FAIB, FEGICA E FIGISC: NOTA AI GRUPPI PARLAMENTARI

FAIB, FEGICA e FIGISC hanno inviato nei giorni scorsi una nota ai Gruppi Parlamentari – chiedendo altresì un incontro per illustrarne i contenuti – incentrata sullo stato di grave crisi del settore. Nella nota, i punti salienti sono dedicati, in ordine, alla rete, all’illegalità che ne accentua il declino, all’escursione del delta prezzo tra le modalità di servizio, alle condizioni contrattuali dei gestori, ai costi della moneta elettronica ed alle prospettive per una rete rinnovata alla luce delle diverse scelte energetiche ed ambientali.

Nella nota viene, inoltre, introdotto un elemento di natura contrattuale ed economica, quale il «costo minimo di distribuzione».

Il testo completo della nota è il seguente:

Nota per gruppi parlamentari sulla distribuzione carburanti in Italia

13 Settembre 2017

Egregio Onorevole,

la rete di distribuzione carburanti in Italia, che garantisce il diritto alla mobilità di persone e merci, oggi presenta i tratti di una rete distributiva in una forte fase involutiva.

La realtà strutturale della rete carburanti in questo fine 2017 evidenzia un accentuazione del processo di polverizzazione della proprietà dei punti vendita che, in combinazione con il loro eccessivo numero, non ha eguali in Europa.

Così, per un verso, con 23.000 punti vendita, la rete italiana ha un erogato medio di appena 1.345 mila litri, ben al di sotto degli indici di redditività media registrati nel resto d’Europa.

Dall’altro corrisponde una straordinaria proliferazione di operatori “privati” (vale a dire, non integrati sul piano industriale) e relativi marchi – oltre 150, secondo i dati dell’Osservatorio del Ministero dello sviluppo economico – che ormai controllano circa il 60% della rete di vendita.

Ad oggi dunque più della metà del mercato è in mano a privati e la parte residua ad Eni, Q8, TotalErg, ApiIp, Tamoil.

In questo scenario l’industria petrolifera sta rapidamente abbandonando il mercato italiano.

In particolare, il nostro Paese assiste senza alcun tipo di reazione politica alla fuga delle grandi multinazionali del petrolio: prima Shell, poi ExxonMobil, ora Total.

Ulteriore dato allarmante è l’indice di anzianità degli impianti con punti vendita vecchi, con più di 40 anni, che riguarda il 40% della rete e che si accompagna al fatto che oggi un impianto su quattro eroga meno di 400 mila litri l’anno.

Da tutto ciò dovrebbero scaturire almeno due riflessioni di carattere generale che investono direttamente la funzione regolatoria e legislativa di Governo e Parlamento.

Da un primo punto di vista, anche tenuto conto del notevole ritardo con il quale è stato approvata la “legge sulla concorrenza” che la rende di fatto già inadeguata, oltre a vigilare sulla corretta attuazione delle previsioni in essa contenute in ordine alla chiusura degli impianti cosiddetti incompatibili o insicuri, appare indispensabile immaginare immediatamente un iter legislativo che, allo scopo di ristrutturare la rete di vendita, si ponga l’obiettivo vincolante di chiudere gli impianti inefficienti, vale a dire sotto una certa soglia di erogato e privi di una adeguata struttura capace di offrire attività e servizi integrativi alla distribuzione carburanti.

Da un secondo punto di vista, è necessario “indagare” se non dipenda dall’evidente allentamento del sistema regolatorio e del rispetto della legalità a consentire la proliferazione di “nuovi operatori” o anche la “sopravvivenza” di impianti evidentemente improduttivi ed inefficienti, in un mercato tanto depresso da costringere alla fuga gli investimenti delle aziende petrolifere integrate.

Declino e illegalità sono un binomio in crescita. Siamo di fronte ad una struttura completamente depauperata e inefficiente, in cui si sono fortemente contratti i consumi, ridotte le marginalità, amplificando le forti improduttività e incapacità di investimento, conseguenza questa che ha prodotto un continuo e radicale impoverimento degli assets industriali. Una rete in cui si è diffusa l’illegalità, sia in termini di quantitativi dei prodotti introdotti in evasione di iva ed accise, sia in termini qualitativi (gasolio tagliato con oli combustibili esenti da imposte di fabbricazione), sia in termini di regole di sistema (sfruttamento e lavoro nero, dumping contrattuale….). Con effetti negativi sia sui prezzi che sulla redditività delle imprese. Questo si manifesta in termini di concorrenza sleale e violazioni contrattuali, producendo una contrazione della redditività per il sistema che si riflette sui mancati investimenti, anche in termini di innovazione dei prodotti meno inquinanti.

Pubblicizzazione dei prezzi, forbice tra prezzo self e prezzo servito. La frenesia con la quale si è cercato di forzare l’ingresso di nuovi operatori, con l’obiettivo di aumentare la concorrenza e quindi avere un prezzo più vantaggioso ha finito per disorientare il consumatore stesso a scapito di un sistema di regole e controlli sia sulla qualità dei carburanti che sulla pubblicizzazione dei prezzi.

L’attenzione spasmodica e motivata esclusivamente da esigenze comunicazionali di cui è stata oggetto la norma che prevede la pubblicizzazione del prezzo più basso visibile dalla carreggiata, ha prodotto una lievitazione dei prezzi tanto ingiustificata quanto opaca per il consumatore sia dei prodotti a basso impatto ambientale, disincentivandone l’acquisto a scapito dell’ inquinamento, sia delle vendite in modalità servito.

Indipendentemente da qualunque considerazione “sociologica” si creda opportuna, si ha il dovere di considerare che il mercato italiano è caratterizzato da una “domanda di servizio” del consumatore che non può e non deve essere né sottovalutata, né ingiustamente penalizzata o, peggio, truffata.

Nei fatti, invece, l’impianto regolatorio attuale consente che lo stesso identico prodotto, semplicemente perché distribuito con il servizio di un operatore (il gestore) che provvede al rifornimento, possa essere venduto presso il medesimo punto vendita con un prezzo superiore anche di 40 centesimi rispetto a quello pubblicizzato sulla strada.

In altre parole, non è raro il caso che – senza violare alcuna norma attuale – un automobilista “attirato” dal prezzo esposto all’esterno, sia costretto a pagare fino a 20 euro in più per un pieno di carburante, se una volta entrato in quel punto vendita volesse essere servito.

Se si considera, poi, che di quei 40 centesimi al litro in più, solo 2 servono a “pagare” il costo di chi il servizio lo offre (il gestore), si ha chiaro il livello di penalizzazione e di inganno a cui sono soggetti i consumatori in generale e le fasce di automobilisti più esposti (portatori di handicap, anziani, donne, ecc.).

Oltre a questo, non sfugge come il forzato allontanamento della domanda dal servizio si ritorce negativamente sull’economia della gestione e sulla capacità occupazionale della rete, oltreché sulla qualità del servizio offerto e persino sul minimo di assistenza e presidio necessario.

Le condizioni contrattuali dei gestori, comprese quelle economiche, sono regolate dalle leggi dello Stato (D. Lgs. 32/98; L. 57/2001; L.27/2012) che espressamente affidano obbligatoriamente (stante l’evidente squilibrio esistente tra le parti) la loro determinazione alla contrattazione collettiva tra i proprietari delle reti/fornitori e le organizzazioni di categoria dei gestori.

Tuttavia, considerata l’assenza di una sanzione specifica e dell’estrema riluttanza del Ministero dello sviluppo economico ad attivare le prerogative che lo stesso impianto normativo pure gli affida, le suddette leggi vengono ormai quasi sistematicamente disattese.

Si tratta di un fenomeno tanto grave perché sclerotizza comportamenti palesemente illegali, quanto dilagante perché, se interessa, quasi “fisiologicamente”, solo una parte della rete di proprietà delle aziende petrolifere, travolge completamente senza alcuna eccezione il rimante 60% della rete, su cui non è ormai eccessivo parlare di “caporalato petrolifero”.

Gli effetti si manifestano con l’estromissione forzata delle stesse gestioni dagli impianti regolarmente contrattualizzate, al cui posto vengono utilizzati addetti senza contratto o, nella migliore delle ipotesi, precarizzati attraverso il ricorso a contratti illegali e/o in violazione degli accordi collettivi imposti dalla legge.

Le conseguenze, pure di per sé stesse gravissime, non si limitano agli effetti drammatici in termini di redditività e occupazione (-15.000 occupati negli ultimi cinque anni), ma si ripercuotono inevitabilmente sul grado di correttezza della competizione e quindi di violazione evidente delle regole del mercato, oltreché riflettersi sul mancato gettito erariale cha tali violazioni portano di conseguenza.

In assenza della piena assunzione di responsabilità della Politica nel ridare legalità al settore, il pericolo più concreto è che anche chi, per scelta o necessità, si è attenuto alle “regole” si orienti verso modelli operativi per mezzo dei quali poter riassorbire lo svantaggio competitivo sofferto nei confronti di quanti hanno e continuano a sfuggire alla regolamentazione di legge.

Il caso Esso è lampante: con la vendita a pacchetti della sua rete a “piccoli operatori”, l’azienda si garantisce la permanenza del marchio, lo sbocco al mercato dei suoi prodotti, la salvaguardia delle sue politiche commerciali e, allo stesso tempo, si serve – poco importa se consapevolmente o meno ai fini del mercato e dell’interesse collettivo prevalente – del comportamento disinvolto dei medesimi “piccoli operatori” che non si ritengono vincolati (incredibile ma vero) alle leggi dello Stato.

Prevedere un costo di distribuzione. Alla luce di quanto appena esposto, occorre, dunque, stabilire in forza di legge, con contrattazione nazionale di primo livello tra la rappresentanza dei gestori e la rappresentanza dei titolari di autorizzazioni (compagnie e retisti), un “costo di distribuzione minimo” valido erga omnes quale remunerazione di base dell’attività prestata.

Su questo poi innestare una negoziazione aziendale di secondo livello attraverso la quale integrare ed adattare la regolazione di base alla specifica realtà del singolo marchio ed al complesso rapporto che lo lega all’attività del gestore.

Non sembra più negabile, infatti, che il corretto dispiegarsi della concorrenza e la tutela del consumatore passino necessariamente attraverso il pieno rispetto delle norme che regolano anche e soprattutto l’estremo livello della filiera della distribuzione carburanti ed il rapporto tra proprietario dell’impianto/fornitore e gestore, sia in termini di rispetto delle condizioni contrattuali ed economiche, che di fornitura dei prodotti a condizioni eque, non discriminatorie e competitive.

Costo della moneta elettronica. A maggior ragione dopo l’introduzione delle norme che impongono l’accettazione della moneta elettronica per ogni livello di transazioni, è necessario individuare interventi che rendano ragionevoli i costi sopportati dai gestori.

Nello specifico della distribuzione carburanti, dove il carico fiscale (accisa+iva) incide per due terzi del prezzo finale, il “margine del gestore” è solo del 2% e la rimanente parte rimane al proprietario/fornitore, il costo dell’utilizzo della moneta elettronica arriva ad erodere persino la metà del reddito lordo del gestore: un peso oggettivamente insostenibile ed ingiusto.

Lo sviluppo della moneta elettronica è fondamentale. Ciò potrà favorire uno sviluppo qualitativo e commerciale degli impianti e intensificare l’azione di contrasto dell’illegalità e della pratica di concorrenza sleale e di controllo della qualità certificata dei prodotti immessi al consumo.

Ma perché ciò sia compatibile con la struttura del mercato relativo e realizzabile attraverso l’adesione degli operatori (a cui non si può chiedere di lavorare gratis) occorre introdurre adeguati correttivi – magari attraverso lo strumento del credito d’imposta – che sterilizzi la parte di commissioni che in percentuale grava attualmente sul gestore per effetto di una composizione del prezzo dei carburanti del tutto originale.

In altre parole, l’attuale situazione determina un’inversione delle regole fin qui seguite per la riscossione delle imposte: agli uffici di esazione si riconosce una percentuale sull’incassato (o, comunque, diritti di esazione) mentre dai Gestori si pretende che l’incasso dell’accisa e dell’Iva avvenga a carico di chi presta il servizio. Per evitare situazione di vera e propria crisi del comparto -che si aggiungerebbero a quelle già illustrate – la strada non può che essere quella di “rifatturare” a ciascuno dei soggetti (Erario e compagnie petrolifere) l’onere gravante sulle transazioni con carte di credito lasciando che il Gestore paghi la commissione sulla sua quota (2% dell’intero importo), ovvero introdurre un costo del servizio da addebitare ai consumatori ad ogni singola transazione. Altre strade, non appaiono percorribili, se non quella di rifiutare l’accettazione della moneta elettronica (che oggi vale circa il 40% dell’erogato), considerato che le vendite in perdita non possono essere richieste.

La nuova rete. Si delinea in questo processo la necessità di favorire cicli di strutturazione dei soggetti imprenditoriali che operano nel settore, favorendo anche forme di aggregazione per produrre economie di scala, anche gestionali e l’incentivazione al ricorso all’introduzione di prodotti più ecologici che consentano di contribuire a contrastare l’inquinamento urbano.

Prodotti innovativi, colonnine elettriche, prodotti ecocompatibili, nuovi derivati dalla ricerca, scongiurando scorciatoie fatte di incentivi a carico della collettività a favore di una mobilità elettrica che sarebbe una forzatura delle dinamiche di mercato e senza ritorno per il nostro paese.

Come si comprende dall’analisi svolta dei diversi profili, osservati dal nostro punto di vista, risalta in modo inequivocabile una latitanza prolungata delle istituzioni governative. Da ciò FAIB, FEGICA e FIGISC fanno discendere la necessità di aprire subito un tavolo istituzionale con le forze politiche e il Governo finalizzato ad aprire un percorso politico in cui affrontare le varie problematiche evidenziate con tutta la filiera.

Nota informativa
a cura della Segreteria Nazionale FIGISC - ANISA
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