NEL CESTO DEI PREZZI «CONVENIENTI» PROLIFERANO LE MELE MARCE
— 7 Marzo 2015Cominciamo con la notizia. Così scrive, infatti, STAFFETTA:
<<C’è una sorta di mistero sul perché i prezzi dei carburanti nella provincia di Pescara siano spesso i più bassi d’Italia, come risulta dal monitoraggio quotidiano della Staffetta. Intanto, le premesse. Un impianto con i colori «Gasoline Station», che si trova a Francavilla al Mare, al confine tra la provincia di Chieti e quella di Pescara, è stato oggetto di segnalazione alla Guardia di Finanza da parte di una organizzazione di categoria dei gestori [N.d.R.: nella fattispecie la FEGICA] perché praticava da alcuni mesi prezzi sottocosto «fortemente alterati rispetto ai parametri rilevabili sul mercato, locale e nazionale». Prezzi talmente bassi da far sorgere degli interrogativi sulle loro giustificazioni e che hanno «pestato i piedi» a tutti gli impianti limitrofi.
A quanto appreso dalla Staffetta da operatori locali, queste «alterazioni di prezzo», cioè queste vendite sottocosto, sarebbero estese da circa un anno – con gradazioni diverse – a tutte le numerose pompe bianche del pescarese «che si troverebbero coinvolte in un giro losco». Società veicolo con tutte le certificazioni in regola, costituite ad hoc, rifornite da basi situate a Taranto e Napoli a prezzi sif siva, starebbero vendendo il prodotto ai proprietari delle pompe bianche a prezzi con Iva, molto scontati, sottocosto appunto.
Nel giro di pochi mesi queste società fallirebbero «in modo fittizio, per non arrivare a dover versare l’imposta».
A questa ipotesi, se ne aggiunge un’altra, secondo cui i fornitori delle pompe bianche nel pescarese siano società riuscite a ottenere – non avendone i requisiti – l’iscrizione all’albo degli importatori abituali. Godendo di un regime fiscale agevolato, queste società riuscirebbero a vendere sottocosto e a consentire alle pompe bianche di fare prezzi molto bassi, assicurandosi lauti margini.>>
A commento si aggiungano poche cose.
Intanto in questo settore ormai accade di tutto.
È abbondantemente noto che si vende prodotto che entra in rete a prezzi di cessione da extrarete inferiori di 20-23 centesimi/litro, con il doppio circuito dei prezzi di serie A e dei prezzi di serie B, questi ultimi rigorosamente riservati solo ed esclusiavamente agli impianti gestiti dal «benzinaio».
Così come appare evidente, come scrive QUOTIDIANO ENERGIA [Il mondo è pieno di petrolio, 06.03.2015] che «Dopo la picchiata delle quotazioni, l’industria petrolifera dovrà affrontare adesso una nuova questione: dove mettere tutto il greggio estratto che la domanda non riesce ad assorbire».
Ad un tanto si aggiunga che l’elevata pressione fiscale di base che permane sui carburanti sta pericolosamente allargando nel settore l’area dell’illegalità tradizionale e di quella «creativa».
In merito alla questione Pescara, gli osservatori si chiedevano come si potesse vendere a prezzi che facevano pensare ad acquisti di prodotto sottocosto, con valori mediamente tra i prodotti di circa 10 centesimi/litro inferiori alla quotazione media Platt’s.
I contorni della vicenda sembrano ora chiarire che si tratta di meccanismi di mera illegalità operativa e non proprio di misteriose magiche competitività annidate nel mercato. Insomma, se non è contrabbando, è frode fiscale ed evasione di imposte: una zona grigio-nera che si dice raggiunga e superi il 10 % dei volumi movimentati nel Paese.
Per dare un’idea di massima, nel 2014 le accise sugli oli minerali hanno generato un gettito di oltre 26 miliardi di euro, che a loro volta producono circa altri sei miliardi di euro di IVA, senza contare circa altri quattro di IVA sul prezzo industriale: in tutto 36 miliardi. Se l’area del «nero» vale almeno il 10 % significa che mancano verosimilmente all’appello dai quattro ai cinque miliardi di euro [e cinque miliardi di euro valeva la famosa manovra del «Salva Italia» di Monti in materia di accise sui carburanti del dicembre 2011 piuttosto che le «norme di salvaguardia pro futuro» delle leggi di stabilità dei giorni nostri].
Le imposte italiane sui carburanti sono ormai da oltre tre anni superiori di oltre 20 centesimi/litro alla media comunitaria europea, e oggi – dopo il crollo dei prezzi internazionali della fase finale del 2014 solo parzialmente rettificato dai rialzi di quest’ultimo mese – il prezzo della benzina sarebbe di 1,393 euro/litro al self e non di 1,557 [dato nazionale medio Osservatorio prezzi MISE del 5 marzo 2015] e quello del gasolio di 1,259 euro/litro, sempre al self e non di 1,457 [dato nazionale medio Osservatorio prezzi MISE del 5 marzo 2015], ossia, rispettivamente di 17 e 20 centesimi/litro in meno, se non fossero intervenuti gli aumenti delle imposte [sia delle accise che delle aliquote IVA] succedutesi almeno dal settembre 2011.
In questi anni hanno tenuto banco le rincorse alle liberalizzazioni totali, alle mistiche del prezzo «basso» derivante dalla assenza di regole di mercato, utilissime a coprire con la solita foglia di fico l’anomalo abuso delle imposte sui carburanti, in una perfetta convergenza di interessi diciamo «pubblici» e certamente privati. Ne sono derivati una caduta dei consumi – complice anche la crisi ovviamente – ed un danno al potere d’acquisto delle famiglie che, si badi, nonostante cotanto parlare di mercato e concorrenza, hanno pagato sempre di più un bene essenziale per la mobilità.
L’illegalità organizzata non si è fatta tuttavia fuorviare da questo stormire di fronde ed ha aggredito di brutto la torta sul piano dei fondamentali, cioè delle imposte che sono la fetta di gran lunga più grossa.
L’Authority ancora non si capacita del perché si possono trovare nel mercato degli indipendenti prezzi così convenienti [«non sono pienamente conosciute le leve concorrenziali che gli operatori indipendenti utilizzano per esercitare la loro pressione competitiva sulle imprese che tradizionalmente presidiano il settore», data del 28.12.2012, conclusioni della Indagine sulle pompe bianche e sulla grande distribuzione organizzata (provvedimento IC44, n. 22254 del 23 marzo 2011)].
Beh, certo senza generalizzare – perché comunque si parla delle mele marce e assolutamente non delle tante imprese corrette -, la storia di Pescara è una delle risposte possibili a questo amletico interrogativo dell’Authority.