«SMONTAGGIO» DELLA RETE: TOTALERG METTE IN VENDITA LA SUA
— 7 Settembre 2016Prima si fa maquillage nella rete e nei conti e poi ci si presenta sul mercato delle dismissioni. Così avviene di TOTALERG, che infine smantella un’altra porzione di rete distributiva nazionale, dopo l’abbandono di SHELL rilevata infine da Q8, ed i progressivi «spacchettamenti grossisti» di ESSO.
La «ristrutturazione» aziendale di TOTALERG ha ridotto da fine 2011 a fine giugno 2016 il numero degli impianti di marchio del 23,4 % [da 3.383 unità a 2.591], con una contrazione del 18,3 % degli impianti sociali [da 2.036 a 1.664 nello stesso periodo] e del 31,2 % di quelli convenzionati [da 1.347 a 927]. Il maquillage dei conti ha visto migliorare il margine operativo lordo in due anni di oltre il 100 %. Ma, a riprova dello stato del settore distributivo, nel marketing, i risultati «risentono di uno scenario di mercato sfavorevole, contraddistinto da una domanda in lieve crescita rispetto al primo semestre 2015, ma con margini di mercato in calo per effetto di un contesto competitivo difficile, peraltro caratterizzato da un significativo e progressivo rialzo dei prezzi delle commodity rispetto ai minimi di inizio anno che ha ulteriormente compresso i margini» e, del resto, «il 51% della joint venture TotalErg [fatta del 51 % di ERG e del 49 % di TOTAL] rappresenta solo il 3% del fatturato complessivo di Erg». I manager dell’azienda ERG lo han detto a chiarissime lettere già da prima dell’annuncio ufficiale: «non siamo più petrolieri» [Edoardo Garrone, Presidente], oppure «TotalErg non è il nostro core business» [Luca Bettonte, AD]. Gli stessi, grosso modo, che nel 2013 dichiaravano di «valutare con attenzione la decisione di vendere» di SHELL, confermando l’interesse ad approfondire i termini dell’operazione per una eventuale partecipazione. [E, detto solo per inciso, il Presidente di Unione Petrolifera è un uomo che viene da una militanza professionale in ERG e nella joint venture TOTALERG]
Così nei giorni scorsi, infine, Erg e Total avrebbero dato mandato ad un paio di banche di preparare l’operazione di vendita della rete carburanti italiana. Notizia rimbalzata direttamente dall’agenzia Reuters secondo cui l’operazione stessa, guidata da HSBC e Rothschild, dovrebbe decollare in questo mese. Erg e Total, dice Reuters, «devono ancora decidere se mantenere le altre attività che fanno capo alla joint venture»: infatti, oltre alla rete distributiva, la società detiene infatti il 24% della raffineria Sarpom di Trecate, oltre al polo logistico Raffineria di Roma di Pantano, ed è operativa nel mercato extrarete e nelle specialties [commercializzazione di lubrificanti, bitumi e Gpl]. La transazione, sempre secondo l’agenzia, potrebbe avere un controvalore fino a 700 milioni, a seconda degli asset da immettere sul mercato [assunto il valore diviso per i volumi delle vendite, farebbe il «classico» 0,300 euro/litro almeno come valore di partenza]. Sempre Reuters afferma c’è già interesse da parte di private equity, senza escludere l’interesse di gruppi del settore.
«Quel che rimane è sicuramente una sensazione di amarezza» secondo l’opinione di STAFFETTA QUOTIDIANA, che spiega: «Non tanto per la decisione di Erg… quanto per il disinteresse di Total. Se al colosso francese, che ha una solida presenza nel downstream, non interessa neanche fare il passo relativamente piccolo e “immediato” di rilevare la quota della joint venture, per la rete italiana (e per il nostro settore petrolifero in generale) si tratta di un brutto segnale». Oltre alle incertezze sul «chi compra» solo nel senso più banale del gossip finanziario-industriale [individuare «il» soggetto], il «chi compra» riguarda le logiche con cui – specie se il soggetto può anche essere diverso dal tradizionale operatore del settore – si approccia al business distributivo dei carburanti, peraltro in una congiuntura di settore che è la peggiore della sua storia. Dal punto di osservazione della categoria dei gestori è un ulteriore chiodo sulla precarizzazione [e si ricorda che un accordo aziendale con TOTALERG risale al 06.07.2015, appena un anno fa] di una fetta di gestori che vale oltre il 15 % dell’intera categoria, la conferma del processo di terziarizzazione del settore, il progressivo smarrimento del quadro dei rapporti economici e normativi con le controparti «naturali» della rete distributiva. Solo Immaginiamoci – tanto per fare un esempio estremo – cosa vuol dire andare a discutere di tali rapporti, per dire, con un fondo di investimento, le cui logiche sono le più remote e le più svincolate dai contenuti e dalle forme con cui siamo avvezzi a ragionare da una vita in questo settore…