QUALCHE RIFLESSIONE SULLA «RIPRESA»…

Un comunicato congiunto UP-Gestori non è, ormai da molto tempo, un fatto normale: che sia uscito, tuttavia, non indica necessariamente che qualcosa di significativo sia intervenuto a cambiare l’ordine dei rapporti: in quell’incontro non si sono raggiunte intese particolari, neppure sull’oggetto che sembrava all’ordine del giorno (il contratto di commissione), anzi, alla fin fine, di tale oggetto si è discusso poco, e quel che si può ragionevolmente dirne è che è stata ipotizzata una agenda di incontri sul tema che parte dal prossimo giovedì…

Tuttavia, vi sono aspetti su cui vale la pena soffermarsi. Questa «ripresa», diciamo così, delle relazioni interviene in un momento in cui sullo sfondo si pongono questioni straordinarie di emergenza e di prospettiva. Semplificando assai i concetti per guadagnarci in comprensibilità: il comparto ha ormai perduto la sua tradizionale coesione, frammentata dalle scelte di grandi aziende di abbandonare o di terziarizzare la rete, si è diffusa una ampia zona grigio-nera di illegalità, e, buon ultimo, il dibattito sulle scelte energetiche sembra affrettatamente relegare il settore ad una residualità che prelude alla rottamazione. Questioni tutte che, se se ne ha marcata consapevolezza da questa parte del tavolo, non possono che essere oggetto di forte preoccupazione anche dell’industria petrolifera, in misura tale forse da far considerare, dall’altra parte del tavolo, non più che marginali i problemi del disagio dei gestori oltre che del tutto inutili le recriminazioni sul passato.

Ci sono sempre altre urgenze o cause maggiori che «passano davanti» ai gestori: una volta si tratta della campagna nazionale di selfizzazione obbligatoria, una volta si tratta dell’Antitrust che esterna sui contratti, un’altra ancora dell’«attesa del Messia» (che nel nostro settore si identifica con la razionalizzazione della rete), e via via dicendo, finché, infine, si arriva, progressivamente, prima all’abbandono della rete da parte di un numero crescente di compagnie, poi alla messa in scadenza delle fonti energetiche fossili, per cui, a forza di rimandare, arriveremo ad un punto neppure lontano nel tempo in cui non avremo neppure più bisogno di parlarne, dei gestori. Giunti a quel punto, il «condono» od in alternativa la recriminazione sul passato – ossia sulle concrete scelte commerciali delle aziende, sulle loro condotte contrattuali, che hanno distrutto la categoria, sottraendole progressivamente ogni sostenibilità economica, ma anche sugli equivoci di fondo sul ruolo e la funzione economica degli «operatori finali» della filiera  – per forza di cose non saranno più un  argomento di neppur marginale attualità.

Certo, vi è l’emergenza illegalità. Ma anche qui, per dirla con assoluta schiettezza, davvero il mondo petrolifero è esente da colpe, semplificazioni, superficialità, innocente al punto da considerarsi solo «vittima» del destino cinico e baro? Per dirne una, ricordiamo ancora la stagione degli «scontoni estivi»: a fronte di costi pro-litro di 9 cent e di un risultato operativo di meno di 2 nell’esercizio precedente, nel 2012 la compagnia «di bandiera» lanciava gli sconti di 20 cent/litro nei «week end del self» su volumi di un miliardo di litri (né questo, peraltro, bastò ad impedire che le sue vendite in rete scendessero di 9 punti percentuali rispetto all’anno prima), dando un calcio a tutta la credibilità del sistema sui prezzi.

Davvero si può credere che quell’operazione non abbia fatto pensare – al resto del settore – in bene ed in male, stimolando, nel migliore dei casi, a svincolarsi dal sistema, nel peggiore, a cercare soluzioni «creative» per aggredire il mercato – in assenza della possibilità di «giocare fra i denari» dell’ampia filiera integrata di cui dispongono i grandi gruppi – a partire dall’uso spregiudicato delle imposte, di cui, proprio poco prima, era stata aggravata in misura abnorme la pressione?

Comunque sia rispetto a tutte queste vicende e problematiche, qualunque lettura se ne voglia dare, l’elemento dominante (così come sta anche scritto – a meno che non sia solo un elemento «stilistico» – nel Documento Programmatico Unitario delle tre Organizzazioni, di cui si parla nell’articolo successivo di questo stesso numero di Figisc Anisa News) è che le «tradizionali controparti dimostrano una coesione progettuale pressoché nulla» ed una assoluta impermeabilità a «fare sistema» con tutte le componenti del settore, ivi compresi, e particolarmente a prescindere, anzi, i gestori – così almeno dimostrano i fatti da molti anni in qua e del resto pensare che un tanto avvenga adesso è una pia suggestione, a fronte delle chiare scelte di allontanamento della rete nazionale, dalle priorità delle cessioni o degli spacchettamenti degli asset, alla perdita (con tutto il rispetto) della capacità di coesione e di rappresentanza dell’Unione rispetto alle divergenti posizioni e finalità delle aziende associati in questo preciso momento, e via dicendo…-.

È certo importante che, nonostante tutto, vi sia ancora una  possibilità di confronto e verifica, anche se non è dato capire ad ora quali ne siano gli esiti, mentre è assolutamente evidente che le verifiche ed i risultati (quali che siano) non possono essere rimandati ad un tempo infinito, senza contare che, per alcuni versi si rischia di investire tempo a discutere di partite limitate (un solo contratto) ed in parte superate – non siamo soli a dirlo! – quando ciò che serve in questo settore, nonostante, ed anche proprio perché, si stia con maggiore o minore velocità alla fase della sua «maturità», è quella «normalizzazione» di cui altre volte si è parlato.

Bene o male, il sistema distributivo ha bisogno di funzioni e servizi terminali. O alle imprese che assicurano questi servizi viene assicurata la giustificazione economica in una logica integrata con le petrolifere, ma entro una cornice di regole imperniate su tale apparentemente «banale» esigenza, oppure – ed è forse proprio la seconda ipotesi che meglio «normalizzerebbe» il sistema con relativo effetto sui prezzi e vantaggio del consumatore -, le relazioni commerciali vanno innovate in senso pluralistico, con una chiara distinzione di ruoli tra petrolifere ed operatori finali rispetto al prezzo ed al mercato terminale, in ogni caso, anche entrambe le soluzioni possono convivere. In questa prospettiva, poca rilevanza hanno le discussioni su «diritti» virtuali o «centralità» astratte del gestore che non siano riconducibili alla stretta giustificazione economica d’impresa, né si può continuare a coltivare l’equivoco sul «margine» (comunque codificato contrattualmente) se tutte le leve del prezzo (e quindi delle vendite) sono in mano ad altri senza regole di salvaguardia; ovvero, in alternativa, nessuna rilevanza hanno le discussioni su «diritti» virtuali o «centralità» astratte del gestore che non siano riconducibili alla stretta libertà d’impresa, ossia – senza espropriazioni di sorta – all’accesso ad un prezzo competitivo entro rapporti contrattuali che siano compatibili con questa precisa relazione commerciale. Questa è la partita sostanziale che si gioca con la controparte, ovvero in mancanza di riscontro, e comunque in ogni caso, nei confronti delle «Istituzioni e policy makers (responsabili politici)».

E rispetto al «fare sistema» di fronte alle urgenze (l’illegalità o la paventata «fine del petrolio») qualche precisazione pare anche opportuna. Sull’illegalità – come già notato – la rappresentazione che UP tende a darne ha qualche aspetto di strumentalità, quando declama che non vi è alcuna legalità – ossia che vi è solo illegalità – al di fuori del sistema e dei rapporti dominati dalle aziende petrolifere, una posizione su cui – per ragioni che appaiono chiare se messe in relazione con quanto detto più sopra sulla «normalizzazione» del sistema – non è proprio il caso di appiattirsi. Non è bene confondere «illegalità» con «mercato» e, nella opportuna distinzione (che non è solo questione di sfumature), certo può e deve essere una emergenza comune la lotta contro autentica illegalità. Sulla improvvida ed ideologica fretta della politica di accantonare il settore petrolifero, non si può, invece, che registrare  un’ampia e totale convergenza.

In ogni caso, ognuno faccia il suo mestiere e svolga il suo ruolo, nella consapevolezza che i tempi attuali sono lontanissimi (né ha senso rimpiangerli) da quelli in cui nel «sistema» potevano – certo con alcuni distinguo a seconda della parte rappresentata, e comunque dentro un sistema di relazioni che non c’è più – riconoscersi, anche nei momenti di conflittualità, tutti gli interessi, grandi e piccoli, del settore. Sta, infatti, scritto sempre nel già citato Documento Programmatico Unitario delle tre Organizzazioni: «dopo una lunga stagione di criticità crescenti nei rapporti reali, le organizzazioni di categoria ritengono che sia giunto il momento che le imprese di gestione ambiscano ad un ruolo «autonomo» rispetto all’evoluzione del settore, che possa integrare sinergie con le aziende nell’ambito dei rapporti tradizionali, purché nelle forme idonee a garantire la sostenibilità economica dell’impresa di gestione, ma altresì con rapporti commerciali innovativi idonei a contribuire all’evoluzione in senso pluralistico del mercato». Lunga, media o corta che sia la storia residua di questo settore. [G.M.]

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