AUTOSTRADA, TRAFFICO & PEDAGGI: IL BANCO VINCE SEMPRE !

Ritorniamo su una citazione già comparsa su Figisc Anisa News N. 15 del 25.09.2018, che riguarda il tema del traffico e dei pedaggi. Sosteneva STAFFETTA del 07.09.2018 che “sarebbero stati accordati” ai concessionari “aumenti anticipati dei pedaggi per finanziare il piano di investimenti che è peraltro in forte ritardo”. Sull’argomento era già intervenuto il CORRIERE DELLA SERA (29.08.2018), che, in tema, scriveva che “Gli investimenti in manutenzione… risultano inferiori al programma iniziale di circa il 70% … anche se quella stima comprende opere preventivate nel 2007 ma non ancora realizzate come la gronda di Genova e gli allacciamenti sulla A7-A10-A12, e mai partiti per i ritardi delle istituzioni”.

Al di là di come stiano effettivamente le cose sul nesso pedaggi-investimenti, ci occupiamo di meglio comprendere come funzionano i meccanismi di “adeguamento tariffario” (ossia gli aumenti dei pedaggi corrisposti per l’accesso della rete autostradale), meccanismi che sono codificati nelle convenzioni delle concessioni e per l’intera durata delle stesse, nonché “santificati”, ossia validati già in sede di stipula della convenzione dal “timbro” del Ministero competente che sulle concessioni esercita l’attività di vigilanza, con procedure previste da delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).

All’origine vi sono un piano finanziario ed un business plan di gestione: i ricavi, e specificamente quelli derivanti dal pagamento dei pedaggi, sono infatti “tarati” per la copertura degli investimenti, dei vari costi ed infine per la remunerazione del capitale, come per ogni ordinaria attività d’impresa di rilevante portata. Determinato a monte il “quantum” che, nel tempo di durata della concessione, serve realizzare per coprire investimenti, costi e remunerazione del capitale – e tenendo anche conto di altre variabili come il tasso di inflazione – dal momento che tale “quantum” è prodotto dal traffico che percorre la rete autostradale, cioè dai pedaggi, una politica tariffaria consisterebbe normalmente nell’adattare flessibilmente il valore del pedaggio alle dinamiche del traffico: se il traffico aumenta, il pedaggio può non aumentare o aumentare in misura minore, se il traffico diminuisce vale l’opposto.

La prima differenza, se vogliamo chiamarla così – e non è differenza da poco -, da un mercato “normale” è che si tratta di un sistema in certo qual modo “garantito” dal fatto che si sta parlando di “tariffe” e non già di “prezzi, ossia, secondo la comune accezione, mentre i prezzi seguono logiche di domanda ed offerta in condizioni di concorrenza, le tariffe sono sostanzialmente imposte (in regime monocratico) e non trattabili.

La seconda differenza è che l’adeguamento delle tariffe dei pedaggi non è esattamente dipendente dai volumi del traffico. Infatti, se si vanno a vedere le convenzioni, si scopre che l’adeguamento delle tariffe (in altre parole le dinamiche incrementali dei pedaggi), sulla base del loro ammontare del 2012, è una variabile dipendente da tre fattori: a) recupero delle dinamiche inflattive (riconosciuto al 70 %); b) un parametro, definito “X”, di attualizzazione dei ricavi rispetto ai costi; c) un parametro, definito “K”, relativo al “calcolo del costo medio ponderato del capitale”.

Quanto pesano le tre componenti nel complesso dell’aumento è presto detto: per il periodo totale 2013-2022, il recupero dell’inflazione vale il 37 % dell’intero aumento, il parametro X vale il 56 % e il 7 % il parametro K, nel quinquennio 2013-2017 i valori si discostano di poco (39 % il recupero dell’inflazione, 55 % parametro X e 6 % parametro K). Ma l’applicazione dei predetti tre parametri sommati comporta che, ad esempio, dal 2013 al 2022 l’incremento delle tariffe (ossia dei pedaggi al netto di IVA) risulti pari al 32,96 % sulla tariffa del 2012 ed al 17,81 % nel periodo più ristretto dal 2013 al 2017, sempre sulla tariffa del 2012, e, se si vuole andare sino alla scadenza della concessione (anno 2038), l’incremento previsto è pari ad un +57,3 % sul 2012…

In quest’ottica, pertanto, le dinamiche del traffico risultano, entro certi limiti, ininfluenti, dal momento che l’adeguamento è automaticamente predeterminato in aumento, così che variazioni in diminuzione del traffico in una quota percentuale che non superi quella dell’aumento delle tariffe sono in grado di garantire comunque al concessionario quanto meno la parità di introiti. Peraltro, le stime del traffico – ipotizzate al tempo dal concessionario (e validate dal Ministero) – risultano, rispetto al 2012, per il quinquennio 2013-2017 “in rosso” (ossia se ne prevede un calo) nell’ordine cumulato di circa 2,0-2,5 punti percentuali (un dato da confrontare, si ricordi, con un aumento di 17,5-18,0 punti percentuali della tariffa di pedaggio), così come il tasso di inflazione nel quinquennio 2013-2017 è stimato cumulativamente nell’ordine di un +9,90 %.

A circostanza attenuante, si consideri pure che le stime sono, certamente almeno per il traffico, datate, e, soprattutto, influenzate dalle dinamiche del tempo (si ricordi il “tonfo” del traffico del 2012…). Come siano andate le cose è però un altro film: l’inflazione cumulata nel quinquennio è risultata di molto inferiore (due-tre punti, al massimo cinque-sei computando anche il 2012, contro quasi dieci stimati), da un lato, e, dall’altro, il traffico nel quinquennio si è incrementato (dati AISCAT per la concessione di cui si parla) di oltre 7,5 punti percentuali contro una stima di decremento di 2,0-2,5 punti (un miglior risultato consuntivo con una “forbice” di 10 punti percentuali sul risultato stimato). Tale sbilanciamento in positivo del traffico (e senza neppure considerare l’effetto sulle tariffe del recupero più che “generoso” delle dinamiche dell’inflazione) significa che l’utenza di veicoli leggeri e pesanti sulle tratte in concessione ha pagato, con le tariffe via via aumentate, un valore, IVA compresa, di circa un miliardo di euro in più di quanto stimato!

Torna, quindi, con di più una stima in valore, quanto asserito nel citato articolo del CORRIERE del 29.08.2018, in merito a “volumi di traffico sottostimati rispetto agli effettivi ricavi derivanti da pedaggio”. E si allunga con una nuova voce la lista delle cose che non vanno (delle royalty e del loro ammontare si è già parlato abbastanza in questo stesso numero).

Ci si potrebbe chiedere se questo buon risultato del traffico, che ha generato introiti superiori a quelli già preventivati, possa essere recuperato, nell’interesse del consumatore-utente, attraverso la mitigazione degli aumenti futuri della tariffa di pedaggio… Ossia, se le cose sono andate bene, le tariffe potrebbero aumentare meno o non aumentare affatto in funzione dei maggiori introiti. Non è però affatto così. Il cosiddetto “beneficio economico finanziario” derivante dagli scostamenti per maggior traffico viene consuntivato ogni cinque anni e viene incamerato; tutt’al più, se si verifica una variazione in più superiore al 5 % (è il caso del quinquennio 2013-2017), la parte che eccede il 5 % (cioè c’è una “franchigia” per il concessionario del 5 % + il 50 % della parte eccedente) viene, limitatamente al 50 %, accantonata in un fondo vincolato che “a richiesta del Concedente dovrà essere utilizzato per il finanziamento di nuovi interventi autostradali sulla rete in concessione”, mentre gli adeguamenti (cioè gli aumenti del pedaggio) previsti dal piano tariffario andranno automaticamente e regolarmente avanti come niente fosse. Insomma, se il traffico diminuisce, l’eventuale minore introito viene assicurato dagli incrementi tariffari automatici, se il traffico aumento, il maggiore introito resta in cassa. Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto.

Curioso davvero questo sistema delle concessioni autostradali, in cui il rendimento [o, meglio, remunerazione del capitale investito o chiesto a prestito del/dal concessionario (“costo ponderato del capitale”, o “WACC”, sulle cui intricate formule finanziarie non è qui il caso di diffondersi)] arriva a due cifre, rendimento, cioè, di tutto rispetto e tipico di mercati in cui la remunerazione dell’investitore è proporzionata al rischio dell’investimento, eppure vi si opera in un mercato “garantito” in cui funzionano “tariffe” imposte e non ordinarie dinamiche di rischio d’impresa ed in cui, come ben dimostra la storia del nesso tra pedaggi e traffico, comunque vada, “il banco vince sempre”… [g.m.]

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