UN DOCUMENTO PROGRAMMATICO UNITARIO
— 12 Marzo 2017Risultato, auspicabilmente, di un lavoro di condivisa sintesi piuttosto che di una forzosa sommatoria di singole posizioni (il che, forse, ne spiega la lunghezza), FAIB, FEGICA e FIGISC/ANISA hanno elaborato un DOCUMENTO PROGRAMMATICO UNITARIO che dovrebbe avere sia una valenza di indirizzo generale «interno» – con la funzione di unificare in una logica complessiva le varie vertenze ed iniziative sindacali della categoria -, sia un valore di informazione e sensibilizzazione della politica e delle istituzione sulla crisi del settore e dei soggetti sociali che in esso sono maggiormente in stato di difficoltà, sia, infine, di lo scopo di mettere in chiaro i contenuti del livello di confronto con le controparti di settore.
Il testo integrale del documento è consultabile e scaricabile in formato pdf cliccando con il mouse sul seguente titolo:
DOCUMENTO UNITARIO FAIB FEGICA FIGISC-ANISA
Di seguito, ne pubblichiamo alcuni stralci significativi:
<< LE PREMESSE
Il settore sta vivendo una situazione che non ha precedenti nella storia del Paese che, pure, ha visto in passato momenti assai critici – dalla crisi petrolifera della fine degli anni 60 a quella dell’inizio degli anni 70, caratterizzata sia di forte penuria di materia prima a causa di scenari internazionali sfavorevoli, che dall’abbandono del mercato italiano da parte di molte multinazionali del petrolio. Mentre alla fine degli anni 70 il vuoto lasciato dalle compagnie che abbandonavano il mercato italiano era coperto anzitutto dalla compagnia di stato, oggi Shell ha abbandonato il mercato, Esso – a prescindere dalle smentite di circostanza – sta vendendo la sua rete a pezzi ad operatori «indipendenti» che consentono il mantenimento del marchio e dei volumi per i prossimi anni, TotalErg ha avviato un’azione di disimpegno dalla rete e dal mercato, vuoti tutti che non saranno, come in passato, surrogati da ENI.
A loro volta, globalizzazione e crisi economica si sono tradotte in secca diminuzione del ruolo e dei diritti delle categorie meno strutturate a sopportarne l’impatto (lavoratori, soggetti economici assimilabili e tutto il tessuto della microimpresa) e per ciò stesso destinate ad avere una funzione residuale nei processi economico-evolutivi.
A livello Paese, le stagioni della «concertazione» sono, e non da oggi, finite, la funzione di governo è sempre più espressa per emergenze ed urgenze varie, le macro logiche di sistema non stanno neanche più nel Paese, ma sono derivate da scelte dell’Unione Europea. In questo contesto diventare soggetti sociali, categorie «residuali» appare quasi un esito scontato ed il tema reale sul tappeto, è quello della ricerca, da parte dei governi, di una disintermediazione che coniughi direttamente «governatore e popolo».
L’industria petrolifera, essa stessa incalzata dalla crisi, non si è sottratta dall’interpretare in funzione strumentale tali fenomeni, in nome di efficienze fittizie e di parodie di mercatismo – che hanno avuto il ruolo di fornire ulteriore declino ad un settore produttivo che risulta tuttora essenziale (e, secondo gli organismi internazionali, lo sarà per i prossimi 30/40 anni) per il sistema Paese, – scaricando le pressioni esclusivamente al suo interno sugli operatori finali della filiera – inquadrati in rapporti commerciali e contrattuali fortemente asimmetrici – con i quali hanno di fatto azzerato i diritti, distogliendo margini ed erogati che ne fanno venir meno la sostenibilità e giustificazione economica dell’impresa di gestione.
Politica e Governi si sono interessati del settore molto spesso solo per la semplice ragione che i carburanti non sono una merce normale, dal momento che lo Stato è sempre stato il «socio maggioritario» della loro distribuzione (si ricorda a proposito che l’incidenza media sul prezzo finale delle imposte è stata dal 1960 al 2016 del 68 % sulla benzina e del 54 % sul gasolio). Dopo aver gestito, senza molto sforzo o dispendio per molti anni alcuni meccanismi di controllo dei prezzi, hanno successivamente affidato il settore al «mercato», anteponendo ad una reale governance, solo misure mediatiche (quali il ricorso alla moral suasion sui prezzi o l’istituzione dell’obbligo, in capo ai Gestori, della loro pubblicizzazione), ovvero – come nella stagione delle «lenzuolate» e delle liberalizzazioni – assecondando – a seconda della convenienza – spinte conservative od innovative messe in atto da questo o quel potere forte, interessato a gestire ovvero a spartire quote di mercato nel settore.
Si aggiunga, in tempi più recenti, che un certo pressapochismo ed una notevole ideologicità dell’approccio – complici anche in questo le grandi opzioni comunitarie e l’obbligo a dovervisi adeguare, sottacendo, oltre alla complessità e tempistica dei processi di transizione, anche che nell’equazione economica della sostituzione energetica il costo lo paga comunque il settore tradizionale – al complesso tema delle fonti energetiche alternative, hanno relegato verso la marginalità il settore petrolifero, un settore che serve solo a fungere da vettore per «fare cassa», un settore «maturo» non più attuale o di tendenza nel dibattito «politicamente corretto» del «dopo petrolio».
L’illegalità dilagante nel settore – che, oltre a quelli di rilievo strettamente nazionale, pone altresì problemi di controllo e di «filtri» che riguardano la circolazione dei prodotti in ambito comunitario -, danneggia ulteriormente la categoria, già ampiamente penalizzata da un sistema «legale» di accesso al mercato ed al prezzo condizionato dalle asimmetrie dei vincoli di fornitura e del doppio canale che alimenta la concorrenza diretta sullo stesso segmento di rete.
Illegalità ed eccesso di fiscalità, tuttavia, sono elementi – per stessa ammissione dei Governi – strettamente correlati: lo sviamento del gettito tributario in direzione del rafforzamento delle strutture criminali nonché l’inquinamento del mercato, si assommano al pesante gap di competitività per le imprese che devono sopportare alti costi dell’energia ed una farraginosità del sistema «burocratico» che ne limitano le possibilità di sviluppo. Ciò diventa elemento imprescindibile di una lenta, ma costante erosione del potere di acquisto delle famiglie che pesa sul sistema italiano in misura rilevante rispetto alla media dei Paesi comunitari e traccia la rotta di un declino dal quale non sarà facile risalire.
Sarebbe, tuttavia, ingeneroso limitare l’analisi alle contraddittorie posizioni espresse da Unione Petrolifera che, da una parte sostiene che non vi è alcuna legalità possibile se non allo stretto interno dei rapporti economici e commerciali con le compagnie ma, dall’altra, sembra ignorare (ma così non è) che le stesse compagnie utilizzano tutti gli escamotages possibili per ridurre diritti e margini ai Gestori.
Le, sia pur insufficienti regole consegnate al settore con la legge «Cresci Italia» (27/2012 sulle liberalizzazioni) non possono essere, infatti, considerate l’intervento definitivo sul settore,in quanto applicate solo parzialmente.
Perché, mentre la ratio del provvedimento era stata quella di fornire norme finali per la definizione dei rapporti interni ad esso, (affidandone la gestione alla libera determinazione delle Parti), tale processo non si è neppure minimamente sviluppato: anziché rispettare la norma, le disposizioni ivi contenute sono state eluse lasciando che proliferassero istituti contrattuali che hanno favorito un’accentuazione del livello della conflittualità e che non si è mai concretizzato un processo di innovazione idoneo a produrre effetti positivi sulla distribuzione e sui prezzi.
Su questo secondo punto – e quindi in termini di nuova propositività della categoria in merito a processi che possono avere un interesse comune e diffuso – appare opportuno e «pagante» chiedere una nuova attenzione della politica e delle istituzioni che parta dalla revisione delle norme di cinque anni fa, sia per definire più opportune tutele – e strumenti stringenti per esercitarle – nel quadro degli attuali rapporti contrattuali e commerciali con gli altri soggetti del settore, sia per contribuire allo sviluppo di soluzioni innovative.
In un contesto fortemente critico del settore, in cui le tradizionali controparti dimostrano una coesione progettuale pressoché nulla, e dopo una lunga stagione di criticità crescenti nei rapporti reali, le organizzazioni di categoria ritengono che sia giunto il momento che le imprese di gestione ambiscano ad un ruolo «autonomo» rispetto all’evoluzione del settore, che possa integrare sinergie con le aziende nell’ambito dei rapporti tradizionali, purché nelle forme idonee a garantire la sostenibilità economica dell’impresa di gestione, ma altresì con rapporti commerciali innovativi idonei a contribuire all’evoluzione in senso pluralistico del mercato.
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LE COSE DA FARE
1) Riaprire un canale di comunicazione permanente con il Parlamento, ivi compresi tutti i gruppi politici, per riaccendere il faro sul settore e riaffermarne l’attualità – e non già la marginalità rispetto al nuovo che avanza in tema di energie alternative -, a fronte di pesanti criticità quali la crisi della raffinazione, la sicurezza dell’approvvigionamento, l’allargamento del mercato, la razionalizzazione, da un lato, e l’abbandono, dall’altro, della rete, l’emergenza illegalità e la fiscalità di sfavore che alimenta il gap competitivo ed il peso sociale per il sistema Paese
2) Richiamare fortemente l’attenzione della Politica e delle Istituzioni sullo stato e sulle contraddizioni profonde del settore; sullo stato di crescente prostrazione della Categoria, a seguito non solo della proliferazione di norme contraddittorie sedimentate nel tempo, che non hanno sortito processi di ammodernamento del settore ma, ne hanno, invece, bloccato lo sviluppo; su misure incomplete ed integralmente o parzialmente inattuate che hanno acuito le conflittualità interne al sistema senza apportare vantaggi alla comune utilità.
3) Portare l’industria petrolifera, dalle singola aziende all’Unione Petrolifera, ad aprire una riflessione comune di «scenario» sulle prospettive del settore e sul superamento delle criticità che hanno inibito una accettabile continuazione della vita del settore e delle gestioni, sui processi di selfizzazione incontrollata (che hanno favorito solo un consolidamento di rendite, penalizzando operatori con sistemi e struttura complessa con, vincoli industriali e sociali di scala corrispondente). I tempi sono maturi, in un quadro di regole chiare e condivise, per avviare una nuova stagione di corrette relazioni industriali attraverso la quale giungere a contratti – anche di nuova definizione – che mantengano i livelli di contrattazione previsti dalla legge; che contengano un inequivocabile sistema sanzionatorio per chi viene meno all’obbligo di procedere all’applicazione della legge (che non si presta a strumentali interpretazioni). Ripresa di un sistema «ordinato» di relazioni industriali che metta fine al «dumping» contrattuale di cui soffre, da troppo tempo, il nostro settore.
4) Sollecitare il Ministero dello Sviluppo Economico ad uscire dall’apatia che ha caratterizzato la sua azione nel corso degli ultimi anni offrendo, intanto, risposte alle vertenze in atto e, sopratutto, definendo, insieme a tutti i soggetti del settore, le linee sulle quali incardinare la politica energetica nei prossimi anni (da questo punto di vista, le organizzazioni di categoria rivendicano il diritto ad esprimere il proprio punto di vista – come peraltro hanno già fatto a suo tempo con una posizione critica sul documento della SEN) anche sul nuovo piano energetico, invitando i primi responsabili del Dicastero a fissare un tavolo di confronto permanente nel quale riannodare i fili di un confronto che è rimasto, e solo per questa categoria, senza risposte.
5) Verificare con la rappresentanza dei retisti indipendenti (Assopetroli e Consorzio Grandi Reti) l’andamento dell’applicazione degli Accordi sul contratto di commissione, sottoscritto specificamente per questo segmento della rete ordinaria, e definendo altresì il livello di sostituzione con tale istituto dei contratti di guardianìa ovvero appalto di servizi a parità di prestazione. Occorre verificare le criticità degli aspetti economici dei rapporti, la
partecipazione alla contribuzione al Cipreg, con l’obiettivo del rilancio della contrattazione economica ai sensi delle norme di settore, che, nella fattispecie dei retisti, può anche essere sostanziata in una contrattazione orizzontale, mirata a condividere parametri economici e normativi di medietà.
6) Sul tema della «moneta elettronica» i cui costi gravano per circa il 35 % sul margine unitario del Gestore (cui vanno addizionati costi di linea ad affitto Pos), occorre uscire dalla inconcludente spirale che si trascina dalle norme del 2011, con una disponibilità delle gestioni a farsi carico della royalty dovuta al sistema bancario esclusivamente sulla parte di diretta competenza (ossia il margine). Sul piano tecnico, è sufficiente utilizzare il meccanismo di ripartizione dell’accisa, senza alcun appesantimento contabile), dovendosi chiarire che, ove questo non sia, in alternativa, i costi della monetica debbano essere imputati ai costi di gestione generali e come tali rientranti tra gli elementi base nella negoziazione aziendale di cui alla normativa di settore, ed implementati sin d’ora nella parte economica del rinnovo degli accordi.
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Per maggior dettaglio sulle QUESTIONI DIRETTAMENTE ATTINENTI ALLA PARTE CONTRATTUALE, si ritiene di dover operare tenendo di vista, almeno di massima, alcune linee guida su cui muoversi nelle fasi di breve e medio termine:
A) la revisione da apportare alle leggi di settore esistente per un ripristino di regole sul versante degli accordi e dei contratti, nel senso di conferire «contenuti» e non solo «princìpi» alla legge 27/2012 in questa specifica materia, e distintamente:
1) tutelare con un principio di continuità (già adoperato per esempio nella rete autostradale con il decreto 09.08.2015) nelle fasi di dismissione delle reti e cessioni a terzi i contratti dei gestori in essere;
2) adottare forti deterrenti anche economici per le Parti che non intendano rinegoziare gli accordi aziendali;
3) introdurre deterrenti per le Parti che non intendano negoziare sulle figure contrattuali alternative (negoziazione che potrebbe strutturarsi attraverso un rapporto diretto con le aziende stesse, in caso di inerzia della rappresentanza industriale);
4) esplicitare il principio delle cosiddette «eque condizioni» in termini che consentano la determinazione del danno eventualmente apportato alla parte soccombente in caso di inosservanza;
5) concordare un protocollo generale condiviso di best practices che riaffermi l’osservanza nei rapporti tra le parti del principio di giustificazione economica per la parte finale della filiera, sulla falsariga del «Protocollo di Berlino 2015»;
B) la contemporanea valutazione sui temi che riguardano l’accesso al mercato, al prodotto ed al prezzo – che passano sempre attraverso la definizione di nuovi istituti contrattuali, di fatto una loro «liberazione» a vantaggio del sistema distributivo e del consumatore – e che attengono ad un obiettivo di «svecchiamento» di un sistema basato su una filiera rigida del prezzo e delle figure contrattuali (che di fatto è il vero gap competitivo della rete tradizionale e delle sue gestioni in quanto incidente negativamente sulla flessibilità di determinazione del prezzo nelle fasi di filiera, quindi, alla fine sui consumatori), in una prospettiva di innovazione ben maggiore di quanto non rappresenti la mera dismissione «spacchettata» della rete delle petrolifere a terzi, aspetto che può costituire un vero fattore di novità atto ad indurre politica e Governo ad un rinnovato interesse alle proposte della categoria.>>