“DOPO” COVID-19 CAMBIERÀ (E NON IN MEGLIO) IL TREND DEI CONSUMI

Di vendite e consumi di carburanti per autotrazione nel periodo di più stretta emergenza sanitaria ed in termini spiccioli quantitativi ci occupiamo nel successivo articolo di questo stesso numero di FIGISC ANISA NEWS. Ma per il momento ci poniamo un primo interrogativo su quello che sarà un presumibile trend per il prossimo futuro alla luce dei drastici cambiamenti operati dalla pandemia e dalle misure adottate per contrastarla nel modo di vivere e lavorare della gente.

Su quel che è andato perduto, in termini di volumi, durante il lockdown ed in previsione della grave crisi economica susseguente (un calo del 15 % del PIL nel primo semestre), si può senz’altro, anche solo in via intuitiva, convenire con quanto afferma il presidente di UNIONE PETROLIFERA: che, cioè, i volumi 2019 della domanda petrolifera per il settore trasporti sono ormai in via del tutto definitiva irrecuperabili.

Ciò che è andato perso, lo è per sempre e non è replicabile in virtù di qualche straordinario shock reattivo di recupero, né psicologico nelle propensioni di consumo, né reale sul piano economico o sociale.

Al netto dei noti indirizzi politico-ideologici comunitari e nazionali del digital & green e diventati asse di intervento per la ripartenza dalla crisi verso lo sviluppo economico basato sulla sostenibilità ambientale – «Il Green Deal europeo e la digitalizzazione favoriranno l’occupazione e la crescita, la resilienza delle nostre società e la salute del nostro ambiente. Questo è il momento dell’Europa. La nostra volontà di agire deve essere all’altezza delle sfide che stiamo affrontando. Con Next Generation EU (N.d.R.: il Piano della ripresa di 750 miliardi di euro, di cui 173 all’Italia, presentato il 27 maggio) forniamo una risposta ambiziosa» ha dichiarato Ursula VON DER LEYEN -, al netto di ciò che, almeno per ora riguarda i “piani alti” della politica salvo domani riguardare tutti, la forzata trasformazione delle modalità della vita quotidiana vissuta in questi mesi ha aperto, quasi svelato, possibilità prima non tenute in considerazione.

Usiamo le parole di altri per definire meglio questi concetti.

In un articolo pubblicato su STAFFETTA QUOTIDIANA il 22.05, Riccardo PIUNTI sostiene che «Lo smart working, alias “lavoro agile” come lo chiamano i nostri legislatori, è stato il protagonista silenzioso della pandemia Covid-19 ma sarà la più importante conseguenza della stessa».

Spiega in dettaglio Piunti (ed è certo difficile non concordare con le sue osservazioni:

«Mi riferisco alla gran massa degli impiegati (di elevato grado o meno) che, causa pandemia, sono stati, in questi mesi, per la prima volta nella loro vita e in quella dell’azienda, obbligati a casa e al lavoro via computer, via web, via intranet, via Skype, Zoom. Facciamoci qualche domanda: Come mai le grandi aziende, in Italia, tardano a riaprire i battenti dei loro uffici? come mai c’è chi programma di farlo a settembre, magari dopo un lento avvio a piccoli scaglioni? Come mai non sembrano aver fretta alcuna? Come mai non negoziano ma accettano apparentemente in modo passivo che la più lieve malattia registrata, in altri tempi, dal medico competente si trasformi oggi in un tempo indefinito di ostracismo dall’ufficio del dipendente che ne è affetto? Basta a rispondere a queste domande la consapevolezza che la cassa integrazione straordinaria in atto (peraltro non ovunque), se prorogata, può fare gola ad alcune aziende con i loro pletorici uffici? Basta a capire le motivazioni di questa mancanza di ansia alla riapertura il fatto che regole e le circolari dell’Inail potrebbero mettere in difficoltà anche l’azienda più rigorosa? Probabilmente no, probabilmente le aziende hanno scoperto, involontariamente che lo smart working funziona, risolve l’assenteismo dei genitori di figli piccoli, non crea problemi di comunicazione (o almeno così pare), non vincola né danneggia l’operatività degli uffici; si risparmia tempo di andata e ritorno, non si perde tempo al caffè, non c’è l’esodo del pranzo… e tutto continua miracolosamente a funzionare.

Cosa ne conseguirà, quando la pandemia sarà debellata e si tornerà alla normalità? Che ogni direttore o amministratore delegato d’azienda, piccola o grande, prima di autorizzare una missione a Milano, Roma o Londra o Parigi (con taxi, treno/aereo, taxi, bar, pranzo, e, se del caso, hotel) ci penserà molto bene e finirà per controproporre, in alternativa, un bel meeting con Zoom o Teams. Che ogni dirigente sindacale vorrà valorizzare il proprio ruolo nel negoziare le nuove regole dello smart working da estendere a una parte rilevante dei dipendenti, puntando stipulare accordi aziendali o nazionali e portare ai dipendenti dell’azienda un bonus economico per la tenuta ufficio a casa. Che tutte le attività di formazione aziendale verranno vincolate al web, evitando programmazione, incastri, interferenze con il lavoro ordinario che l’aula, inevitabilmente genera. Che le mamme o i papà con figli si attiveranno, alla prima occasione, per richiedere lo smart working e gestire i propri figli a casa fino a “n” anni… risparmiando babysitter, accompagni e stress. Che l’azienda che programma il cambio uffici per scadenza affitto o altro, punterà a ridurre spazi e stanze su cui impegnarsi nel lungo termine con affitti onerosi, incrementando la quota dei “senza ufficio”. Che le aziende del settore digitale si attiveranno, dinnanzi al mercato nascente, per creare piattaforme sempre migliori di contatto virtuale, convention online, esposizioni via internet. Che, perché no?, si potrà con soddisfazione rilevare che il traffico di autoveicoli e i consumi di carburante caleranno e la relativa produzione di CO2 diminuirà di conserva

Scenari per nulla fantascientifici e anzi del tutto plausibili: non è certo la prima volta che ciò che è inaspettatamente intervenuto a turbare l’ordine consueto delle cose abbia poi determinato non già un repentino ritorno, per reazione, alla consuetudine, quanto piuttosto una graduale adozione e diffusione delle nuove modalità di essere e lavorare.

Analoghe considerazioni, sulla stessa testata e nella stessa data, sono state sviluppate da Giovanni Battista ZORZOLI: «Probabilmente gran parte dei cambiamenti comportamentali acquisiti durante il lockdown andranno a far parte del repertorio dei ricordi con cui in futuro molti tedieranno i nipotini. Esito opposto avranno quasi certamente il maggiore ricorso allo smart working e agli acquisti online, con effetti non marginali in termine di mobilità, consumi energetici, tasso di socializzazione, mentre meno certe sono le possibili ricadute sui trasporti a lunga distanza, in particolare aerei».

Con particolare dovizia di dati, Zorzoli prosegue così la sua analisi: «Da un’indagine di Fondirigenti (attiva nella formazione dei dirigenti di azienda) risulta che nella fase pre-coronavirus le aziende italiane utilizzatrici dello smart working erano il 39% al Nord, il 42% al Centro e il 36% al Sud, ma coinvolgevano mediamente il 28% dei lavoratori. Durante l’emergenza, il 30,75% l’ha adottato per una piccola parte dei lavoratori, il 47,97% per una buona parte e il 18,57% per tutti. Solo meno del 3% non ha quindi fatto ricorso ad alcuna misura di smart working. Inoltre, la newsletter di I-Com del 15 maggio riporta i risultati di un sondaggio: tra i dipendenti che hanno avuto accesso a questa tipologia di lavoro, prevale la propensione a continuarla, una volta superata l’emergenza, in particolare per i risparmi economici, di tempo e di stress, derivanti dal tragitto casa-lavoro.

La riduzione dei costi dovuta alla contrazione dello spazio lavorativo, dei consumi connessi alla presenza dei dipendenti in ufficio e degli eventuali oneri per il pasto, anche le imprese troveranno conveniente il proseguimento del lavoro a distanza. Un’ulteriore conferma viene da sondaggi come quello effettuato da Bva Doxa su 635 Pmi di vari settori: il 58% di chi ha adottato per i propri dipendenti misure di smart-working crede che questa misura continuerà anche in futuro».

Zorzoli non manca di sottolineare anche uno specifico riferimento al mondo dell’e-commerce in una prospettiva anche internazionale: «Bastano due dati a descrivere la crescita degli acquisti online durante l’emergenza Covid-19. Ad aprile Amazon solo negli Stati Uniti ha assunto altri 175.000 dipendenti, ripartiti tra chi lavora nei grandi magazzini merci della società e chi è addetto alle consegne. Secondo Netcomm, il consorzio del commercio digitale italiano, il 77% di chi vende online avrebbe acquisito nuovi clienti durante le settimane di blocco legate all’emergenza. Di fronte a cambiamenti di queste dimensioni, non è credibile che gli acquisti online ritornino ai livelli antecedenti. Incerto sarà il “quanto”, non il “se».

In sostanza «La maggiore diffusione dello smart working porterà a una riduzione del traffico automobilistico nelle ore di punta, mentre quella degli acquisti online aumenterà lungo tutta la giornata la circolazione dei furgoni; con il primo effetto quantitativamente più rilevante del secondo. Ne conseguirà anche una modifica nel mix dei prodotti petroliferi, destinata a sovrapporsi a quella indotta dai trend degli ultimi anni, in particolare dall’adozione del GNL nel trasporto pesante su strada e dal vincolo più stringente (mediamente 95 g CO2/km), posto alle emissioni dall’Unione Europea».

Nonostante si possa considerare che, sul breve, sia le attuali restrizioni e diminuzioni della mobilità sul mezzo pubblico (dimezzamento dei posti per distanziamento sociale), sia il perdurante timore del contagio, possano aver attivato, dal 4 maggio in poi con il graduale allentamento delle misure di blocco, la conversione dal mezzo pubblico a quello privato con una limitata riaccensione dei consumi, sia la crisi economica – di cui ci si renderà pienamente conto man mano che il tempo avanza – che il diffondersi di nuove modalità di comportamento, determineranno una riduzione dei consumi ben più consistente, che andrà ad aggiungersi a quanto definitivamente perduto nelle nebbie del lunghissimo lockdown.

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