IL «COSTO DEL SERVITO» SU QUOTIDIANO ENERGIA
— 7 Giugno 2015«Quanto può costare il servizio?».
È quello che si chiede sul numero di giovedì 4 u.s. QUOTIDIANO ENERGIA, di cui pubblichiamo [g.c.] i passaggi salienti:
<<Esiste un massimo al sovrapprezzo che il gestore può praticare se il cliente si avvale della modalità di acquisto con servizio? Dalla rubrica di QE FOCUS Prezzi Carburanti si ricavano interessanti informazioni.
La differenza dei prezzi fra il self e il servito per la benzina è compresa fra 4,3 centesimi di TAMOIL e 15,4 centesimi di Q8. ENI-AGIP ha una differenza di 8,7 cent, ESSO 8,3, TOTALERG 6,7.
Si possono trovare tuttavia situazioni in cui la differenza supera i 20 centesimi al litro che onestamente appare una cifra svincolata dall’effettivo valore della prestazione data. Se ne potrebbe dedurre che il prezzo che la compagnia indica al gestore è quello per la modalità self e che per quello con servizio il gestore decida in autonomia in funzione della conoscenza che lo stesso ha della tipologia di clienti che pratica il proprio impianto.
Il diffondersi della modalità ghost [senza presenza del gestore] che alcune compagnie hanno implementato [TotalErg con Te24, Q8easy, IPmatic], non prevede questo doppio prezzo e in questi impianti non esiste quindi la possibilità di confusione per il cliente. La maggioranza dei punti vendita hanno però la doppia tipologia, che spesso si differenzia solo per la corsia in cui avviene il rifornimento. Onestamente, vista tale differenza di prezzo, non è il massimo di trasparenza per clienti distratti, stranieri, anziani.
Riprendo la domanda iniziale: le compagnie hanno definito un massimo per questo tipo di servizio?>>
In risposta agli interrogativi cominciamo col dire che non esiste proprio – né da oggi, né da ieri – che «il prezzo che la compagnia indica al gestore è quello per la modalità self e che per quello con servizio il gestore decida in autonomia in funzione della conoscenza che lo stesso ha della tipologia di clienti che pratica il proprio impianto».
Perciò – rispolverando vecchi fondamentali del settore che ormai dovrebbero essere arcinòti – si ribadisce che le compagnie, nel rapporto contrattuale col gestore [codificato nei vari accordi a partire dal Regolamento comunitario 2790/1999 CE, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate] indicano distintamente:
a) un «PREZZO RACCOMANDATO», sia per la modalità «self» che per la modalità «servito»;
b) un «PREZZO MASSIMO», sia per la modalità «self» che per la modalità «servito», che non deve superare di ben determinati valori il «prezzo raccomandato».
Quali sono grosso modo questi valori differenziali che possono essere addizionati al «prezzo raccomandato» da parte del gestore per raggiungere il «prezzo massimo» consentito? Sono notizie riservate di ciascun marchio, ma non abbiamo difficoltà a riferire che essi variano attorno a 0,005-0,007 euro/litro per le modalità in «self» ed a 0,010-0,015 euro/litro per le modalità in «servito».
Cosa succede se il gestore, decidendo «in autonomia in funzione della conoscenza che lo stesso ha della tipologia di clienti che pratica il proprio impianto», alza il prezzo oltre l’asticella del «prezzo massimo»? Che la compagnia procede ad una serie di contestazioni ad efficacia crescente, a penalizzazioni indirette sui margini, fino ad integrare, in caso di recidiva grave, la risoluzione del contratto in essere con il gestore, cioè – senza tanti giri di parole – a cacciarlo fuori dall’impianto.
Un tanto per dire che il prezzo – in «self» come in «servito» – è una scelta della compagnia che viene imposta al gestore che sta sull’impianto di proprietà della stessa che lo rifornisce con un rapporto di esclusiva ai prezzi di cessione – peraltro – che vuole lei.
Qualunque valore differenziale di prezzo si possa rilevare, dunque, tra le due modalità di servizio – si vada da quelle dei marchi che lo mantengono più contenuto [che superano di poco i 4 cent/litro] a quelle dei marchi che ne esasperano il divario [che superano valori di oltre 14 cent/litro, ma anche oltre], si sappia che si tratta di valori che trascendono di più volte, ed anche di molte volte, l’àmbito discrezionale del gestore di applicare quel «sovrapprezzo» – chiamiamolo così per comodità – che deve stare per forza tra il «prezzo raccomandato» ed il «prezzo massimo» [come abbiamo detto, non più di 1,0-1,5 cent/litro, e che il gestore dovrà in ogni caso valutare ben bene prima di/se applicare, in funzione del mercato di riferimento e della concorrenza, non essendone, cioè, per nulla scontata apriori l’applicazione].
In sintesi: a) alla domanda se «le compagnie abbiano definito un massimo per questo tipo di servizio?» la risposta è senz’altro ASSOLUTAMENTE SÌ; b) la risposta all’interrogativo se «per il prezzo con servizio il gestore decida in autonomia in funzione della conoscenza che lo stesso ha della tipologia di clienti che pratica il proprio impianto» è ASSOLUTAMENTE NO.
In relazione al fatto che «la maggioranza dei punti vendita ha la doppia tipologia, che spesso si differenzia solo per la corsia in cui avviene il rifornimento. Onestamente, vista tale differenza di prezzo, non è il massimo di trasparenza per clienti distratti, stranieri, anziani», va doverosamente fatto osservare che l’esposizione dei prezzi praticati sugli impianti soggiace a precise disposizioni normative [storia vecchia di più di vent’anni], da ultimo in forza del Decreto del Ministero dello sviluppo economico 17 gennaio 2013 [che reca «Modalità attuative delle disposizioni in materia di pubblicità dei prezzi praticati dai distributori di carburanti per autotrazione, di cui all’articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e di cui all’articolo 19 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27»], al cui articolo 2, comma 1, si legge che per «prezzi effettivamente praticati al consumo da esporre in modo visibile dalla carreggiata si intendono i prezzi per modalità di erogazione del carburante senza servizio, ove presenti, e i prezzi per modalità di erogazione con servizio».
Detto tutto ciò, rimane forse da dire se la domanda «giusta» sia non tanto «Quanto può costare il servizio?», ma piuttosto «Perché la differenza del prezzo “servito” è così elevata ed in certi casi addirittura “inspiegabile”?».
Questo ci permette di esprimere qualche sintetica considerazione, anche a costo di ripetere nel mezzo di tali considerazioni cose già scritte su precedenti numeri di Figisc Anisa News.
1. Quanto è diffuso il «servito».
Sono passati diciassette anni [era il secolo scorso!] dall’esordio della iniziativa ENI «fai da te»: in questi non pochi anni la spinta verso la selfizzazione [comunque effettuata e/o denominata di prepay, postpay, easy, matic, iperself] – che prima era legata solo al rifornimento «di emergenza» e notturno – ha cambiato radicalmente, sotto la motivazione potente e progressivamente crescente del «diverso prezzo», i comportamenti del consumatore, al punto da diventare, oggettivamente, una modalità «residuale».
Se prima del 2000, il self prepay poteva costare a volte persino più del servito [proprio per le sue caratteristiche peculiari (rifornimento «di emergenza» e notturno, come si è già detto)], da allora le differenze a favore del self sono diventate di 2 centesimi per avere un netto impulso dal 2007 in poi: 5, 8, 10 centesimi, per non parlare dei rifornimenti del week end a meno 20 centesimi dell’estate 2012. E, crisi purtroppo aiutando, ancor più il fattore prezzo è diventato l’elemento discriminante, superando le vecchie rigidità rispetto alla modalità di servizio diversa rispetto a cui l’automobilista era abituato «prima».
Quanto è diffuso il «servito»? Secondo calcoli ENI di qualche mese fa «su un totale di 28 milioni di automobilisti italiani, il 48% (13 milioni) sono quelli che cercano prevalentemente la convenienza senza servizio, il 28% non sono attenti né al prezzo né alla qualità, il 14% (4 milioni) sono coloro che non badano al prezzo e cercano il servizio e il 10% (3 milioni) sono coloro che cercano il servizio con un occhio al prezzo», ma ENI stessa stimava, già qualche anno fa, nel 2011, che, nel profilo della propria rete di proprietà, questa modalità potesse valere nel mix dei consumi – in un sistema basato su «servito», «self normale» ed «iperself» – mediamente non più del 21 % delle vendite di un impianto.
E, fuori dal campo delle petrolifere tradizionali, ricordiamo quel che riferì a marzo di quest’anno l’imprenditore di una grandissima pompa bianca [che vende quantità davvero strabilianti: «Per vendere quello che vendo io una compagnia dovrebbe assumere 50 dipendenti»], che in merito alle modalità di servizio disse testualmente: «L’85% dell’erogato lo vendiamo con il self».
Appunto, il «servito» è una modalità di vendita «residuale».
Esiste una possibilità, ancorché limitata, di parziale inversione della tendenza? Non occorre aver studiato alla Bocconi od alla LUISS per comprendere che un «revival» del «servito» non può essere affidato – pur tra tutte le escogitazioni/invenzioni di marketing possibili – a forme assai scarsamente compensative [fidelizzazioni, omaggi, servizi «di cortesia»] di una differenza troppo marcata nel prezzo tra le due modalità, che è l’unica cosa che percepisce immediatamente il consumatore; tentare di riposizionare parzialmente l’automobilista sul «servito» con operazioni fantasiose, ma non fondate sul prezzo, specie dopo anni di bombardamento in senso contrario, è francamente improbabile, tanto più se il divario del prezzo stesso viene esasperato.
2. Quanto è diverso il prezzo tra «self» e «servito».
I numeri del gap dei prezzi sono effettivamente quelli che riporta QUOTIDIANO ENERGIA, piuttosto che altre testate specialistiche del settore. Diciamo per brevità che il delta prezzo tra le due modalità sta tra nelle «pompe bianche» tra 0,025 e 0,030 euro/litro [ma sono rilevabili anche casistiche con nessuna differenza] e mediamente nei marchi petroliferi tradizionali si attesta su 0,084 euro/litro, con punte minime di 0,040 e punte massime di 0,140.
Ma se si va a guardare più in dettaglio, si scoprono differenze nei marchi petroliferi tra i prezzi minimi in «self» e la media dei prezzi in «servito» che non solo raggiungono 0,200 euro/litro, ma li superano anche abbondantemente [abbiamo visto, ad esempio, senza andare più in là dei dati di un giorno, uno 0,258 euro/litro di ENI e persino uno 0,288 euro/litro di Q8]: ce n’è ben donde per dare pienamente ragione a QUOTIDIANO ENERGIA sul fatto che «onestamente appare una cifra svincolata dall’effettivo valore della prestazione data».
E, infatti, che possa trovare diffusione nel’opinione comune l’idea che la differenza del prezzo del «servito» sia un problema di «valore della prestazione data» rappresenterebbe un gigantesco equivoco privo di qualunque fondamento ed estremamente insidioso e pericoloso, perché fuorvierebbe il consumatore sulle effettive cause del prezzo ed identificherebbe nel gestore – o nel modello gestionale – la causa di una situazione non giustificata in realtà da alcun «fondamentale» di natura economica.
Ad esempio: a) i margini percepiti dai gestori sul «servito» sono superiori a quelli percepiti sul «self» solo in un ordine di valori tra uno e due centesimi/litro, i margini interi sul «self» valgono circa tre centesimi nominali, salvo rinuncia ad una quota di questi per contribuire agli sconti di prezzo; b) il prodotto venduto, al netto delle imposte, ha sempre lo stesso prezzo di base; 3) i costi gestionali, logistici e distributivi delle compagnie petrolifere sono eguali sia per quello che esce in «servito» che per quello che esce in «self». Semmai ciò che è diverso è il margine medio che l’azienda vuole ricavare alla fine della giostra ed i differenti margini che vuole ricavare nell’una o nell’altra modalità.
Niente di tutto ciò, però, giustifica differenze di 8 centesimi/litro e certo men che mai di 20 o 30 centesimi/litro.
E allora perché queste differenze?
3. «Politiche» commerciali.
Le differenze stanno in quelle che sono le «politiche commerciali» delle aziende petrolifere – elemento variabile e mutevole nel tempo [come i fatti riferiti più sopra ben evidenziano] e spesso legato a cicli di vita effimeri in relazione all’andamento del mercato e delle sue brusche azioni e reazioni -, ed ancor più al raggiungimento di risultati [il margine medio che l’azienda vuole ricavare alla fine della giostra ed i differenti margini che vuole ricavare nell’una o nell’altra modalità, come abbiamo detto poco fa], perennemente tesi a conciliare il mettere al sicuro erogati [le famose «quote di mercato»] ed il tentare di conseguire migliori marginalità in una lunga fase di stress del mercato.
Insomma, se il prezzo in «self» serve alle compagnie petrolifere per conseguire il primo obiettivo [«quote di mercato»], quello sul «servito» servirebbe al secondo obiettivo [ovvero migliorare la «marginalità»].
Perché bisogna migliorare la marginalità? Perché sul mercato gli stessi che vendono prodotto sulla propria rete, lo vendono anche in «extrarete» a condizioni di cessione a terzi particolarmente vantaggiose e tali da poter fare, ritornando puntualmente sulla rete, una pesantissima concorrenza che sottrae margini e volumi.
Si è così avviato – pensando di ottenere presunti vantaggi su tutto il sistema distributivo – un circolo vizioso che costringe a rincorrere sulla rete i concorrenti – che sono stati forniti a prezzi stracciati dalle stesse compagnie petrolifere, dal mercato diverso dalle compagnie e di qualunque provenienza, dal sottobosco dei broker e financo, sembrerebbe, dall’illegalità! – con prezzi da «self» o «superself» che deprimono i margini, che poi però si cerca affannosamente di recuperare almeno in parte con un mix di aumenti sproporzionati dei prezzi nella modalità «servito» e di qualche barbatrucco di marketing.
Peraltro, per ottenere delle marginalità maggiori su quantitativi largamente minoritari [tali sono ormai i volumi di vendita del servito] si obbliga il gestore – si badi dopo averne tagliato i margini ordinari sulle vendite in «self» [evidentemente per «socializzare le perdite»] e continuando a chiedergli contributi più o meno rilevanti sugli sconti di prezzo! – a cercarsi un margine un po’ meno irrisorio sulla modalità «servito», tentando di vendere però prodotto al prezzo peggiore per il consumatore [la mission impossible] e, in taluni casi, proprio al prezzo premeditatamente peggiore di tutto il mercato. Per una opportuna valutazione è il caso di sottolineare che le marginalità che così si vorrebbero recuperare: a) sono da ottenere tutte a rischio e costo del gestore, b) intanto, al di là dei risultati, si «divide» con la proporzione di: una parte al gestore contro tre, quattro, sei o più parti, a seconda dei casi, alla compagnia.
Nello stesso tempo, per cercare di reagire alle sollecitazioni del mercato e mantenere comunque erogati, all’interno dello stesso marchio i prezzi sono fortemente diversificati tra impianti gestiti direttamente o ghostizzati ed impianti affidati al gestore, ed è proprio in questa precisa casistica – all’interno del singolo marchio – che si riscontrano quelle differenze, anche nell’ordine di 20-30 centesimi/litro, che prima abbiamo «incidentalmente» citato.
Ma se è comprensibile – per le ragioni della parte soccombente, per le logiche «sindacalesi», ecc. – che il parere del gestore sia assolutamente negativo su questa quantomeno «bizzarra» e sicuramente devastante situazione, le «politiche commerciali» delle compagnie, anche solo da un punto di vista che privilegi le strette logiche di mercato e dei risultati economici, risultano almeno competitive ed efficienti?
Abbiamo azzardato una risposta a conclusione della serie di articoli su «Prezzi & Accordi», che qui riproponiamo: rispetto alla parte del leone sui prezzi che svolgono i no-logo [riforniti in buona parte dall’industria petrolifera] «a parte casistiche relativamente “equilibrate” tra modalità “self” e “servito” – nelle quali si deve distinguere tra chi sta, diciamo, un po’ meglio messo e chi sta un po’ peggio messo rispetto al grado di competitività complessiva sulla rete [ma si tratta in ogni caso di competitività largamente inferiori a quelle dei no-logo anche per chi sta meglio messo] -, le altre situazioni denotano sempre una ridotta efficacia competitiva – e perfino l’inefficacia più completa – o nell’una o nell’altra modalità di servizio, che si rilevano o insufficientemente od integralmente inefficaci sul “servito”, o che si rilevano insufficientemente od integralmente inefficaci sul “self”».
Insomma, efficienza e competitività lasciano a desiderare.
Allora, alla fin fine la domanda di QUOTIDIANO ENERGIA è giustissima nella sostanza, quando individua con precisione nelle «compagnie» il soggetto che può definire qualcosa, insomma il soggetto responsabile, solo che, per la precisione, le compagnie «definiscono» tout court il «prezzo» e non già il «valore massimo di un servizio» incluso nel prezzo [peraltro vendendo lo stesso prodotto nel medesimo punto di vendita ed in un contesto di costi necessari per l’esercizio della stessa unitaria attività].
Accanto a ciò – che è solo la «superficie» delle cose – stanno tutti gli aspetti, le cause, i risvolti che, per una migliore comprensione delle cose, si è cercato di far emergere in questa ed in precedenti note, i cui contenuti rappresentano, ovviamente, solo il modesto, ristretto, e persino «indelicato», punto di vista di chi le ha redatte.
[G.M.]