I BENZACARTELLONI IN AUTOSTRADA FANNO RISPARMIARE?!
— 31 Gennaio 2016Leggiamo e riproduciamo parte [per g.c.] di un articolo pubblicato su STAFFETTA venerdì 29 gennaio sotto il titolo «Benzacartelloni risparmi per 15 mln», aggiungendovi un nostro commento.
<<15 milioni di euro all’anno. A tanto ammonta il risparmio consentito agli utenti delle autostrade italiane dal sistema di segnalazione obbligatoria dei prezzi introdotto nel 2007. All’effetto positivo dei cartelli elettronici che anticipano i prezzi di benzina e diesel delle quattro stazioni di servizio successive>> – spiegano al Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi in abbinamento con la Booth School of Business dell’Università di Chicago in un lavoro dal titolo «Price Transparency and Retail Prices: Evidence from Fuel Price Signs in the Italian Motorway» – <<contribuisce più il comportamento delle stazioni di servizio che non la capacità dei consumatori di utilizzare efficacemente l’informazione.
Quando i prezzi sono segnalati il prezzo medio del carburante diminuisce di 1 €/cent al litro, che moltiplicato per il totale dei rifornimento autostradali, porta alla cifra di 15 mln/€, un ammontare che può apparire poco rilevante, ma rappresenta comunque circa il 20% dei margini delle stazioni di servizio. Gli autori hanno osservato l’effetto della trasparenza sul prezzo sfruttando la gradualità con cui i cartelli elettronici sono stati introdotti; in questo modo hanno diviso le stazioni di servizio in due gruppi [coinvolti e non coinvolti] e comparato la differenza tra i loro comportamenti sia prima che dopo l’introduzione della politica di trasparenza.
Solo metà della riduzione totale del prezzo di ciascuna stazione – ne è risultato – è dovuta alla presenza di un cartello che lo comunica; l’altra metà è attribuibile alla presenza di cartelli che, segnalando i prezzi delle altre stazioni, inducono una maggiore concorrenza di mercato. Il cartello segnaletico inoltre, sembra avere una dimensione strettamente locale, con effetti visibili sulle prime due stazioni ma non sulla terza e la quarta.
Più cartelli dunque – suggeriscono gli autori – si tradurrebbero in un effetto maggiore sul risparmio dei consumatori. Questa politica di trasparenza, concludono gli autori, evidenzia un buon ritorno economico [a fronte di un’implementazione costata circa 2 mln/€] mostrando come la sua estensione, come l’adozione di analoghe politiche in altri settori, potrebbero essere efficaci nell’aumentare la concorrenza e ridurre i prezzi>>.
Questa «notizia» – e non stiamo certo, sia chiaro, polemizzando con STAFFETTA che ce ne ha dato conoscenza – non ci dice ovviamente nulla di nuovo rispetto a concorrenza e prezzi [non è che un’applicazione «accademica» di princìpi economici noti ad un caso di scuola preso, sempre in stile accademico, dalla realtà], anche se forse è interessante – se non altro sotto l’aspetto «sociologico» della categoria – quel passaggio che sottolinea che, più che ai consumatori, questa marginale diminuzione del prezzo è un comportamento, diciamo così?, preventivo delle stazioni di servizio, indotto dalla consapevolezza che c’è una pubblicità del prezzo altrui e del proprio che determina un confronto cui il consumatore può più o meno essere sensibile.
Potrebbe essere, però, che questa ricerca accademica possa essere utilizzata per suonare il piffero sulla lungimiranza delle politiche pubbliche della pubblicità obbligatoria dei prezzi che hanno creato un beneficio al consumatore. Può darsi che una simile regola valga in un mercato «perfetto», ma quando si parla dei prezzi dei carburanti in generale, e se ne parla in autostrada in particolare, abbiamo a che fare con un mercato assolutamente «imperfetto».
Intanto abbiamo a che fare con una merce il cui valore è determinato in parte maggioritaria dall’intervento dello Stato [dal 2007 al 2015 in media il 60 %], che lo grava di un altissimo prelievo fiscale, in parte non trascurabile [dal 2007 al 2015 in media il 30 %] dai mercati internazionali della materia prima e dei prodotti derivati per autotrazione: un eventuale mercato «perfetto» si può esercitare, quindi, solo sul 10 % del prezzo totale di questa merce.
Ad un tanto si aggiunga che su questa merce – ma anche sui servizi in genere offerti sulla rete autostradale – grava il peso di una rendita [precisamente rappresentata dalle royalties percepite da concessionari privati di una infrastruttura pubblica] che quasi equivale da sola alla buona metà del margine lordo realizzabile dall’assegnatario del servizio di distribuzione, fattore rilevante che fa, ovviamente, o lievitare nella stessa proporzione il prezzo finale nel segmento di rete o che viene «splittato» su tutti i segmenti di rete.
Infine, si aggiunga ancora che il prezzo finale – se non negli angusti limiti di 1 €/cent al litro che costituiscono tutta l’autonomia massima del compratore/venditore ultimo della merce [gestore], che esso può o realizzare/applicare o al quale può/deve rinunciare se lo realizzava in precedenza e che, guarda caso, corrisponde alla variazione osservata dai ricercatori della Bocconi e di Chicago – è fissato da solidi paletti intermedi: in comune tra rete ordinaria ed autostradale, un obbligo contrattuale di subìre un prezzo di cessione prefissato, quello di praticare un prezzo di rivendita «consigliato» che non può peraltro sforare un prezzo «massimo» di rivendita.
E può, inoltre, accadere – come abbiamo evidenziato su Figisc Anisa News n. 1 del 25.01.2016 – che uno stesso prodotto sia fatturato da una delle primarie compagnie petrolifere ad un prezzo di cessione differente di ben 24,6 €/cent al litro tra un impianto della rete ordinaria [forse in gestione diretta] ed un impianto della rete autostradale [affidato ad un gestore].
Tiriamo una mano di conti: il consumatore in Italia già paga in più rispetto alla media dell’Unione Europea circa 22 €/cent di imposte, poi, se va in autostrada, i prezzi sono superiori di altri 10 €/cent al litro a cagione dei sovramargini applicati dalle petrolifere per rifarsi di una parte delle royalties che assegna ai concessionari delle tratte autostradali. In tutto fa 32 €/cent al litro.
Tutti questo i «provvidenziali» benzacartelloni dei Governi e dei Parlamenti, al consumatore non lo dicono.
Però forse avrebbero fatto risparmiare al consumatore un quid come un trentaduesimo di questa differenza, ossia il fatidico unico €/cent al litro, uno, su trentadue in più.
E invece non è vero affatto: quel misero €/cent è una operazione virtuosa del gestore che ha rinunciato all’unico proprio margine di autonomia sul prezzo.
Paura della concorrenza? Ma non è vero neppure questo.
La verità è che ogni litro marginale diventa buono in un comparto in cui si è perso, sempre dal 2007 al 2015, il 58 % degli erogati. Ecco la spiegazione.
In conclusione: niente «accademia», possibilmente su esempi di mercati straordinariamente imperfetti, ma, soprattutto, nessuno abbia eventualemnte il coraggio di venirci a dire che l’invenzione, coatta, dei benzacartelloni, nata da una «politica» più furba che accademica [come ogni volta che si parla di prezzi], possa avere giovato in qualsivoglia modo al consumatore.
[G.M.]