DAI TRIBUNALI: SENTENZE PRO, SENTENZE CONTRO
— 1 Maggio 2016Nel panorama dell’ormai diffuso contenzioso legale che oppone singoli gestori o associazioni di categoria alle compagnie petrolifere, registriamo due sentenze di esito contrapposto – una a favore del gestore, una a sfavore delle associazioni di categoria – che hanno per protagonista TAMOIL.
Il primo caso vede un gestore cui TAMOIL contesta la violazione del vincolo di esclusiva di fornitura. I legali del gestore oppongono alla contestazione della compagnia un cautelare che il giudice [G. GATTO, Tribunale di Napoli, XII^ Sezione Civile] accoglie pienamente riconoscendo la legittimità del comportamento del gestore e respingendo il diritto di tutela della compagnia e infine condannando l’attore, ossia TAMOIL, alle spese di giudizio.
Il giudice, infatti, ha testualmente osservato che «le clausole contrattuali richiamate da controparte siano nulle per violazione dell’art. 9 della legge 192 del 1998 e della normativa introdotta a seguito dell’intervento legislativo di riforma al Codice del Consumo (recepimento Direttiva 11/83 ad opera del decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21, e decreto legge 1/2012, convertito con modificazioni dalla legge 27/2012). La citata novella ha, infatti, aperto le tutele approntate al consumatore anche alle piccole imprese [N.d.R.: “microimprese”, = entità, società, associazioni, che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro (art. 7 Legge 27/2012)]. Si evidenzia, inoltre, come il comma terzo dell’art. 17 del c.d. Decreto Liberalizzazioni abbia introdotto un divieto di abuso di dipendenza economica nel settore della distribuzione dei carburanti con riferimento a tutti i comportamenti ».
Nel caso di fattispecie, inoltre, il giudice ravvisa una situazione particolare che decide senza dubbio a priori l’esito del contenzioso: infatti, l’articolo 17, comma 1, del decreto Monti di liberalizzazione del comparto distribuzione carburanti prevede che: «I gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera possono liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore nel rispetto della vigente normativa nazionale ed europea.
A decorrere dal 30 giugno 2012 eventuali clausole contrattuali che prevedano per gli stessi gestori titolari forme di esclusiva nell’approvvigionamento cessano di avere effetto per la parte eccedente il cinquanta per cento della fornitura complessivamente pattuita e comunque per la parte eccedente il cinquanta per cento di quanto erogato nel precedente anno dal singolo punto vendita. Nei casi previsti dal presente comma le parti possono rinegoziare le condizioni economiche e l’uso del marchio».
La decisione del Tribunale di Napoli appare perfettamente conseguente ad una situazione – che si limita alle casistiche dei gestori proprietari di impianto – contemplata con chiarezza e senza possibilità di equivoco dalle norme vigenti, che statuiscono l’inefficacia contrattuale parziale se il vincolo di esclusiva riguarda oltre il cinquanta per cento dei volumi di prodotto.
Il testo della decisione è scaricabile in formato pdf puntando col mouse sul seguente titolo:
Decisione Tribunale Napoli XII Sezione Civile
Il secondo caso vede attori FAIB, FEGICA e FIGISC e convenuta TAMOIL.
La vicenda trae origine dal mancato rinnovo dell’accordo [anzi, dalla mancata volontà di negoziare] aziendale gestori-compagnia, di cui si è già notiziato [si vedano Figisc Anisa News N. 11 del 21.03.2015, N. 13 del 09.04.2015, N. 15 del 16.04.2015, N. 16 del 29.04.2015 e N. 27 del 02.08.2015].
A base dell’azione legale, infatti, si sono addotti i comportamenti aziendali: «Semplicemente, la società resistente ha di fatto ritenuto di abbandonare del tutto lo strumento della contrattazione collettiva, con ciò rifiutandosi di dare applicazione al dettato normativo di cui all’art. 19 comma III L. 57/2001. Per contro TAMOIL, mentre disattende ogni richiesta di incontro nella sede sindacale prevista dalla legge, intraprende trattative individuali con i singoli gestori volte a disciplinare i medesimi rapporti economici, il che è evincibile anche da un semplice calcolo aritmetico posto che il tempo trascorso dalla stipula dell’ultimo accordo di colore è addirittura superiore alla durata minima dei contratti di comodato e fornitura prevista dal D.Lgs. 32/98. Negli accordi one-to-one conclusi con i singoli gestori, peraltro, TAMOIL applica condizioni economiche e margini pro litro (rectius, sconti in fattura) chiaramente peggiorativi rispetto a quelle previste negli accordi aziendali stipulati dalle associazioni».
La causa, introdotta al Giudice del Lavoro «chiedendo di accertare e dichiarare il carattere antisindacale e comunque illegittimo dei comportamenti della resistente descritti in ricorso, ivi compreso il ricorso alla trattativa e alla contrattazione individuale con il gestore e per l’effetto di inibire la loro ulteriore prosecuzione…ed al risarcimento del danno all’immagine in favore delle parti ricorrenti» viene decisa nell’udienza del 16.03.2016 [E. DE CARLO, Tribunale di Milano, Sezione Lavoro].
Il giudice, volendo rilevare la fondatezza della denuncia delle condotte antisindacali, rileva che «L’antisindacalità di una condotta presuppone però l’esercizio di prerogative sindacali che fanno capo solo a organizzazioni sindacali di lavoratori, titolari dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro. La legittimazione attiva spetta soltanto alle organizzazioni sindacali rappresentative di lavoratori. Diversamente le parti ricorrenti sono associazioni di imprenditori che si occupano della gestione di impianti per la distribuzione di carburanti: in quanto enti rappresentativi di imprenditori, gli stessi non sono legittimati ad agire in giudizio per pretesa antisindacalità della condotta avversaria, dolendosi peraltro nei confronti di una società che non è datore di lavoro dei loro iscritti».
Circa il fatto che le organizzazioni di categoria hanno introdotto la causa al Giudice del Lavoro in quanto il gestore si configurerebbe come «lavoratore parasubordinato» così si pronuncia il medesimo Giudice del Lavoro: «Deve darsi atto che in ricorso, si pretende di qualificare il gestore come lavoratore parasubordinato. Tale affermazione… è smentita dalla prosecuzione del ricorso in cui si riconosce che il gestore può operare anche in forma societaria, e nonostante ciò è comunque rappresentato dalle associazioni ricorrenti, fermo restando che il gestore è in ogni caso un imprenditore.
Inoltre, anche la pretesa parasubordinazione imporrebbe il rigetto del ricorso per carenza di legittimazione attiva, dovendosi fare applicazione del principio di diritto statuito dalla Cassazione, pertinente rispetto al caso di specie e secondo cui “La ratio dello Statuto dei Lavoratori – il quale direttamente si occupa solo dei prestatori d’opera subordinati – non ricomprende tra i destinatari della tutela a questi e alle loro associazioni accordata dall’art. 28, oltre ai lavoratori parasubordinati ed ai relativi Sindacati, anche le associazioni di lavoratori autonomi che possano solo in parte, assumere posizione di parasubordinazione”».
E, conclusivamente, il giudice «Rigetta il ricorso. Condanna le parti ricorrenti [N.d.R.: ossia FAIB, FEGICA e FIGISC] in solido tra loro al pagamento delle spese di lite in favore di TAMOIL».
Il testo della sentenza [829/2016] è scaricabile, sempre in formato pdf, puntando col mouse sul seguente titolo:
Sentenza FAIB FEGICA FIGISC vs TAMOIL Milano Giudice Lavoro
A commento delle due vicende [di cui la seconda avrà un necessario seguito in termini di gradi successivi di contenzioso], si deve osservare che, al di là di eventuali errori di percorso che sono sempre possibili [ma che è consigliabile non replicare!], la situazione sembra la seguente:
a) le norme di settore ci sono, ma sono inefficaci a produrre effetti in quanto non connesse ad un obbligo [ed alla correlativa sanzione] per la parte che le vuole eludere;
b) le norme che consentono l’azione giuridica individuale sono in genere [ossia per la maggioranza dei casi della categoria] fumose e non indicano metodi e strumenti per tutelare la parte soccombente e, per converso, nell’unico caso [minoritario per la categoria] in cui sono finalmente chiare, esse sono efficaci e tutelanti;
c) sono assai ridotti gli spazi per la gestione collettiva di vertenze da parte delle associazioni di categoria, per difetto o di legittimazione o di presupposti giuridici sostenibili.
Tutti questi punti di criticità devono essere ben presenti sia per mettere urgentemente delle «pezze» nelle normative carenti, sia per indurre a prudenza prima di promuovere azioni legali che potrebbero rivelarsi avventate ovvero controproducenti.
[G.M.]