RAZIONALIZZAZIONE RETE: «CORSA» AD OSTACOLI

Approvata la legge 4 agosto 2017, n. 124 sulla concorrenza [si veda anche a proposito Figisc Anisa News N. 17 del 03.08.2017, «La ristrutturazione della rete é diventata legge»], é cominciata la corsa agli adempimenti necessari per osservarne le disposizioni.

Una corsa che non é affatto senza ostacoli.

A partire dalla realizzazione dell’anagrafe [termine già spirato il 1° settembre] degli impianti di distribuzione di benzina, gasolio, gpl e metano della rete stradale ed autostradale [comma 100 della norma (composta da un solo articolo)], su cui il Ministero ha detto che «La prima attività che ci aspetta è quella sul fronte del dialogo con l’Agenzia delle Dogane facendo parlare le due banche dati che, pur esaminando lo stesso fenomeno, si differenziano per alcuni elementi a partire da uno che può sempre banalissimo: l’indirizzo degli impianti» [lanciando anche un singolare appello agli operatori: «utilizzate strumenti di georeferenziazione»].

Cominciano però ad essere più chiari, si fa per dire, alcuni numeri: il Ministero, in occasione di Oil&nonOil, infatti, ha illustrato i primi dati a disposizione dopo il confronto con l’Agenzia delle Dogane: «a settembre 2017 il numero degli impianti è di circa 23.600, di questi 500 autostradali. Partiamo da un numero, da informazioni chiare. L’immagine sarà sempre più nitida e a breve avremo una risoluzione altissima della rete di distribuzione».

Un numero tuttavia che appare almeno ampiamente sovrabbondante – e di quasi il 14 % – a quello stimato da Unione Petrolifera [20.750 nella relazione annuale UP, dati riferito al 1° gennaio di quest’anno] per non dire del numero censito al 1° settembre dall’Osservatorio Prezzi Carburanti del MiSE [20.580 unità], e che corrisponde, giusto per avere un ordine di grandezza esterno, persino ad un tantino di più della somma degli impianti di tutta la Germania e di tutto il Regno Unito insieme [14.500 + 8.500].

Il che la dice lunga sull’effettiva aspettativa dei risultati di questa razionalizzazione.

Sarà forse che vi é una fetta non trascurabile di impianti in sospensione di attività. Non a caso il comma 101 della norma, che impone ai titolari delle autorizzazioni o delle concessioni l’iscrizione alla anagrafe degli impianti entro 180 giorni dall’entrata in vigore della norma stessa [la data di entrata in vigore decorre dal 29.08.2017], prevede di includere nell’anagrafe anche i punti vendita in regime di sospensione.

Nel medesimo termine di cui sopra, ai sensi del comma 102 i titolari di autorizzazione o concessione sono obbligati a presentare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, «indirizzata al Ministero dello sviluppo economico, alla regione competente, all’amministrazione competente al rilascio del titolo autorizzativo o concessorio e all’ufficio dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, attestante che l’impianto di distribuzione dei carburanti ricade ovvero non ricade, in relazione ai soli aspetti attinenti alla sicurezza della circolazione stradale, in una delle fattispecie di incompatibilità previste dalle vigenti disposizioni regionali e meglio precisate, ai soli fini della presentazione della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai commi 112 e 113 del presente articolo, ovvero che, pur ricadendo nelle fattispecie di incompatibilità, si impegnano al loro adeguamento, da completare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge».

Quali siano le disposizioni recate dai commi 112 e 113 della norma é presto detto:

«112. Con riferimento alla dichiarazione di cui al comma 102 del presente articolo, gli impianti ubicati all’interno dei centri abitati, delimitati dai comuni ai sensi dell’articolo 4 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono considerati incompatibili, in relazione agli aspetti di sicurezza della circolazione stradale, nei seguenti casi:

a) impianti privi di sede propria per i quali il rifornimento, tanto all’utenza quanto all’impianto stesso, avviene sulla carreggiata, come definita all’articolo 3, comma 1, numero 7), del codice di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;

b) impianti situati all’interno di aree pedonali, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, numero 2), del codice di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.»

«113. Con riferimento alla dichiarazione di cui al comma 102 del presente articolo, gli impianti ubicati all’esterno dei centri abitati, delimitati dai comuni ai sensi dell’articolo 4 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono considerati incompatibili, in relazione agli aspetti di sicurezza della circolazione stradale, nei seguenti casi:

a) impianti ricadenti in corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci ad Y) e ubicati sulla cuspide degli stessi, con accessi su più strade pubbliche;

b) impianti ricadenti all’interno di curve aventi raggio minore o uguale a metri cento, salvo si tratti di unico impianto in comuni montani;

c) impianti privi di sede propria per i quali il rifornimento, tanto all’utenza quanto all’impianto stesso, avviene sulla carreggiata, come definita all’articolo 3, comma 1, numero 7), del codice di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285

Ovvero le «linee guida Marzano» di vetusta memoria.

Chi risulti incompatibile e non intenda adeguarsi cessa [comma 103] l’attività entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della norma, o, se si preferisce, entro tre mesi dalla scadenza del termine per presentare la dichiarazione di cui al comma 102. Per cui si può valutare che verso la metà del 2018 si possa cominciare a vedere qualche chiusura di impianti incompatibili e/o di impianti in sospensione scaduta.

Naturalmente questo é il quadro generale, che ha le sue eccezioni nei fatti reali e nella lunga fase delle deroghe che da tempo hanno «tamponato» numerose casistiche di incompatibilità.

La questione delle deroghe viene affrontata nei giorni scorsi sul numero del 19.10 di STAFFETTA dall’Avvocato Bonaventura Sorrentino.

Sul tema così si pronuncia il Legale:

«…occorre chiarire se si è in presenza di una norma interpretativa, che fa salvi i diritti acquisiti, oppure di una norma dispositiva, che regolamenta ulteriori casi di incompatibilità. In questa seconda ipotesi si potrebbe correre il rischio di rendere inefficaci le deroghe concesse dalle precedenti fonti normative regionali. Ma se così fosse, si aprirebbe uno squarcio che potrebbe ledere un principio fondamentale del nostro diritto, seppure non scritto: il legittimo affidamento nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Il principio di legittimo affidamento viene a realizzarsi in tutte le ipotesi nelle quali una situazione giuridica favorevole al soggetto viene a creare un determinato grado di stabilità nella sfera giuridica del destinatario

Sostanzialmente la problematica, nello specifico, potrebbe riguardare la posizione dei titolari dell’autorizzazione che, confidando nei provvedimenti di deroga legittimamente rilasciati (legittimo affidamento) hanno fatto scelte di compatibilità, magari anche costose, potendosi ritrovare, eventualmente, alla luce delle nuove disposizioni normative, con un provvedimento inefficace….

.appare iniquo ed illegittimo che, in ambito amministrativo, non sia tutelata in modo chiaro una situazione prolungata di “apparentia iuris” che genera nell’incolpevole terzo, in buona fede, uno stato di fatto che riproduce, nella realtà giuridica, gli stessi effetti di una situazione di diritto.»

Di qui, conclude il Legale «una delle questioni da approfondire con riferimento alle deroghe alle incompatibilità».

Non tutto – anzi non molto, visto che non ci siamo neppure coi numeri e che l’obiettivo quantitativo non é neppure mai [bisognerebbe risalire ad alcune generiche indicazioni, chiamiamole «implicite», del decreto 32/1998] stato individuato -, pertanto, appare scontato in un processo, la razionalizzazione, che comunque interviene con ritardo pluridecennale a settore ormai, per usare un eufemismo, «maturo» anche per scelte politiche di natura fortemente alternativa in materia energetica.

E sulle caratteristiche della rete italiana val la pena di rammentare solo per inciso la «impietosa fotografia» scattata da Unione Petrolifera quasi un anno fa sui dati del 2015: «Occorre infine tener presente un altro numero preoccupante: considerando il totale dei 21.000 punti vendita ci sono almeno 5.000 impianti che hanno erogati sotto i 350 mc/anno e che quindi, in via teorica, hanno scarsi requisiti di redditività.»…

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