I NODI DEL SETTORE AL CONSIGLIO NAZIONALE FIGISC DEL 18.11.2014
— 16 Novembre 2014Lo scorso 29 ottobre il Presidente Nazionale, Maurizio MICHELI, ha fatto pervenire ai componenti l’avviso di convocazione del Consiglio Nazionale FIGISC, con la seguente comunicazione:
Oggetto: Convocazione 18 novembre 2014.
Il giorno 18 novembre 2014, presso la sede della Confcommercio in Piazza G.G. Belli 2, a Roma, alle ore 10.00, sala Colucci, è convocato il Consiglio Nazionale FIGISC per l’esame del seguente ordine del giorno:
1) Comunicazioni del Presidente;
2) Rapporti con le Compagnie Petrolifere;
3) Iniziative della Federazione;
4) Varie ed Eventuali.
La convocazione del Consiglio Nazionale cade in un momento ancor più negativo per la Categoria, dopo che in questi ultimi mesi si sono succeduti, o si stanno allestendo, provvedimenti assolutamente nefasti per il settore: la ghostizzazione generalizzata della rete è appena diventata legge dello Stato, la legge di stabilità ha previsto norme di salvaguardia contabile che potrebbero far aumentare le imposte sui carburanti da 10 a 16 cent/litro nei prossimi anni, nei cassetti del Governo sono girate e girano ipotesi di azzeramento della negoziazione collettiva per la categoria dei gestori e di riduzione delle loro rappresentanze ad un ruolo tutt’al più «decorativo».
Sul fronte interno dei rapporti nel settore, il gap del prezzo di cessione dei prodotti al gestore della rete colorata rispetto alla rete bianca – o alla grande distribuzione, o al ghost di marchio -, continua a crescere progressivamente registrando picchi massimi anche sopra i 22-23 cent/litro, mentre si trascinano stancamente i tavoli sugli accordi aziendali, nei quali le compagnie premono per un abbassamento generale dei margini cercando in compenso di allettare il gestore spingendolo verso l’unica ed evidente mission impossible di rivitalizzare proprio quella modalità di servizio che in questi anni si è fatto di tutto e di più per distruggere con dissennate politiche commerciali.
E se, da un lato, nonostante tutto il lavoro profuso e le aspettative suscitate, v’è poco o nulla di positivo da attendere dagli eventuali accordi con le aziende finché permane l’attuale livello di discriminazione del prezzo di cessione, dall’altro, non v’è da nutrire alcuna aspettativa – anche se mai si potesse arrivare ad un intervento condiviso e pilotato – sugli effetti miracolistici di una ipotetica ristrutturazione della rete, dati i pesantissimi numeri – ne parliamo più avanti in questo stesso numero – con i quali ci dobbiamo confrontare, in termini di consistenza della rete, dei consumi e degli erogati medi.
E anche a prescindere dallo scenario strettamente limitato ai rapporti interni per guardare oltre e capire cosa c’è in gioco davvero, è questo ormai un settore a forte rischio di fatale degrado: il fatalismo e l’irresolutezza che prevalgono rispetto alla crisi della raffinazione, l’anarchia e la precarietà che contraddistinguono la distribuzione, le vaste aree di illegalità che inquinano il mercato, la dicono lunga sullo stato del comparto.
Allo Stato, a quanto pare, di questo settore ciò che importa è solo la sua residua capacità di fornire gettito tributario: anzi, man mano che i fondamentali di mercato scendono [greggio, prodotti lavorati] è più facile per lo Stato colmare lo spazio con interventi di esasperazione delle imposte, così come è già accaduto dal 2012 al oggi, e lo Stato, per camuffare in parte questa pressione, è certo il soggetto più interessato alla massima torbidità del mercato, agli escamotages mediatici, all’opacità del prezzo, al più totale disinteresse del rispetto delle regole della concorrenza – in questo assolutamente coordinato con l’Authority in un ineccepibile gioco del gatto e della volpe -, in fin dei conti, quindi, il meno interessato alla tutela delle componenti sociali ed economiche più esposte del settore, quelle stesse che sono state «spremute» e marginalizzate dagli interessi più forti del settore che vi hanno scaricato sopra nel modo peggiore tutte le criticità delle trasformazioni del mercato.
Mai, dunque, si può dire che vi sia stato un contesto più negativo, con tutto il mondo «contro» la Categoria – compagnie, Antitrust, Governi, Europa Comunitaria – e con tutte le circostanze – crisi economica, crollo dei consumi, debito pubblico, crisi del settore -, per di più in un tempo in cui le rappresentanze [neanche quelle storiche e più ideologiche] e la concertazione non contano più nulla, e tutto è deciso da pochi o pochissimi nonostante le finzioni della democrazia rappresentativa e, per andare ancora più oltre, neppure la sovranità statale è più un riferimento sufficiente.
E proprio per questo cocktail micidiale di circostanze, da cui emerge che la Categoria – nonostante tutte le sue frammentazioni, debolezze e divisioni – ha almeno il dovere di mobilitarsi per difendere quantomeno una residua dignità, non sembrano esserci molti dubbi che – con tutta probabilità – una strategia di mobilitazione più graduale o conciliante non produrrebbe per la Categoria risultati più apprezzabili di una strategia più diretta e determinata.
In sintesi, «darsi una mossa» – qualunque sia il contenuto generale e di dettaglio di questo slogan, coincidente in tutto in parte od anche del tutto diverso od opposto ad alcune delle cose che sono state scritte in queste settimane -, sembra un passaggio necessario e urgente su cui il Consiglio Nazionale della FIGISC potrà dare, se lo ritiene, qualche utile indicazione nella riunione di martedì 18 novembre.