«EQUE CONDIZIONI»: UN «CASO DI SCUOLA» SU DISPARITÀ PREZZI

eque condizioni

Del tema dell’applicabilità della norma sulle «eque condizioni» si è già occupata Figisc Anisa News nel n.ro 39 del 15.12.2015, a cui si rimanda integralmente nell’articolo che si può consultare e scaricare in formato pdf cliccando col mouse sul seguente titolo:

ACCORDI & DISACCORDI_ PAROLE E SOSTANZA SULLE «EQUE CONDIZIONI»

Ce ne ritorniamo oggi ad occupare in una relazione più dettagliata, la cui finalità é ragionare dei danni che derivano ad una gestione da un cattivo o discriminatorio posizionamento sul prezzo, con una simulazione di mercato e un approfondimento sulle relazioni che, almeno approssimativamente, legano il posizionamento del prezzo di un punto vendita ai risultati sulle sue vendite.

La relazione completa, per chi avesse per caso qualche interesse ad approfondire il punto di vista ivi sostenuto, è disponibile in formato pdf cliccando col mouse sul seguente titolo:

EQUE CONDIZIONI_UN CASO DI SCUOLA SULLA DISCRIMINAZIONE DEI PREZZI

La relazione sviluppa anzitutto il concetto di «micro mercato».

Non vi è da stupirsi se persino un concetto basico come quello di «micro mercato» non abbia trovato alcuna definizione neppure lontanamente fondata né nelle norme, né negli accordi di colore. Si tratta, infatti, di un concetto che ha valenza solo per l’impresa di gestione, e se vi è forse da recriminare sul fatto che da quella parte non si è insistito per definirne la portata ed i contorni, è assolutamente ovvio che da parte delle aziende petrolifere non vi sia stato alcun interesse, neppure lontanamente, a discuterne in concreto.

Il «micro mercato», si potrebbe dire in due parole, è l’orizzonte concorrenziale del gestore, un orizzonte territorialmente assai limitato che si stende fin dove è possibile individuare le politiche commerciali dei competitori, comunque con un’ottica forzatamente di «vicinato». L’azienda petrolifera, che opera su una scala complessiva di Paese o superiore, ha necessariamente una visione che trascende il «micro mercato» e la cui risultante non è esattamente la somma dei singoli micro mercati.

Non si tratta semplicemente di un problema di «scala», cioè di «piccolo» e/o di «grande», ma di una diversa, estremamente significativa, diversificazione della gestione della distinta mission economica: la gestione singola, il punto vendita singolo, giocano le loro opportunità o scontano le loro limitazioni in un àmbito ristretto in cui si «decide» tutta la singola partita senza possibilità di compensazioni, mentre l’azienda nazionale o multinazionale può compensare su diversi ed infiniti teatri risultati meno positivi che consegue nelle singole realtà di micro mercato con risultati positivi che consegue in altre, ed infine trarre un risultato generale. In altre parole, la compagnia petrolifera qua perde, là vince, e può trovare complessivamente un proprio equilibrio trovando corrispondenza tra aspettativa e risultato; il gestore vive o muore o sta in agonia solo nel suo micro mercato, ed in nessun modo può compensare una situazione preventivamente discriminante e di svantaggio.

Per questa ragione, le sensibilità e le finalità reciproche – che solo apparentemente potrebbero sembrare comuni [vendere di più, marginare di più, acquisire quote di mercato] tra le due parti della filiera, ossia il marchio petrolifero ed il suo gestore – sono invece estremamente diverse ed influenzate da variabili molteplici, oltre che dallo squilibrio strutturale del diverso ruolo delle parti nonché dell’orizzonte fisico-quantitativo nel quale cui operano.

Ciò premesso, manca una definizione anche minimale di micro mercato.

Come potrebbe decidere il giudice di una causa civile della mancata applicazione delle «eque condizioni» nel «micro mercato di riferimento» se, non solo le prime sono ancora assolutamente generiche, ma altresì il secondo, ossia l’àmbito, diciamo il luogo fisico, in cui le prime dovrebbero essere applicate e rispettate, è assolutamente indefinito?

Per colmare questa lacuna – e nella consapevolezza che ne esistono nella realtà infinite variabili possibili – si é cercato di immaginare un «micro mercato di riferimento» locale, in cui evidenziare le dinamiche tra prezzi e consumatori potenziali di tutta le rete su di esso insistente ed indagare sulle conseguenze sia di un diverso trattamento sui prezzi tra esercizi dello stesso marchio che sulla eventuale applicazione delle «eque condizioni».

In una situazione di micro mercato a prezzi sostanzialmente uniformi, il comportamento del consumatore è determinato solo dal tempo di spostamento: non potendo conseguire significativi vantaggi competitivi che giustifichino percorrenze maggiori, l’utente tendenzialmente sarà indotto a rifornirsi al punto più prossimo al suo punto di provenienza. La mobilità naturale del consumatore sul territorio determina la probabilità che anche consumatori con dei tempi di percorrenza più elevati possano approvvigionarsi all’impianto più lontano del micro mercato, ma in misura inversamente proporzionale al tempo: ossia più aumenta il tempo, più cala il numero di probabilità. E l’indifferenza al prezzo, che risulta uniforme tra tutti gli impianti, determina che per tutti gli impianti del micro mercato esistano sostanzialmente le stesse probabilità totali che i consumatori vi accedano. Si tratta, però, di un mercato assolutamente astratto ed INESISTENTE.

Nel micro mercato REALE i prezzi sono, invece, molti e parecchio differenziati. La capacità di un impianto di attrarre consumatori in un mercato che consente di scegliere tra prezzi diversi ed anche sensibilmente diversi è influenzata sia dalla distanza che il consumatore deve percorrere, e quindi dal tempo, che dal delta prezzi percepito, un’informazione oggi disponibile al consumatore in misura ben più rilevante che in passato.

La relazione esamina come si possono calcolare le diverse capacità attrattive [e quindi le vendite per approssimazione] dei diversi impianti in funzione del prezzo offerto al consumatore in un micro mercato «normale e reale». E poiché nel micro mercato «normale e reale» la presenza di prezzi diversi nello stesso marchio è una regola e non un’eccezione [qualsiasi cosa ne dicano le norme o gli accordi sulle «eque condizioni»], lo studio FIGISC prende in esame anche il fatto che nel modello seguito per sviluppare il suo ragionamento, vi siano differenze di prezzo tra tre impianti di un certo marchio petrolifero di fantasia e differenze di prezzo tra due impianti – uno gestito come ghost e l’altro affidato al gestore – di un certo altro marchio di fantasia [si sono usate, infatti, circostanze autentiche o altamente probabili, ma tutti i marchi sono anonimi].

cubo

Nella relazione si rende conto delle conseguenze sulle vendite degli impianti che sono in una situazione di prezzo discriminata dentro lo stesso marchio, ma anche di cosa succederebbe in caso il prezzo rispettasse, per contro, le «eque condizioni», cioè i prezzi di sfavore venissero riallineati nel marchio a quelli di maggior favore competitivo, e di come questi riallineamenti si riverberano su tutti gli impianti della rete compresa nel micro mercato.

Perché tutto questo?

Perché dall’esame delle modificazioni osservate nel modello di micro mercato in dipendenza dei differenziali del prezzo [se all’interno di impianti dello stesso marchio per diretta inosservanza ed elusione delle norme e/o degli accordi in tema di «eque condizioni»] è possibile simulare anche un’aspettativa del danno emergente o già patito dall’impresa di gestione per effetto della discriminazione dei prezzi da parte del fornitore.

Questione che riguarda, nell’ambito della rete distributiva descritta nel modello di micro mercato, tutti e solo gli impianti in cui vige un rapporto di affidamento in comodato con esclusiva di fornitura, ossia dove c’è il gestore [inteso secondo il modello contrattuale consolidato

Sul concetto di danno patito od emergente, ci riferiamo al primo – ovviamente – nel caso di una situazione già consolidata di prezzi disallineata nello stesso marchio, al secondo nel caso che tale disallineamento intervenga dopo una fase di prezzi abbastanza omogenei all’interno del marchio.

Se il disallineamento dei prezzi all’interno dello stesso marchio determina una diminuzione di potenzialità competitiva verso il consumatore, uno sviamento predeterminato del medesimo, che si concreta in una diminuzione delle vendite anche particolarmente significativa, si ritiene che il danno subìto possa essere identificato [e conseguentemente ristorabile dall’esito di un’azione legale] nel mancato conseguimento del margine correlato all’erogato non realizzato per tali cause.

Il concetto di danno patito va correlato al concetto di risarcimento del danno, che risulta però essere un autentico «buco nero» rispetto all’osservanza delle norme sulle «eque condizioni».

Si era già detto, sempre in quell’articolo di Figisc Anisa News n.ro 39 del 15.12.2015, che le norme sulle «eque condizioni» sono vaghe e generiche e si limitano ad una mera petizione di principio, almeno che esse non siano state oggetto di qualche meno generica specificazione nell’ambito di accordi intercorsi tra le Parti [tra aziende e rappresentanze di categoria, ad esempio], anche se rimane, anche in questo caso, il limite significativo di non essere state recepite negli strumenti che regolano il singolo rapporto tra aziende e gestori [ossia nel contratto di fornitura e comodato]. Circostanza tutt’altro che trascurabile, considerato che: 1) da un lato non c’è un contratto che vincoli con clausola espressa il fornitore ad applicare le eque condizioni al singolo gestore; 2) dall’altro la rappresentanza di categoria non ha sufficiente valenza per surrogare l’azione legale in nome e per conto dei singoli interessi danneggiati.

Si era già detto, sempre in quell’articolo, che l’àmbito di confronto – almeno nei rari casi in cui si sono specificati un po’ meglio negli accordi i concetti di «eque condizioni» – per verificare la presenza di condizioni discriminanti rimane molto circoscritto: 1) solo agli impianti dello stesso marchio {ed un tanto sembra, almeno sul piano formale, se non su quello sostanziale [considerato, infatti, che l’azienda decide a) i «prezzi di cessione» in misura notevolmente variabile a seconda dei diversi canali che rifornisce, b) i «prezzi consigliati», ed infine, c) i «prezzi massimi», avendo comunque posto un limite allo scostamento ammissibile rispetto al prezzo consigliato], abbastanza sostenibile: un’azienda può contestare di essere bensì in grado di determinare la propria politica commerciale, ma non già quella della concorrenza}, 2) e, tra gli impianti dello stesso marchio, solo agli impianti con le medesime specifiche caratteristiche.

grafico del posizionamento della potenzialità attrattiva dei consumatori per ciascun impianto del micro mercato nei quattro diversi scenari di assetto prezzi dello studio FIGISC

graphik

Ancor più indeterminate, però, anzi decisamente assenti, sono le metodologie relative ad accertare, determinare e dunque ristorare le negative conseguenze sulle gestioni della elusione delle «eque condizioni», sia che tale principio discenda solo dalle norme, che dalle norme e dagli accordi di colore.

In buona sostanza, sia per promuovere l’azione legale, da un lato, quanto per formarne il giudizio di merito, dall’altro, non si sa bene neppure da quale minima base partire, a meno non si persegua direttamente l’azione per l’abuso di dipendenza economica, sapendo, tuttavia, che per questa via rimane comunque ed ugualmente indefinito/vago l’aspetto della quantificazione del risarcimento economico del danno già subìto o potenzialmente emergente.

Il diverso posizionamento del prezzo di un punto vendita induce effetti significativi sul mercato di riferimento: esso si riflette, sostanzialmente, in un riposizionamento più o meno marcato della clientela dovuto ad una maggiore o minore convenienza del consumatore e di conseguenza dei volumi delle vendite.

Un tanto comporta la possibilità di razionalizzare le politiche commerciali, le marginalità ed i fattori di costo esclusivamente laddove l’impresa di gestione sia in condizioni di relativa autonomia economica [approvvigionamento al mercato fuori dai vincoli di esclusiva e libertà di fissazione del prezzo], ma nel modello codificato e consolidato del rapporto gestore-azienda che caratterizza in parte ampiamente maggioritaria la distribuzione dei carburanti, il diverso posizionamento del prezzo ad opera del soggetto proprietario dell’impianto – nonché detentore del marchio e fornitore in esclusiva – si traduce in uno sviamento della clientela, in una redistribuzione coatta degli erogati e, stante il nesso indissolubile che lega la quantità delle vendite con la sua profittabilità economica [o, più semplicemente, il «margine», o, più precisamente, lo sconto pro-litro], nella predeterminazione del tutto unilaterale da parte del soggetto dominante di quello che sarà il risultato di gestione del soggetto [gestore] in stato di dipendenza economica.

Che in un simile contesto palesemente forzoso, le norme – che siano sulle «eque condizioni», piuttosto che sul divieto dell’abuso di dipendenza economica – stabiliscano solo dei «buoni princìpi» generici di comportamento, di cui tutt’al più l’azione legale possa richiedere l’applicazione od il ripristino in caso di non osservanza, concludendosi la loro portata in una ulteriore generica petizione di principio, senza occuparsi del riconoscimento e risarcimento del danno [e quindi di strumenti atti a determinarlo], la dice molto lunga sia sulla loro effettiva efficacia a tutelare la parte più debole e soccombente, sia sulle riserve del legislatore ad attivare meccanismi troppo precisi che possano configurare una indiretta «regolazione» del mercato, anche ad onta di basilari regole di corretta condotta economica e di concorrenza.

avvocato-672

Nella relazione si è applicato un modello di micro mercato ed un modello statistico di geomarketing per affrontare il problema dell’influenza della concorrenza dei prezzi in una rete distributiva; a questo «esperimento» è stata collegata una connessione con la questione delle «eque condizioni», rilevando la sfasatura tra le norme che le disciplinano e gli accordi che le regolano in concreto e simulando per approssimazione gli effetti della discriminazione del prezzo all’interno dello stesso marchio, con un occhio rivolto alla determinazione del danno sulla gestione. Insomma, un tipico «caso di scuola».

Posto che gli effetti di una sperequazione dei prezzi, ossia della non applicazione delle «eque condizioni», determina incontestabili risultati devastanti nelle singole gestioni che ne risultassero maggiormente penalizzate [ma anche operazioni di riequilibrio non sono indenni dal creare criticità per altre gestioni, come desumibile dallo studio]:

– è sufficiente che un’azione legale porti [non si dia neppur questo per scontato!] alla riaffermazione del principio di osservanza delle «eque condizioni», lasciando intatti ed indeterminati gli effetti reali sul mercato?

– le norme in materia prevedono che i danni subìti dalla mancata osservanza di tale principio siano connessi ad un risarcimento in caso di inosservanza?

– vi sono strumenti e metodi in grado di stimare il danno?

– quale collegio giudicante o peritale è disposto ad attivare una expertise in tal senso e con quali tecniche attendibili e con quale dispendio di dati disponibili?

– nell’ipotesi favorevole, quanto è il costo di una simile azione ed il tempo per condurla a termine?

Il micro mercato semi-astratto e semi-autentico da noi proposto è replicabile nell’ordine di decine di migliaia di variabili sul territorio – dove è largamente diffusa l’inosservanza delle «eque condizioni» -, inoltre esso è soggetto a numerose variazioni temporali dei prezzi e dei parametri di delta prezzo percepito da moltiplicarsi nelle infinite variabili territoriali, ancora, vi possono essere metodi di indagine e modelli statistici diversi da quello da noi prescelto [anche se almeno ci abbiamo provato a suggerire un metodo!] come sufficientemente attendibile, infine ed ancora, risulta persino difficile acquisire sia a posteriori che in via preventiva tutti i dati che possono contribuire ad effettuare una diligence idonea a sostenere le tesi di chi promuove un’azione legale e richiede un risarcimento di danni.

In conclusione, la reale efficacia della norma generale sulle «eque condizioni», e delle clausole con cui la norma é stata recepita negli accordi di colore [e non, si ricorda ancora una volta, nei singoli contratti] è pressoché nulla, almeno come enunciata nella forma attuale. Ciò rende assai incerto l’esito di contenziosi legali promovibili per inosservanza o della norma generale, o delle clausole degli accordi, a causa dell’assenza di strumenti oggettivi e facilmente utilizzabili per determinare torti e ragioni e persino per poter ragionare sia del principio di risarcimento in sé, sia di una sua quantificazione attendibile.

In sostanza – almeno finché essa rimane così come enunciata e declinata finora -, essa sembra più una specie di «suggestione» concettuale [con tutti i pericoli derivanti dall’innamorarsi di idee vuote di contenuti] che uno strumento reale di correttezza delle regole e di giustizia.

[G.M.]

Nota informativa
a cura della Segreteria Nazionale FIGISC - ANISA
Piazza G. G. Belli, 2 - 00153 - Roma | Tel. +39 06 586 6351 Fax +39 06 583 31724
www.figisc.it | figisc@confcommercio.it | anisa@confcommercio.it

Confcommercio

Copyright © 2014 – All Rights Reserved. Ispirato a kopatheme.com, personalizzato da Omnia Comunicazioni