ACCORDI & DISACCORDI: «RESURREZIONE» DEL SERVITO? ….& ALTRO

Accordi_e_disaccordi

Nel presente articolo si commenta la notizia che è stata riportata più sopra in merito all’iniziativa di ENI [localizzata nel territorio o generalizzata, è cosa che si dovrà capire, visto che, al solito non è stata né concordata con, né anticipata prima alle Organizzazioni di Categoria] di prolungare l’orario di apertura degli impianti dietro corresponsione di uno sconto/margine maggiore sui quantitativi erogati nella sola modalità servito, e le opinioni qui espresse sono strettamente attribuibili solo a chi firma l’articolo.

Vi sono almeno due considerazioni da fare in merito: una di natura prettamente economica [che non va né sottovalutata, né snobbata rispetto alla seconda, perché comunque scopo e dovere di ognuno è realizzare un risultato economico che giustifichi risorse e tempo impegnato in un’attività], l’altra, invece, orientata al sistema dei «diritti», ossia, per dirla in termini meno ideologici, al sistema delle condizioni in cui si lavora, al loro mutamento ed alle conseguenze che ogni mutamento comporta per il singolo e per l’insieme della categoria cui si appartiene.
E poi ci sarà da dire anche qualcos’altro.

Sull’aspetto economico.
Di primo acchito, si nota subito che l’incentivo di margine verrebbe riconosciuto solo ed esclusivamente per gli erogati realizzati nelle sole ore in eccedenza rispetto all’attuale orario di apertura e solo ed esclusivamente effettuati nella modalità servito: l’Azienda, infatti, non ritiene di riconoscere alcunché sugli erogati in modalità self realizzati in quelle fasce orarie, perché tanto sarebbero stati comunque realizzati, secondo la sua visione, indipendentemente dalla presenza del gestore, glissando sul fatto che magari un piazzale «popolato» può esercitare, anche indipendentemente dalla modalità di servizio prescelta, una maggiore attrazione verso il consumatore che si muove nelle fasce orarie antecedenti o posteriori all’orario consueto.

Anche a fronte di un incentivo economico «a fascia oraria», il prolungamento dell’orario abituale comporta una riorganizzazione della risorsa umana dell’impianto [gestore, collaboratori familiari e/o dipendenti] che ha un riflesso complessivo su tutta la giornata lavorativa, e che può essere più flessibile magari per il gestore, più problematico e rigido per i collaboratori, per effetto delle normative vigenti in materia di lavoro dipendente.

La riorganizzazione del fattore umano nella struttura del lavoro ha senso quando si è in grado di mettere in piedi un nuovo ciclo maggiormente produttivo di risultati ed in cui possa esservi una proporzionalità accettabile tra i costi della riorganizzazione e della gestione del ciclo e gli aumenti di produttività e di marginalità ottenibili.
Nel caso che abbiamo di fronte, abbiamo da un lato la necessità di riorganizzare l’intero ciclo lavorativo e la risorsa umana solo per sostenere una protrazione dell’orario lavorativo, e dall’altro una potenzialità di ottenere solo risultati limitati in termini di produttività [aumento di erogati in determinate fasce orarie e solo per una modalità di servizio che è anche la più onerosa sotto l’aspetto della risorsa umana da impiegare] e solo risultati limitati in termini di marginalità [il maggiore sconto/margine solo in determinate fasce orarie e solo per una modalità di servizio].
In sintesi, si tratta di riorganizzare non più 10, ma 12/13 ore di lavoro per tentare di realizzare risultati aggiuntivi solo su 2/3 ore di lavoro aggiuntive e per una platea di consumatori «di nicchia». Si tratta di una sproporzione di per se evidente senza neppure fare tutti questi ragionamenti.

Ma anche si facesse prevalere un ragionamento diverso – cioè di voler provare a vedere cosa succede rischiando del proprio – rimane il fatto che non si tratta di un punto di arrivo stabile; fattori diversi possono contribuire a destabilizzare presto tale scelta: un eventuale aumento dei prezzi deciso dalla compagnia per rifarsi dell’incentivo dato al gestore tale da frustrare l’appeal del cliente, le reazioni della concorrenza che possono o, a loro volta imitare, cioè protrarre l’orario di apertura, o agire sulla leva di prezzi più convenienti nell’orario normale per indurre il consumatore a privilegiare il buon prezzo rispetto all’orario di servizio anticipato o posticipato.

Il ragionamento dell’Azienda, invece, è in sintesi questo: ci sono consumatori che si spostano ad orari diversi da quelli soliti e che preferiscono il servito, ci serve attrarli estendendo il servizio nelle fasce orarie in cui essi si spostano. Compito del gestore è realizzare questo nostro scopo «di nicchia», e per farlo siamo disposti a riconoscergli un modesto incentivo [su risorse certe già accantonate: tanto il delta prezzo servito vs/ self è aumentato in un anno del 48 %] circoscritto alla nicchia [solo sul servito e solo su quelle ore in più]. Tutto il resto continuerà a funzionare come al solito. Come farlo? Sono rischi e cavoli del gestore.

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Sull’aspetto dei diritti.
Intanto bisogna distinguere tra diritto e «diritti».
Perciò parliamo di diritto senza virgolette, quando ci riferiamo ad un aspetto di cui sarà bene fare chiarezza: diritto nel senso di normativa, legge, disposizioni, sugli orari di apertura degli impianti di distribuzione carburanti. Parliamo di «diritti» quando ci riferiamo al complesso delle questioni «sindacali» e contrattuali.

1. Il diritto.
Ci sono, e sono vigenti, le leggi regionali sugli orari [la materia è infatti delegata alle Regioni ed alle Province Autonome], e fissano orari indicativi e conservano, anche se non in maniera omogenea, indicazioni anche in materia di turni festivi. Con percorsi anche diversi, tuttavia, e di non indifferenti flessibilità [ad esempio, in Lombardia, la liberalizzazione del servizio notturno nel 2015].
Pur tuttavia, ricordiamo anche quale è l’orientamento di Antitrust in materia di orario dei distributori di carburante [ne abbiamo a suo tempo riferito su Figisc Anisa News n. 11 del 21 marzo 2015, per consultare l’articolo di quel numero e scaricarlo in formato pdf basta posizionarsi col mouse sul seguente titolo]

ANTITRUST_ GLI ORARI DEI DISTRIBUTORI NON ESISTONO !

Cosa dice, chiaro e tondo, l’Antitrust?

Dice che: «…va tuttavia ricordato innanzitutto che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modifiche in legge 24 marzo 2012, n. 27, ha inteso rimuovere le norme che “impediscono, limitano o condizionano l’offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici” (art. 1, comma 1, lettera b) fissando un termine entro il quale i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni adeguano le relative normative (art. 1, comma 4). Tale normativa è palesemente incompatibile con qualunque previsione volta a regolamentare gli orari di apertura di un esercizio commerciale quale deve essere considerato un impianto di distribuzione di carburanti».

Questo è lo stato di fatto. O, meglio, anche se non è ancora lo stato di fatto, è lo stato di diritto, nel senso, per spiegarci meglio, che se un’azienda od anche un singolo operatore dovessero rivolgersi alla giustizia amministrativa [TAR] di fronte, ad esempio,  ad un  provvedimento di diniego da parte di un comune o una regione in materia di orari, troverebbero porte aperte e pronta soddisfazione, ma anche senza adire alla giustizia amministrativa basta che un funzionario pubblico decida di disapplicare le norme regionali in contrasto con l’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 27/2012.
È cosa gravissima, e che può senz’altro spiacere, ma andava comunque ri-precisata.

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2. I «diritti».
Su questo aspetto, a rischio di sembrare eccessivamente «laici», non vorremmo ritornare a fare discorsi sulle «conquiste» storiche della categoria anche in materia di orari, di cui abbiamo il massimo rispetto [chi scrive riuscì ad inserire nel 1990 nella legislazione della regione in cui vive la terza settimana di ferie per i gestori, quando tutta la disciplina nazionale e regionale ne prevedeva solo due], ma: a) intanto tutto è cambiato in questo settore, e ben altre e più fondamentali sono le «conquiste» infrante e svanite; b) la questione degli orari non è cosa separata da ideologizzare, ma è parte integrante di una attività – il gestore – sulla quale interrogarsi, non solo sugli orari, ma proprio sulla sua validità, autonomia e sostenibilità.

Rispetto alla questione orari-iniziativa ENI è chiaro che vi sono tre cose di cui tenere conto: a) domattina la concorrenza chiederà ai gestori degli altri marchi di fare la stessa cosa, b) dopodomani si farà piazza pulita di ogni residuo di un regime di orari; c) se la «fine degli orari» è già un fatto attuale per il diritto amministrativo [come si è spiegato sopra] non è ancora prassi nei fatti, sopravvive come in sospensione nei rapporti tra gestori e compagnie, e, soprattutto, non è mai stata codificata negli schemi contrattuali né negli accordi con le aziende petrolifere e rischia di realizzarsi senza alcuna negoziazione né remunerazione di sorta.
Cose tutte su cui i professionisti degli accordi e dei diritti hanno da pensare.

L’altra considerazione sui «diritti» è che la sostenibilità di un’attività imprenditoriale, per piccola che sia e marginale, si valuta ad orario solo in riferimento ad una profittabilità proporzionale alle risorse ed al tempo impiegato per conseguire un risultato, e ciò comunque in un quadro di fattori determinanti: almeno una minima autonomia, un valore della professionalità, un rischio ed una gratificazione.
Questi sono i veri e fondamentali «diritti» di un’attività che si è scelto di intraprendere, né si può pensare di barattare come un «diritto» – almeno se si è scelto di non essere un dipendente statale o si è dovuto scegliere così – un orario di lavoro stabile in cambio dei «diritti» veri di cui si è privati, autonomia, valore della professionalità, rischio e gratificazione economica e morale, ossia i diritti di una minima libertà economica.

Come si è già detto da queste stesse colonne, ma giova ripeterlo, in questo mestiere, almeno come è stato finora fissato nelle regole di fatto e diritto, «…possiamo dire che le compagnie petrolifere hanno dunque almeno quattro “autonomie” sostanziali: 1) il prezzo di cessione al “mercato” complessivo [ossia, si riservano la libertà di rifornire altri operatori della rete a prezzi di cessione che rendono impraticabile ed impossibile qualsivoglia competizione da parte del gestore sul piano del prezzo al pubblico], 2) il prezzo di cessione al gestore di marchio, 3) il prezzo consigliato al gestore e 4) il prezzo massimo del gestore, ossia almeno il 99 % del prezzo finale, mentre tutta l’“autonomia” del gestore sulla fissazione del prezzo vale circa un 1,00 % [uno] del prezzo finale nella modalità servito, valore che si dimezza allo 0,50 % nella modalità self».
Possiamo aggiungere che, con l’iniziativa ENI viene ora conferita, al gestore una seconda «autonomia», quella di aumentare, a sua scelta e ad esclusivo suo costo e rischio, l’orario di lavoro per imbarcarsi in operazioni «di nicchia» scelte da altri, in un contesto in cui gli sono preclusi tutti gli altri «diritti» economici autentici.

…& Altro.
Guardando in generale, siamo forse alla insperata «resurrezione» del servito?
Che la ragguardevole differenza di marginalità tra le due modalità sia il movente per le aziende a spingere sulla modalità per esse più remunerativa è fin troppo ovvio, specie in un periodo di prezzi calanti, dovuti al crollo del greggio e dei lavorati. Vi può essere anche una reviviscenza di tale modalità, ma non certo con caratteri di stabilità. specie in un contesto in cui il divario dei prezzi tra le due modalità continua – tranne che nelle «pompe bianche» – a crescere senza alcuna giustificazione rispetto al diverso livello di servizio offerto in contraccambio. E che questo non sia comunque né scontato né facile, semmai, la stessa operazione di nicchia tentata da ENI lo evidenzia.

Sta di fatto che in pochi anni le scelte commerciali delle aziende hanno fatto straordinarie piroette: dal self all’iperself spinto sino all’eccesso degli scontoni estivi, sino alla sublimazione del self nel ghost e, infine, un ritorno di attenzione, anche se non univoco, al servito, il tutto stressando non poco il consumatore e, soprattutto, spremendo e mandando a gambe all’aria i propri gestori. E dietro questi parossismi sono cambiate le norme del settore: reiterate liberalizzazioni formali, interventi a gamba tesa dell’Antitrust, procedure di infrazione europee, obbligatorietà del self, libertà al ghost, fine degli orari, mentre trasversalmente a questi anni di passione aumentavano le accise sui carburanti.

high contrast photo of old wall clock

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A parte le furberie della politica, che ha cercato di gabbare tutti facendo credere che il problema dei prezzi dei carburanti fosse solo un problema di mercato ingessato e non già di abuso della pressione fiscale, tutte le acrobazie ed i salti mortali delle aziende petrolifere sono solo lo specchio di una sorta di «schizofrenia» e mancanza di strategie? Troppo semplice e consolatorio ridurle ad un problema da psicananalisti, la verità è che questo è diventato il mercato e queste turbolenze sono e saranno un connotato stabile.

E questo rimanda al solito problema.

E questa parte riguarda la rappresentanza dei gestori.

In questa situazione del mercato – che non è di oggi – ci si mette due/tre anni a fare un accordo di colore, generalmente quando lo si firma, infine, sono già cambiate le condizioni di mercato e le strategie commerciali dell’azienda con cui si sta trattando, quando si comincia ad applicare l’accordo le cose sono cambiate ancora, ed infine si comincia a riscontrare, con meraviglia e rammarico, che le condizioni sono lontanissime [anche nel tempo, ormai] da quelle con cui si era cominciato, con tanta buona volontà e con tanta fatica, a trattare. Ci si è messo anni per misurare e codificare situazioni che nel mercato, nella rete – insomma nella realtà -, cambiano in pochi mesi o pochi giorni.

Per non parlare dell’impianto normativo che regola questo settore e segnatamente quello dei rapporti tra i gestori e le compagnie: sostanzialmente immutato, anche se solo formalmente applicato [e sempre più eluso] da 45 anni, come se la situazione di questi anni potesse ancora riflettersi in quello che era stato pensato allora e potesse fornire le medesime tutele; e se qualcosa di innovativo pure é stato scritto nelle norme più recenti per svecchiare i contratti, quel qualcosa é rimasto sterile ed intentato, non ha prodotto nulla, mentre paradossalmente nella realtà vera – non in quella perfetta ed astratta rappresentata nei «sacri codici» – hanno preso piede le più avvilenti forme di dipendenza economica.

Ecco. Finché non si cambia passo su tutto questo – ormai si è ripetuto fino alla noia! – ci si dovrà ancora «meravigliare», ieri del parabrezza da lavare, oggi del servito extraorario, come fossero cose del tutto impreviste che mai e poi mai neppure avremmo potuto immaginare………..

[G.M.]

Nota informativa
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