il 18,57% per tutti. Solo meno del 3% non ha quindi fatto ricorso ad alcuna misura di smart working. Inoltre, la newsletter di I-Com del 15 maggio riporta i risultati di un sondaggio: tra i dipendenti che hanno avuto accesso a questa tipologia di lavoro, prevale la propensione a continuarla, una volta superata l’emergenza, in particolare per i risparmi economici, di tempo e di stress, derivanti dal tragitto casa-lavoro.

La riduzione dei costi dovuta alla contrazione dello spazio lavorativo, dei consumi connessi alla presenza dei dipendenti in ufficio e degli eventuali oneri per il pasto, anche le imprese troveranno conveniente il proseguimento del lavoro a distanza. Un’ulteriore conferma viene da sondaggi come quello effettuato da Bva Doxa su 635 Pmi di vari settori: il 58% di chi ha adottato per i propri dipendenti misure di smart-working crede che questa misura continuerà anche in futuro».

Zorzoli non manca di sottolineare anche uno specifico riferimento al mondo dell’e-commerce in una prospettiva anche internazionale: «Bastano due dati a descrivere la crescita degli acquisti online durante l’emergenza Covid-19. Ad aprile Amazon solo negli Stati Uniti ha assunto altri 175.000 dipendenti, ripartiti tra chi lavora nei grandi magazzini merci della società e chi è addetto alle consegne. Secondo Netcomm, il consorzio del commercio digitale italiano, il 77% di chi vende online avrebbe acquisito nuovi clienti durante le settimane di blocco legate all’emergenza. Di fronte a cambiamenti di queste dimensioni, non è credibile che gli acquisti online ritornino ai livelli antecedenti. Incerto sarà il “quanto”, non il “se».

In sostanza «La maggiore diffusione dello smart working porterà a una riduzione del traffico automobilistico nelle ore di punta, mentre quella degli acquisti online aumenterà lungo tutta la giornata la circolazione dei furgoni; con il primo effetto quantitativamente più rilevante del secondo. Ne conseguirà anche una modifica nel mix dei prodotti petroliferi, destinata a sovrapporsi a quella indotta dai trend degli ultimi anni, in particolare dall’adozione del GNL nel trasporto pesante su strada e dal vincolo più stringente (mediamente 95 g CO2/km), posto alle emissioni dall’Unione Europea».

Nonostante si possa considerare che, sul breve, sia le attuali restrizioni e diminuzioni della mobilità sul mezzo pubblico (dimezzamento dei posti per distanziamento sociale), sia il perdurante timore del contagio, possano aver attivato, dal 4 maggio in poi con il graduale allentamento delle misure di blocco, la conversione dal mezzo pubblico a quello privato con una limitata riaccensione dei consumi, sia la crisi economica – di cui ci si renderà pienamente conto man mano che il tempo avanza – che il diffondersi di nuove modalità di comportamento, determineranno una riduzione dei consumi ben più consistente, che andrà ad aggiungersi a quanto definitivamente perduto nelle nebbie del lunghissimo lockdown.

IN DUE MESI DI LOCKDOWN FORZATO PERSI QUASI 4,4 MILIARDI DI LITRI DI CONSUMI

Avevamo anticipato su FIGISC ANISA NEWS N. 004/2020 del 27 aprile le seguenti considerazioni sulle conseguenze del prolungato lockdown del Paese sui consumi di carburanti: “Per il mese di aprile, secondo UNIONE PETROLIFERA ‘le prime stime … per benzina e gasolio per il trasporto passeggeri indicano un calo del 75%, rispetto allo stesso mese dello scorso anno, mentre per il gasolio destinato al trasporto merci di quasi il 50%’. Il che, aggiungendovi anche una stima sui consumi di gpl, dovrebbe sviluppare un computo di 2,556 miliardi di litri contro i 3,933 dell’aprile 2019 (consumi sommati benzina, gasolio e gpl), con un deficit di 2,556 miliardi di litri e del 64,99 %. La perdita per due mesi, pertanto, sarebbe dell’ordine di 4,337 miliardi di litri, ossia del 9,2 % sui volumi di consumi calcolati dal MiSE per l’anno 2019.

Previsioni invero del tutto confermate dalla pubblicazione da parte del MiSE in data 14.05 dei consumi provvisori per il mese di aprile.

Nel confronto col mese di aprile 2019, infatti, i consumi totali di benzina, gasolio e gpl, sono calati di circa 2,596 miliardi di litri (da 3,972 a 1,376) e del 65,37 %; i consumi di gasolio hanno perduto 1,644 miliardi di litri (da 2,678 a 1,034) e 61,38 punti percentuali, quelli di benzina sono caduti di 771 milioni di litri (da 1.045 a 274) e di 73,76 punti percentuali e quelli di gpl hanno perso 182 milioni di litri (da 249 a 67) ed il 72,99 %.

Le perdite rispetto ad aprile 2019 nel circuito della rete ammontano a 1,634 miliardi di litri (da 2,351 a 0,717) ed a 69,49 punti percentuali per la somma di benzina e gasolio, e, nel dettaglio, la benzina perde 585 milioni di litri (da 799 a 213) e 73,30 punti percentuali, il gasolio cala di 1.049 milioni di litri (da 1.553 a 504) e del 67,53 %; nel circuito extrarete sono andati persi 781 milioni di litri (da 1.371 a 591) ed il 56,91 % per la somma di benzina e gasolio, e, sempre in dettaglio, il calo della benzina è di 185 milioni di litri (da 246 a 61) e di 75,27 punti percentuali, mentre quello del gasolio è pari a 595 milioni di litri (da 1.125 a 530) ed al 52,89 %.

Nel confronto col dato progressivo gennaio-aprile 2019, i consumi totali di benzina, gasolio e gpl, sono calati di circa 4,331 miliardi di litri (da 15,167 a 10,837) e del 28,55 %; i consumi di gasolio hanno perduto 2,814 miliardi di litri (da 10,347 a 7,533) e 27,20 punti percentuali, quelli di benzina sono diminuiti di 1.238 milioni di litri (da 3.872 a 2,633) e di 31,99 punti percentuali e quelli di gpl hanno perso 278 milioni di litri (da 949 a 671) ed il 29,31 %.

I decrementi rispetto ad aprile 2019 nel circuito della rete ammontano a 2,694 miliardi di litri (da 8,903 a 6,208) ed a 30,26 punti percentuali per la somma di benzina e gasolio, e, nel dettaglio, la benzina perde 927 milioni di litri (da 2.974 a 2.046) e 31,18 punti percentuali, il gasolio cala di 1.767 milioni di litri (da 5.929 a 4.162) e del 29,80 %; nel circuito extrarete sono andati persi 1.359 milioni di litri (da 5.316 a 3.957) ed il 25,56 % per la somma di benzina e gasolio, e, sempre in dettaglio, il calo della benzina è di 311 milioni di litri (da 898 a 587) e di 34,66 punti percentuali, mentre quello del gasolio è pari a 1.047 milioni di litri (da 4.418 a 3.370) ed al 23,71 %.

In sintesi, se nel mese di marzo, con un lockdown ancora incompleto, la perdita sullo stesso mese del 2019 è stato nell’ordine del 45 %, ad aprile tale perdita è stata del 65 %in tutto, 1,781 miliardi di litri a marzo più 2,596 miliardi di litri ad aprile, fanno 4,377 miliardi di litri effettivi nel bimestre contro i 4,337 miliardi di litri da noi previsti (een passant, 3,295 miliardi di euro in meno di accise ed IVA sulle accise, più l’IVA sul prezzo industriale).

E sempre in tema di vendite, i dati MiSE del primo trimestre pubblicati il 20.05, evidenziano,  nel confronto tra il 2020 ed il 2019 solo per il periodo gennaio-marzo, nel particolare contesto del lockdown imposto al Paese dalla epidemia COVID-19 le seguenti grandezze significative:

  • le vendite complessive di benzina, gasolio e gplnel periodo gennaio-marzo 2020 sono pari a 8,247 miliardi di litri contro i 9,767 dello stesso periodo 2019, con una variazione negativa assoluta di -1.519,9 milioni di litri ed una variazione di -15,56 punti percentuali;
  • le vendite complessive di benzina, gasolio e gplnel periodo gennaio-marzo 2020 nel circuito della rete sono pari a 4,605 miliardi di litri contro i 5,441 dello stesso periodo 2019, con una variazione negativa assoluta di -835,9 milioni di litri ed una variazione di -15,36 punti percentuali;
  • le vendite complessive di benzina, gasolio e gplnel periodo gennaio-marzo 2020 nel circuito extrarete sono pari a 3,642 miliardi di litri contro i 4,326 dello stesso periodo 2019, con una variazione negativa assoluta di -683,9 milioni di litri ed una variazione di -15,81 punti percentuali;
  • le vendite complessive di benzina e gasolio nel periodo gennaio-marzo 2020 nel circuito della rete – segmento rete ordinariasono pari a 4,145 miliardi di litri contro i 4,854 dello stesso periodo 2019, con una variazione negativa assoluta di -708,4 milioni di litri ed una variazione di -1,60 punti percentuali;
  • le vendite complessive di benzina e gasolio nel periodo gennaio-marzo 2020 nel circuito della rete – segmento rete autostradalesono pari a 189,7 milioni di litri contro i 272,5 dello stesso periodo 2019, con una variazione negativa assoluta di -82,8 milioni di litri ed una variazione di -30,39 punti percentuali;
  • le vendite complessive di benzina, gasolio e gplnel periodo gennaio-marzo 2020 sono ripartite secondo le seguenti quote: benzina 22,32 % [nello stesso periodo 2019 pari al 22,73 %], gasolio 70,33 % [nello stesso periodo 2019 pari al 70,11 %], gpl 7,35 % [nello stesso periodo 2019 pari al 7,16 %];
  • le vendite complessive di benzinanel periodo gennaio-marzo 2020 sono ripartite secondo le seguenti quote: rete 72,47 % [nello stesso periodo 2019 pari al 70,69 %], extrarete 27,53 % [nello stesso periodo 2019 pari al 29,31 %];
  • le vendite complessive di gasolionel periodo gennaio-marzo 2020 sono ripartite secondo le seguenti quote: rete 51,74 % [nello stesso periodo 2019 pari al 51,94 %], extrarete 48,26 % [nello stesso periodo 2019 pari al 48,06%];
  • le vendite complessive di gplnel periodo gennaio-marzo 2020 sono ripartite secondo le seguenti quote: rete 44,60 % [nello stesso periodo 2019 pari al 45,04 %], extrarete 55,40 % [nello stesso periodo 2019 pari al 54,96 %];
  • le vendite complessive di benzina, gasolio e gplnel periodo gennaio-marzo 2020 sono ripartite secondo le seguenti quote: rete 55,84 % [nello stesso periodo 2019 pari al 55,71 %], extrarete 44,16 % [nello stesso periodo 2019 pari al 44,29 %];
  • le vendite complessive sommate di benzina e gasolio nel circuito della retenel periodo gennaio-marzo 2020 sono ripartite tra i segmenti secondo le seguenti quote: rete ordinaria 95,62 % [nello stesso periodo 2019 pari al 94,68 %], rete autostradale 4,38 % [nello stesso periodo 2019 pari al 5,32 %].

I dati, per prodotti, in rete ed extrarete, su base regionale e provinciale, contenuti nella nostra  pubblicazione NEWSLETTER VENDITE CONSUMI N. 081/2020 del 30.05, sono scaricabili e consultabili in formato PDF cliccando col mouse sul titolo seguente:

NEWSLETTER VENDITE_081_2020_DATI_PROV_GEN_MAR_2020_VS_2019

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