IN QUESTO NUMERO

VERTENZA ESSO & RETISTI: LA «DOLCE SCONFITTA»

Pubblichiamo di seguito il testo del comunicato stampa unitario di FAIB, FEGICA e FIGISC, di alcuni giorni fa [19.02.2018] in…

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FATTURA ELETTRONICA: UNA MANO DI CONTI

Riportiamo testualmente [per g.c.] quanto pubblicava STAFFETTA PETROLIFERA in data 22 febbraio 2018: «Il ministero dell’Economia sta studiando un sistema…

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Nota informativa
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L’ORDINANZA DEL TRIBUNALE SULLA VERTENZA ESSO & RETISTI

L’ORDINANZA DEL TRIBUNALE SULLA VERTENZA ESSO & RETISTI

Sul fronte legale, si ricorda, il ricorso – avverso ESSO Italiana, Retitalia e Petrolifera Adriatica – ex art. 700 del Codice di procedura civile [ossia la “tutela d’urgenza”, in presenza di fatti che vanificherebbero l’esercizio del diritto se si procedesse al giudizio in via ordinaria ed in sussistenza di una fondata verosimiglianza del diritto da tutelare] veniva presentato al Giudice del Lavoro nel giugno 2017, il quale Giudice, con ordinanza motivata del 03.10.2017, negando l’applicabilità nel caso di fattispecie del rito del lavoro, rimetteva la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale per l’assegnazione della controversia ad una sezione ordinaria.

Il nuovo Giudice monocratico della XI^ Sezione del Tribunale di Roma, senza procedere ad un esame di merito della controversia ed operando strettamente sul piano della contestazione formale della procedura di ricorso avviata da FAIB, FEGICA e FIGISC, con ordinanza del 29 ottobre 2017, comunicata in data 02.11.1017, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso (ed ha per giunta condannato le Federazioni ricorrenti a rifondere spese alle controparti), sulla base di una serie di considerazioni imperniate sull’insussistenza del titolo delle Organizzazioni di una categoria di lavoratori autonomi (i gestori) ad avviare procedure a norma dello Statuto dei Lavoratori (dipendenti) in controversie di ordine civile che dovrebbero essere promosse dai singoli gestori, e nelle quali il ruolo delle medesime potrebbe al più essere ausiliaria e mai sostitutivo.

Sul pronunciamento, le Organizzazioni di categoria ritenevano insoddisfacenti i risultati ed hanno interposto reclamo per chiedere la revoca del provvedimento.

Sul reclamo, il Tribunale di Roma, Sezione XI^ Civile, procedeva a formare in data 15.01.2018 una ordinanza, depositata in Cancelleria il 13.02.2018, il cui testo é consultabile e scaricabile in formato pdf cliccando col mouse sul seguente titolo:

ordinanza avverso procedimento cautelare del 13. 02.18

Il commento delle organizzazioni di categoria all’ordinanza, é sostanzialmente riassumibile nei seguenti termini:

– é dato infine per scontato che FAIB, FEGICA e FIGISC non hanno titolo per proporre ricorso a nome dei singoli gestori;

– il quadro normativo delle leggi di settore su contratti ed accordi è pienamente operante: non sono validi gli accordi individuali “one to one” che sono da considerare fuori dalla legge ed in violazione della clausola di “nullità di protezione” [ossia: «le clausole delle pattuizioni collettive hanno efficacia vincolante rispetto ai contenuti dei singoli contratti sottoscritti da ciascun gestore con ogni controparte»];

– i singoli gestori possono richiedere il danno con una serie di iniziative individuali;

– il pronunciamento del Tribunale di Roma riguarda tutte le situazioni, anche al di fuori del contesto specifico della vertenza Esso & Retisti, nelle quali le aziende vanno ad accordi individuali.

Ma, al di là di tale lettura sintetica del disposto, che dice l’ordinanza del Tribunale?

Anzitutto, trattandosi di ricorso per provvedimento cautelare, il Collegio giudicante – prendendo atto che le parti ricorrenti [ossia le organizzazioni di categoria] preannunciano una futura azione legale per ottenere un pronunciamento di merito – si diffonde nella verifica di sussistenza nel ricorso stesso della azione di merito che i ricorrenti intendono portare avanti e quali gli effetti che con tale azione i ricorrenti tendono a produrre, elementi necessari per giustificare il rito cautelare anziché altre forme di tutela.

Il Collegio conclude che il ricorso cautelare soddisferebbe sia i requisiti della indicazione dell’azione di merito, sia gli effetti che con essa si intendono conseguire, perché il ricorso stesso, infatti, chiede che l’azione consista nell’accertare e dichiarare 1) la validità degli accordi collettivi sottoscritti ai sensi di legge, in generale, e dell’accordo aziendale del 2014 con ESSO fino a rinnovo o modifica od integrazione, in particolare; 2) l’inadempimento di tali accordi da parte dei soggetti convenuti [ESSO, Retitalia e Petrolifera Adriatica nella fattispecie]; 3) la nullità degli accordi individuali imposti ai gestori dai retisti inadempienti in violazione delle norme sulla contrattazione collettiva, e gli effetti siano 1) la condanna delle parti resistenti, solidalmente con ESSO, a corrispondere ai gestori le differenze tra i margini previsti dall’accordo 2014 e quelli fruiti, per qualunque causa, nelle pattuizioni individuali estranee all’accordo.

Sostiene il Collegio, a questo punto, che l’azione delle organizzazioni di categoria é «finalizzata ad incidere direttamente, ed esclusivamente, su ciascuno dei singoli rapporti contrattuali conclusi tra ciascuna delle resistenti [Retitalia e Petrolifera Adriatica] ed ognuno dei singoli gestori, ovvero su quelli che le stesse reclamanti [FAIB, FEGICA e FIGISC] definiscono accordi individuali (one to one), dei quali dovrebbe essere dichiarata la nullità».

Proprio per questa precisa finalizzazione, il Collegio, interrogandosi sulla legittimazione ad agire delle organizzazioni di categoria conclude che «deve escludersi che le associazioni ricorrenti, che dei c.d. accordi individuali (one to one) non sono parte, possano vantare la legittimazione attiva sostanziale ad azionare diritti che da ciascuno di tali contratti scaturisca in capo ad ogni singolo gestore, e quindi a proporre domande che hanno per causa petendi o per petitum [ossia, ragione e sostanza della richiesta, il linguaggio legale, come noto, usa ed abusa del latino] i medesimi negozi [ossia contratti]».

In sostanza, nel ricorso cautelare le organizzazioni di categoria hanno correttamente anticipato cosa vogliono sia accertato e dichiarato nell’azione di merito che intendono instaurare, e persino hanno indicato gli effetti di tali accertamenti [nella fattispecie, una condanna a rifondere i gestori], ma…..non sono legittimate ad intervenire sul piano dei singoli contratti.

E, infine, chiosa il Collegio, se non sono legittimate a proporre un’azione di merito non sono neppure legittimate ad interporre un cautelare.

Questo per quanto riguarda le azioni promosse a nome dei gestori.

Il Consiglio si pronuncia negativamente anche sulla parte in cui le organizzazioni ricorrono per tutela sul punto che «le loro prerogative di associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei gestori sarebbe messa in pericolo dalla denunciata violazione, da parte delle resistenti [sempre Retitalia e Petrolifera Adriatica], di accordi collettivi da loro stipulati».

Si tratta di quella parte dell’originario ricorso di giugno 2017 in cui FAIB, FEGICA e FIGISC lamentano che «L’irreparabilità del danno è quindi ravvisabile nel concreto ed attuale pericolo di delegittimazione delle associazioni resistenti, con conseguente fuoriuscita di iscritti verso altre iniziative di tutela alternative alla partecipazione alle Federazioni ricorrenti con una contrazione del numero degli iscritti pregiudizio, questo, non interamente riparabile per equivalente».

In questo caso, dice il Consiglio, questa parte del ricorso é «inammissibile, in quanto non strumentale [ossia funzionale] rispetto alla preannunciata azione di merito che…. è finalizzata ad incidere direttamente, ed esclusivamente, su ciascuno dei singoli rapporti contrattuali conclusi tra ciascuna delle resistenti ed ognuno dei singoli gestori»,

Vero é che, nella premessa per sostenere la non legittimazione, il Collegio afferma testualmente quanto segue: «É vero…che il complesso normativo più volte citato dalle ricorrenti (ed in particolare gli artt. 19, comma 3, L. n. 57/2001; 1, comma 6, D. Lgs n. 32/1998, così come successivamente modificato ed integrato dall’art. 19 della L, n. 57/2001 e dal D.L. n. 1/2012 convertito con L. n. 27/2012) contribuisce ad individuare le associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei gestori degli impianti di distribuzione, ed attribuisce loro la legittimazione alla contrattazione dei relativi accordi collettivi interprofessionali ed aziendali con le associazioni rappresentative dei titolari di autorizzazione/proprietari degli impianti/fornitori di carburante, attribuendo alle clausole di tali pattuizioni collettive, attraverso il meccanismo della c.d. Nullità di protezione, efficacia vincolante rispetto al contenuto dei singoli contratti sottoscritti poi da ciascun gestore con ogni controparte».

E vero è che, successivamente, il Collegio afferma anche che «…l’efficacia dell’accordo collettivo, rispetto alla sfera giuridica di ogni gestore, non dipende da un atto di autonomia patrimoniale tra stipulante e promittente, che il terzo possa in ipotesi liberamente rifiutare, ma da previsioni normative che rendono vincolanti le clausole dello stesso accordo collettivo e nulle quelle dell’accordo individuale che dalle prime siano difformi».

In ogni caso, sotto il profilo formale e sostanziale, il reclamo viene rigettato con compensazione delle spese di lite tra le parti.

Conclusivamente si possono fare alcune brevi considerazioni:

– tra l’accesso al contenzioso ed il rigetto del reclamo i tempi sono anche stati abbastanza solleciti, essendosi conclusi in circa otto mesi;

– l’origine prima del contenzioso é tuttavia assai più datata: come é scritto nell’ordinanza [nel passaggio in cui il Collegio dichiara l’insussistenza nel 2017 del periculum in mora] «poiché sin dal 2014….» sussisteva la consapevolezza «dell’emersione…della situazione ora denunciata»;

– dopo questo lasso di tempo non trascurabile, durante il quale si sono evidentemente maturate situazioni di grave danno e disagio delle gestioni interessate, si apre, dunque, il tempo delle azioni legali individuali, in cui il ruolo delle organizzazioni di categoria può essere svolto nell’unico ambito loro riservato, quello cioé di sostegno e coordinamento e di un generale adiuvandum e non quello della azione in nome di altri, tempo che avrà, a sua volta, i decorsi necessari per azioni di merito che non potranno essere generiche e di principio, ma puntuali, circostanziate e di sostanza;

– l’ordinanza – sia pure con i limiti in essa impliciti [non é un pronunciamenti di merito] –, per citarne i punti positivi, ha ribadito in pieno il quadro normativo degli accordi e delle loro modalità ed ha chiarito che ciò che sta fuori da tale quadro é sostanzialmente illegittimo o quanto meno non conforme alla legge, un risultato forse scontato [un giudice riconosce ed applica le leggi vigenti e non le sconfessa], ancorché si deve dire, significativamente, che si tratta del primo pronunciamento che riconosce la piena vigenza degli accordi collettivi e la nullità degli accordi da essi difformi.

– l’ordinanza, per citarne ancora un punto positivo, ha confermato in pieno il ruolo attivo delle organizzazioni di categoria [anche questo un risultato conforme a leggi vigenti], quali soggetti legittimati a contrattare accordi collettivi e vincolanti;

– d’altra parte, volendo sottoscrivere una tesi su cui il Collegio del Tribunale non concorda, ossia che la relazione tra accordi collettivi ed accordi individuali é come un «contratto a favore di terzo», in cui le associazioni hanno il ruolo di stipulanti e promittenti ed in cui il gestore è il terzo favorito dal contratto, ne risalta il ruolo di responsabilità sotto tutti i profili che investe le organizzazioni di categoria nello stipulare e promettere e, quindi, creare le condizioni «a favore» del gestore;

– sul piano della tutela specifica dei singoli gestori, l’ordinanza ribadisce ciò che era già ampiamente noto da sempre e quindi da prima dell’azione legale delle organizzazioni, ossia l’esclusiva soggettività in capo al gestore della tutela legale e la legittimazione ad agire in tal senso.

Il comunicato stampa unitario [che di seguito si riproduce] avverte che l’ordinanza del Tribunale spiana «palesemente il terreno a migliaia di potenziali ricorsi individuali, non solo – sarà bene tenerlo presente – riguardanti la cosiddetta vertenza Esso e nemmeno solamente in costanza di contratto», lasciando tuttavia aperto un ampio spiraglio sul fatto che sarebbe meglio «governare i processi di cambiamento che interessano il settore, attraverso azioni di prospettiva anziché, come sarebbe altrimenti inevitabile, a colpi di sentenze», anche perché, come ben dimostra anche questa vicenda che si prolunga da anni, «il tutto non può essere liquidato con il perseguimento della sola iniziativa giudiziaria che ha tempi, costi ed aleatorietà incompatibili con l’urgenza dei problemi da risolvere» [citazione da un documento di una delle organizzazioni di categoria].

Fatto sta che l’ordinanza in questione ha aperto la strada ai gestori per poter finalmente vedere riconosciuto il loro diritto a ricevere quanto stabilito dall’accordo di colore sottoscritto dalle associazioni di categoria con ESSO e la nullità di ogni pattuizione contraria “imposta” dagli acquirenti dei pacchetti di impianti. 

 

Le organizzazioni di categoria continueranno le proprie azioni di natura sindacale e giuridica al fine di negoziare e tutelare i diritti degli associati gestori.

Al di là della specifica vicenda dei Retisti ESSO – che sembra avviata, quantomeno sul piano delle certezze giuridiche fondamentali, in maniera chiara e conseguente -, guardando all’intero quadro dei rapporti tra gestori, compagnie, retisti, ecc., rimangono sullo sfondo, comunque, le questioni vere: se cioè, in questo settore in materia di contratti ed accordi, sia più importante il valore dei contenuti reali, cioè dei buoni accordi e dei buoni contratti, ovvero se il valore della negoziazione possa bastare in quanto tale, e debba bastare anche ai gestori.

VERTENZA ESSO & RETISTI: LA «DOLCE SCONFITTA»

Pubblichiamo di seguito il testo del comunicato stampa unitario di FAIB, FEGICA e FIGISC, di alcuni giorni fa [19.02.2018] in relazione all’ordinanza del Tribunale di Roma sul procedimento cautelare promosso dalle medesime in ordine alla nota vicenda ESSO & Retisti del «modello grossista»

VERTENZA ESSO: LA “DOLCE SCONFITTA” DI FRONTE AL TRIBUNALE DI ROMA NON SMINUISCE IL VALORE DELL’OBIETTIVO RAGGIUNTO. SANCITO IL VALORE EX LEGE DEGLI ACCORDI COLLETTIVI OTTENUTI DALLE ORGANIZZAZIONI DI CATEGORIA E IL DIRITTO DEI SINGOLI GESTORI A CHIEDERE LA NULLITA’ DELLE CLAUSOLE “ONE TO ONE

Ricapitolando, pertanto, il ricorso cautelare è infondato, nella parte in cui le ricorrenti [Faib, Fegica e Figisc, ndr], senza esserne legittimate, fanno valere diritti e azioni che spettano eventualmente ai singoli gestori”.

É questa, dunque, l’estrema sintesi dell’Ordinanza emessa dal Collegio giudicante dell’XI^ sezione del Tribunale di Roma e depositata il 13 febbraio scorso, riguardo il procedimento cautelare rivolto dalle Organizzazioni di categoria dei gestori contro la Esso, Petrolifera Adriatica e Retitalia.

Si tratta in effetti di una “dolce sconfitta” – si legge in una nota congiunta di Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc Confcommercio di commento all’Ordinanza – perché, sulla scorta di quanto peraltro avviene anche per il lavoro dipendente, se da una parte non riconosce la titolarità di una “class action” alle tre Federazioni, tuttavia dall’altra conferma esplicitamente la validità del quadro normativo speciale della distribuzione carburanti e della ricostruzione interpretativa ripetutamente proposta dal sindacato, spianando palesemente il terreno a migliaia di potenziali ricorsi individuali, non solo – sarà bene tenerlo presente – riguardanti la cosiddetta vertenza Esso e nemmeno solamente in costanza di contratto.

É vero, infatti, che il complesso normativo più volte citato dalle ricorrenti (d.lgs. 32/1998 così come successivamente modificato e integrato dalle leggi 57/2001 e 27/2012) attribuisce alle organizzazioni di categoria la legittimazione alla contrattazione dei relativi accordi collettivi, attribuendo alle clausole di tali pattuizioni collettive, attraverso il meccanismo della c.d. nullità di protezione, efficacia vincolante rispetto al contenuto dei singoli contratti sottoscritti poi da ciascun gestore con ogni controparte”.

Con un tale inequivocabile dispositivo, il Tribunale di Roma, in sede collegiale, consegna a tutto il settore un elemento certo al quale fare riferimento per ricondurre i comportamenti di ciascun operatore al dettato normativo.

Ed è bene che ciò avvenga sulla base di quella “adesione volontaria alle regole” necessaria al buon andamento di una comunità, se si ha l’ambizione ad essere ritenuti seri e credibili quando si invoca il principio di legalità (a difesa dei propri interessi).

Sarebbe dunque auspicabile – conclude la nota sindacale – che sia dal mondo industriale che dalla variegata galassia dei retisti indipendenti giungessero segnali di una concreta disponibilità a convergere su soluzioni condivise, per governare i processi di cambiamento che interessano il settore, attraverso azioni di prospettiva anziché, come sarebbe altrimenti inevitabile, a colpi di sentenze.

FAIB FEGICA FIGISC

FATTURA ELETTRONICA: UNA MANO DI CONTI

Riportiamo testualmente [per g.c.] quanto pubblicava STAFFETTA PETROLIFERA in data 22 febbraio 2018:

«Il ministero dell’Economia sta studiando un sistema per rendere più semplice l’addio alla scheda carburante con l’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica dal prossimo 1° luglio. Lo ha annunciato ieri il vice ministro all’Economia Luigi Casero a margine di un evento sulla riforma dell’amministrazione finanziaria. “La digitalizzazione deve servire a semplificare e non a complicare la vita agli operatori”, ha detto Casero, secondo quanto riportato dal Sole24Ore. Per metter a punto il nuovo sistema, ha aggiunto Casero, “ci sarà bisogno del supporto tecnico di agenzia delle Entrate e Sogei”.

Già la scorsa settimana Casero aveva annunciato semplificazioni parlando al Consiglio nazionale dei commercialisti.»

Intento quanto mai lodevole, e assolutamente necessario, dal momento che, tra una cosa e l’altra, il termine del 1° luglio é dietro l’angolo.

L’obbligo della fatturazione elettronica, infatti, é stato sancito dall’articolo 1, cc. 920 e 927, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020», in questi testuali termini: «920. All’articolo 22, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Gli acquisti di carburante per autotrazione effettuati presso gli impianti stradali di distribuzione da parte di soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto devono essere documentati con la fattura elettronica”» e «927. Le disposizioni di cui ai commi da 920 a 926 si applicano a partire dal 1° luglio 2018.».

Il provvedimento nel suo insieme é quello che, ai commi 924 e 925 istituisce il credito d’imposta del 50 % del totale delle commissioni per i rifornimenti tramite sistemi di pagamento elettronico, come testualmente riportato in legge: «924. Agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante spetta un credito d’imposta pari al 50 per cento del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate, a partire dal 1° luglio 2018, tramite sistemi di pagamento elettronico mediante carte di credito, emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605. Le disposizioni del presente comma si applicano nel rispetto delle condizioni e dei limiti di cui al regolamento (UE) n. 1407/ 2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis» e «925. Il credito d’imposta di cui al comma 924 è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di maturazione».

Cosa si proponesse il Governo con questo ennesimo provvedimento di contrasto all’illegalità – macro e micro – del settore é ben evidenziato nella relazione all’emendamento del Governo n. 77.125 del 14 dicembre, ossia, «superare il sistema delle schede carburanti attualmente utilizzato ai fini della deducibilità dei costi relativi ai carburanti non acquistati tramite mezzi di pagamento elettronici, introducendo l’indeducibilità ai fini delle imposte dirette e l’indetraibilità ai fini IVA dei corrispettivi pagati in contanti. La norma é finalizzata a contrastare l’evasione fiscale legata alla tendenza da parte delle imprese a sopravvalutare i costi per carburanti al fine di ridurre la base imponibile e sovrastimare le operazioni passive IVA, sfruttando la mancata tracciabilità degli acquisti riportati sulla scheda carburanti».

Si tratta delle finalità specularmente espresse nel position paper di Unione Petrolifera del 15 settembre 2017, illustrato su/ ed allegato a/ Figisc Anisa News N. 24 del 28.11.2017: da un lato «intervenire sul consumatore prevedendo, ad esempio, la deducibilità delle spese per carburanti da parte degli operatori professionali solo nel caso di acquisti effettuati con sistemi di pagamento tracciabili (carte petrolifere o carte di debito/credito)» e dall’altro «prevedere il concorso dello Stato per sostenere i costi della commissione bancaria introducendo, ad esempio, un credito d’imposta a favore del gestore per le vendite effettuate con moneta elettronica»

La stima dei recuperi erariali – sviluppata nella relazione del Governo all’emendamento 77.125 – ammonterebbe nel quinquennio 2018-2022 a 562,0 milioni di euro in relazione alla maggiore IVA ed a 343,1 milioni di euro in relazione alle maggiori imposte dirette nel quadriennio 2019-2022, in tutto un maggiore introito per 905,1 milioni di euro.

Ma, poiché «si stima che l’introduzione della norma comporti maggiori oneri per gli esercenti per 69 milioni di euro annui» – prosegue la relazione – «al fine di compensare tali maggiori oneri a carico dei distributori, la norma prevede anche l’introduzione di un credito di imposta in misura pari al 50 % delle commissioni bancarie pagate».

La stima del costo erariale del riconoscimento del credito d’imposta dei distributori é stimata in 89,6 milioni di euro nel quadriennio 2019-2022 [nel 2018, infatti, la norma non produce l’usufruibilità del credito di imposta].

Bilancio totale: 905,1 milioni di euro di maggiori entrate per recupero IVA ed imposte dirette da contrasto all’evasione fiscale, 89,6 milioni di euro di minori entrate per concessione del credito di imposta ai distributori, saldo +815,5 milioni di euro per l’Erario, laddove il costo di recupero di tale evasione é pari al 9,9 % delle somme recuperate.

TABELLA STIME ERARIALI MLN EURO

Nel provvedimento, tra l’altro, si deve notare che, mentre nei commi 922 e 923 si parla di «carte di credito, carte di debito o carte prepagate» quali titoli di tracciabilità necessari per il riconoscimento della deducibilità delle spese per carburanti, nel comma 924, ove si istituisce il credito d’imposta per i distributori si parla solo di «carte di credito», una probabile svista, dal momento che le stime di conto nella relazione illustrativa più volte citata calcolano il costo del credito stesso in relazione all’intero ammontare stimato delle spese delle famiglie e delle imprese, svista comunque da emendare per non creare dubbi interpretativi e/o contenziosi dati dalla preminenza della norma primaria su tutte le altre formulazioni sottostanti.

Fin qui, comunque, i conti del Governo.

Svilupperemo di seguito una mano di conti, tratta dalla concreta applicazione dell’obbligo della fattura elettronica sulla rete distributiva autostradale.

Quali gli elementi per sviluppare questo conto?

Si prenda un impianto con l’erogato medio per punto vendita dell’intera rete, oggi stimabile in 3,650 milioni di litri annui, che fanno un monte erogazioni giornaliero di 10.000 litri.

In autostrada il rifornimento medio é piuttosto basso in ragione dell’elevato sovrapprezzo rispetto alla rete ordinaria [sulle cui ragioni ed anomalie non ripetiamo discorsi già tante volte sviluppati], e la stima di circa 400 contatti per rifornimento al giorno approssima quasi al 100 % la realtà.

Di questi contatti, la platea dei soggetti con carta carburante é di circa il 17,5 %, ossia su 400 rifornimenti giornalieri, circa 70 sono a carta carburante, dal 1° luglio a fattura elettronica.

L’ammontare del rifornimento medio per questi soggetti viene prudenzialmente calcolato per un volume in litri più elevato della media dei contatti e fatto pari a circa 55 euro [calcolando il mix di vendite tra benzina (20 %) e gasolio (80 %) nella rete autostradale ed il prezzo medio nel 2018 di benzina (1,668 euro/ltro) e di gasolio (1,535 euro/litro), i volumi transabili per giorno sui clienti che usavano la carta carburante ed avranno dal 1° luglio bisogno della fattura elettronica possono essere stimati in 2.450 litri ed in euro 3.827,00.

Quanto alle spese di commissione esse sono la somma della commissione imposta dal gestore della carta e delle commissioni interbancarie e vanno dallo 0,7 allo 0,9 % del transato. Le stime del Governo tuttavia dello 0,3 %, ma supponiamo pure che il credito di imposta del 50 % valga davvero circa lo 0,4 %. Su 3.827,00 euro, gli oneri sarebbero nell’ordine dei 30,00 euro, il credito d’imposta sarebbe pari a 15,00, ossia il 50 % di 30,00 euro [sempre a valutazione giornaliera].

Il tempo necessario al buon fine della fattura elettronica – in condizioni ottimali di software, connessione e confidenza col programma – é di circa 5 minuti primi; per 70 fatture/giorno, il tempo addetto é di 5ore e 50’/giorno; il costo-lavoro addetto va da 10,60 euro/ora se in contratto di formazione a 17,70 euro/ora se in contratto ordinario: ossia per la fatturazione elettronica di un giorno, il costo-lavoro dell’addetto va, a seconda del regime contrattuale, da 62 a 103 euro a fronte di un recupero in termini di credito d’imposta stimabile in 15 euro.

In sintesi, il nuovo adempimento comporta oneri per la distribuzione dalle quattro alle sette volte superiori al beneficio fiscale sotteso alla norma.

Senza prendere in considerazione, peraltro, le problematiche operative relative, ad esempio, agli impianti selfizzati in orario notturno con la presenza di un solo addetto di presidio, conformemente agli indirizzi del Decreto interministeriale del 2015 sulla ristrutturazione della rete autostradale.

Se non intervenissero misure di semplificazione significative sul provvedimento, non sarebbe irriverente, quanto meno per il comparto autostradale, sostenere che [per fare il pendant alla «dolce sconfitta» di cui si é riferito in questo stesso numero di Figisc Anisa News più sopra, in merito all’ordinanza del Tribunale sulla vicenda ESSO & Retisti] la vicenda del riconoscimento parziale delle spese di commissione, visti i nuovi obblighi correlati ed i connessi costi, rischia di essere una «amara vittoria».

ANISA CONFCOMMERCIO

NELLA RILEVAZIONE DEL 19.02.2018 I PREZZI PIÙ ALTI DELLA U.E.

Riportiamo di seguito [per g.c.] l’articolo di Antonello Minciaroni, comparso su QUOTIDIANO ENERGIA del 23.02.2018 «Carburanti, in Italia i prezzi più alti d’Europa. Non solo il fisco dietro questa leadership poco invidiabile»:

«Le diminuzioni dei carburanti osservate nei giorni scorsi sul mercato domestico non hanno impedito all’Italia di ottenere la poco invidiabile leadership dei prezzi al consumo in Europa: al 19 febbraio, secondo gli ultimi dati UE, sono i più elevati sia per la benzina (1.553,48 euro/’000 litri) che per il diesel (1.424,46 euro/’000 litri). Un risultato frutto non solo dell’elevato peso del fisco, ma anche delle politiche commerciali degli operatori, nel contesto di una rete inefficiente.

COMPOSIZIONE PREZZO BENZINA 19.02.2018 €/LITRO

Già la scorsa settimana si segnalava la lentezza dei ribassi da parte delle compagnie. Una circostanza che ha portato lo stacco del prezzo Italia, calcolato al netto delle imposte, ai livelli più alti degli ultimi anni (benzina ai massimi dall’ottobre 2014), confermati anche questa settimana. A rallentare l’adeguamento al ribasso potrebbe aver contribuito anche l’incertezza sull’andamento del cambio euro/dollaro, che ha una diretta incidenza sul costo dei prodotti.

Di questo stato di cose si avvantaggiano le reti della Gdo e no-logo, che godono di un indubbio vantaggio per la rapidità con cui riescono ad agire, ottenendo così un aumento dei volumi di vendita e una buona redditività.

L’aumento dello “stacco” e i prezzi al consumo tornano a dimostrare ancora una volta, e certamente non sarà l’ultima, il ritardo di cui soffre per la mancata modernizzazione la rete di vendita italiana.

Tutto ciò può portare con sé una sempre maggiore polarizzazione dei consumatori sulle scelte di acquisto. Da un lato quelli sensibili al prezzo, tipologia certamente in crescita, dall’altro quelli che continueranno a “fare benzina”, con poca o nessuna attenzione a quanto pagano, e magari facendosi anche servire. È pensabile che su quest’ultima categoria si possa basare la politica commerciale di medio periodo, in attesa che si sviluppino i business dello “street food” o del “food-to-go”? Il rischio non è di chiudere la porta della stalla quando i buoi sono scappati?»

In effetti, sono lontani i tempi in cui, come a metà del 2011, in cui il prezzo italiano si collocava, ad esempio, al nono posto [sempre dal più alto al più basso] per la benzina ed al settimo per il gasolio.

Sulle medie annuali, ad esempio, la posizione del prezzo nazionale era così determinata:

anno 2011, benzina 6° posto, gasolio 4° posto;

anno 2012, benzina 1° posto, gasolio 2° posto;

anno 2013, benzina 1° posto, gasolio 1° posto;

anno 2014, benzina 1° posto, gasolio 2° posto;

anno 2015, benzina 2° posto, gasolio 2° posto;

anno 2016, benzina 2° posto, gasolio 3° posto;

anno 2017, benzina 2° posto, gasolio 2° posto.

Nelle prime sei rilevazioni settimanali del 2018 [1°, 8, 15, 22, 29 gennaio e 5 febbraio], il posizionamento é stato stabilmente al 2° posto sia per la benzina che per il gasolio, in quella del 12 febbraio il posizionamento per la benzina é rimasto al 2° posto, ma quello del gasolio é passato al 1° [ossia al più alto di tutti i 28 Paesi dell’Unione], infine nella rilevazione del 19 febbraio entrambi i prodotti si sono portati al livello massimo comunitario.

COMPOSIZIONE PREZZO GASOLIO 19.02.2018 €/LITRO

Evidente é il peso della fiscalità nazionale, che risulta però comunque stabilmente inferiore, se pur di poco, a quella dell’Olanda per la benzina e del Regno Unito per il gasolio, ma con un gap in eccesso sulla media aritmetica comunitaria di +22,2 cent/litro sulla benzina e di +20,6 sul gasolio [dato sempre del 19.02.2018, una situazione che si trascina, sia pure in attenuazione dal 2012].

Ma se la colpa, secondo Quotidiano Energia, non é solo propriamente dell’elevato peso della fiscalità, ma anche della «mancata modernizzazione della rete», cosa si potrebbe o si dovrebbe intendere propriamente per «modernizzazione»?

Certo la razionalizzazione, intesa come la riduzione dei punti vendita [che sono il doppio od il triplo di altri Paesi comunitari con la metà od un terzo dell’erogato]: un percorso, troppo a lungo rimandato quando il mercato era ancora «normale» [ossia dominato dalle petrolifere integrate], che oggi – a mercato totalmente cambiato, dove ciò che conta sono i fattori economici reali di competizione, non i numeri degli impianti – sembra finalmente agibile in forza delle norme della legge sulla concorrenza in materia di impianti incompatibili con le norme della sicurezza stradale.

Forse, tuttavia, la razionalizzazione é anche, e forse soprattutto, altro, ossia il superamento di rigidi rapporti nella filiera distributiva [uno, ad esempio: il vincolo del controllo di tutte le fasi del prezzo nella rete delle compagnie e la «sterilizzazione» integrale del gestore quale soggetto attivo sul mercato], che di fatto discriminano ed impediscono la competizione reale.

Al di fuori di ogni sviluppo ragionevole di questo nodo, che non sembra volersi affrontare né da un lato né dall’altro della barricata, si continuerà a «basare la politica commerciale di medio periodo» su un sempre più elevato differenziale tra self e servito, sia in attesa che i buoi siano scappati dalla stalla, sia soprattutto che arrivi qualcuno disposto a rilevare le chiavi della stalla di questo o quel marchio.

CONSUMI PROVVISORI: GENNAIO CON SEGNO MENO (-0,81 %)

I dati dei consumi provvisori di benzina, gasolio e gpl, pubblicati il 15 febbraio dal MiSE per la mensilità di gennaio 2018 evidenziano un decremento di -0,81 punti percentuali sullo stesso mese del 2017 [3,413 miliardi di litri contro 3,441]: un segno marginalmente negativo, ma si deve considerare che si registra un giorno di consegna in più rispetto al gennaio dell’altro anno.

Per la somma dei consumi in rete ed extrarete relativi a benzina e gasolio, senza gpl, il mese di gennaio evidenzia un decremento del -0,36 % sullo stesso mese del 2017 [3,180 miliardi di litri contro 3,192], con una flessione del -0,07 % in extrarete [1,121 miliardi di litri contro 1,122] ed un decremento più elevato di -0,52 % in rete [2,059 miliardi di litri contro 2,070].

Per i prodotti, i consumi complessivi di benzina salgono di un +0,31 % [da 889 a 870 milioni di litri], con un segno negativo del -3,20 % in rete [da 703 a 681 milioni di litri] che in extrarete diventa positivo di un +2,14 % [da 185 a 189 milioni di litri], mentre quelli complessivi di gasolio scendono di un -6,40 % [da 2,303 a 2.310 miliardi di litri], con un incremento di +0,87 % per la rete [da 1,367 a 1,379 miliardi di litri] ed un decremento del -0,51 % in extrarete [da 936 a 931 milioni di litri].

I consumi di gpl del mese, scendono a loro volta di un -6,57 % [da 249 a 233 milioni di litri] sullo stesso mese del 2017.

Al saldo negativo complessivo dei tre prodotti, che è di 27,8 milioni di litri in meno sul gennaio 2017, contribuiscono la benzina con 18,5 milioni, il gpl con 16,4 24 milioni di litri, mentre il gasolio corregge parzialmente la perdita con un aumento di 7,2 milioni di litri.

Le quote dei consumi per prodotto sul totale sono state nel mese le seguenti: gasolio 67,68 %, benzina 25,50 %, gpl 6,82 % [in gennaio 2017 le quote erano, rispettivamente, del 66,93 %, del 25,83 % e del 7,24 %].

Nell’arco di dieci anni – ossia dal 2009 al 2018 – i consumi per prodotto del mese di gennaio si sono così modificati: benzina -35,08 % in rete [681 milioni di litri contro 1.049], +162,50 % in extrarete [189 milioni di litri contro 72]; gasolio -7,57 % in rete [1.379 milioni di litri contro 1.492], +15,65 % in extrarete % [931 milioni di litri contro 805], somma di benzina e gasolio -18,93 % in rete [2.060 milioni di litri contro 2.541], +27,71 % in extrarete [1.120 milioni di litri contro 877]; gpl +39,52 % [233 milioni di litri contro 167].

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