IL «VIAGGIO DI ULISSE» NELLE RETI CARBURANTI…(SENZA SCOPERTE…)
— 17 Luglio 2016STAFFETTA QUOTIDIANA ha ospitato lungo l’arco di alcuni mesi [da fine gennaio ad inizio luglio] una serie di nove articoli raggruppati sotto il titolo «Le riflessioni di un novello Ulisse in giro per l’Europa». Il «giro» è un ritorno – in perfetta sintonia con l’antico Ulisse – alla rete distributiva italiana dei carburanti dopo una partenza dalla medesima ed un viaggio temporaneo nelle reti svizzera ed austriaca. L’Ulisse [una scelta autoreferenziale più che simbolica] in oggetto è l’Ing. Riccardo PIUNTI, che, come presentato da STAFFETTA «ha lavorato nel downstream Eni occupandosi di rete, extra-rete, prezzi, marketing, pianificazione delle operazioni, prima in Agip Petroli poi nella Divisione Refining & Marketing dell’Eni. Seguendo tra l’altro tra il 2004 e il 2006, a fianco del direttore generale Mario Taraborelli, l’evoluzione del metodo di determinazione dei listini dei carburanti dell’azienda di Stato con l’introduzione di una serie di novità che hanno portato alla rarefazione delle variazioni, all’aumento della loro entità media, all’abbandono delle variazioni minime, prima sulle rete e poi in extra-rete, cambiando l’approccio alla politica seguita fino ad allora nei confronti dei gestori e dei rivenditori. Un’esperienza che gli è valsa la nomina nel dicembre 2007 a presidente e amministratore delegato di Agip Suisse (oggi Eni Suisse) e di Oleoduc du Rhone e dal maggio 2013 di Eni Austria. Rientrato in Italia nei mesi scorsi, ha lasciato l’Eni per limiti di età». Una figura professionale importante, dunque, e soprattutto ampiamente esperta – come l’Ulisse di Omero – del settore, del quale si presume conosca vizi e virtù o, per proseguire nella similitudine, sia i relativi «talloni d’Achille» che i «cavalli di Troia».
Pubblichiamo di seguito [per g.c. di Staffetta, che ne ha pubblicato il contributo in data 01.07.2016] la sua opinione sulla rete distributiva italiana.
<< Rete carburanti e italianità: perché siamo così diversi dal resto del mondo
Il nostro Ulisse, dopo i resoconti dei viaggi oltre le Alpi, continua a osservare come un fotografo curioso per fare qualche istantanea di aspetti, noti o meno, che caratterizzano alcuni Paesi, fra i quali, ovviamente, l’Italia, e per riflettere sulla origine delle numerose particolarità e rimarchevoli differenze fra l’Italia e il resto d’Europa.
La domanda che si pone è: “perché? come mai l’Italia si è evoluta in modo così diverso dagli altri Paesi?”. Partendo dai numeri e dalle statistiche, cercherà cioè di individuare le principali specificità Italiche nel settore per poi risalire alle possibili cause di questi fenomeni e discendere alle conseguenze sulla evoluzione del settore.
Partiamo quindi, magari considerandole da un punto di vista diverso, delle consuete statistiche sul tema della…… numerosità degli impianti (i soliti numeri, ma con qualche chiave di lettura diversa).
Abbiamo redatto alcune classifiche dei vari paesi Ue (base 2014), in ragione della numerosità dei punti vendita carburanti rispetto ad alcuni parametri; cominciamo con l’estensione della superficie del paese. In questo caso, l’Italia si colloca nella fascia di elevatissima numerosità, con ben 71 stazioni ogni 1.000 Km2, a valori ben oltre il doppio della media del campione, superata solo dai piccoli paesi. I grandi paesi sono tutti a livelli molto inferiori, attorno alla fascia di 20-40 stazioni per 1000 Km2. Un paragone estremo si può anche fare con un paese altrettanto, o meglio, ancor più orograficamente variegato e tormentato dell’Italia, come la Grecia, che ha, tuttavia, soltanto 47 stazioni per 1.000 Km2.
Un modo più facile di lettura può essere il calcolo dell’indice d’incidenza, in cui i valori di ogni paese sono riproporzionati, fatto 100 il valore della media del nostro campione europeo. Si può meglio vedere come, con un indice di 250, l’Italia abbia, pur rispetto alla sua estensione complessa e allungata, ben 2,5 volte il numero di stazioni della media del campione Ue. Con un indice superiore si registrano solo paesi di piccola taglia, nessuno fra i grandi.
Proviamo ora a fare la stessa analisi prendendo in conto la popolazione dei vari Paesi, altro parametro trainante, in modo indiretto ma decisivo, della struttura della rete.Anche qui si segnala l’Italia con 0,35 pv per 1.000 abitanti, a valori circa doppi di Francia, GB, Germania, tutti paesi posti ben al di sotto di 0,20 pv per 1.000 abitanti. Il paragone con i valori medi mostra, ancora una volta, il nostro paese con un rapporto elevato, 1,5 volte rispetto alla media del campione Ue, superato soltanto da qualche paese di minore taglia.
Tentiamo ora di guardare la numerosità dei pv da un punto di vista ancora diverso, cioè in rapporto all’economia nel suo insieme, il PIL, rapportando il numero d’impianti al valore del PIL in miliardi. L’Italia ha circa 13 pv per miliardo di PIL, a fronte dei colossi Ue che sono tutti attorno a 5 o meno.
Risulta chiaro che la nostra rete è sovrabbondante qualunque sia la chiave di lettura e d’analisi adottata e inoltre che il nostro Paese non è allineato, per questo aspetto, al modello europeo prevalente anche a confronto di quei paesi centro-europei dove la rete di distribuzione ha difeso le sue posizioni e non ha ceduto il passo né importanti quote di mercato all’avanzata dei supermercati, evitando quella che a volte viene indicata come desertificazione da ipermercati.
Riprendiamo ora le fila di tutte le differenze che abbiamo osservato finora nei nostri viaggi fra l’Italia e il modello europeo e cerchiamo di fare una sintesi complessiva. Passiamo dunque a elencare le principali specificità Italiche nel settore:
– la struttura della rete Italiana è normalmente più antiquata, ma soprattutto più frammentata e dispersa;
– gli impianti di piccola taglia e mal posizionati sono comunque in gran parte sopravvissuti ai piani di razionalizzazione previsti o dichiarati dall’industria;
– i prezzi si sono diversificati, negli ultimi anni, in modo rilevante pure fra siti a breve distanza fra loro, anche grazie a una non sempre chiara distinzione fra servito e self service, sia all’interno della stessa stazione che fra stazioni che praticano, realmente o meno, il self;
– le stazioni non sono normalmente gestite con controlli a distanza degli stoccaggi, del prezzo e delle operazioni di incasso;
– il non oil è poco sviluppato e ancor meno standardizzato a livello di Compagnia;
– il rapporto gestore–compagnia è meno stretto e coeso, funziona a camere separate e, di conseguenza, si opera poco “in rete”;
– gli orari di apertura non sono competitivi con quelli nella grande distribuzione;
– i marchi bianchi singoli e locali si sono diffusi in modo ampio e variegato rispetto, magari, a più strutturate “reti bianche” presenti (quando presenti) all’estero.
Con lo spirito del ricercatore empirico non possiamo che cercare le spiegazioni di questi fenomeni, rispondendo alla domanda: “se questi sono i fenomeni evidenti di differenziazione del nostro Paese, quali sono i fattori di divergenza a monte e origine di tali fenomeni?”
Dando per scontate le differenze originate dalla mentalità e dai costumi delle genti italiane, facciamo tuttavia alcune constatazioni specifiche relative al settore in Italia:
A. in Italia esiste, immutato, da sempre, il vincolo del contratto di comodato (per storia e struttura totalmente “benzinocentrico” e difficilmente adeguabile ai tempi) e di altre connesse regolamentazioni, senza uguali in Europa, che finiscono da un lato per interferire con armoniche politiche di pricing, lo sviluppo del non oil e le ottimizzazioni logistiche e, dall’altro, per rendere più complesso il turn-over dei gestori (che, in Europa arriva a interessare quote di oltre il 5% delle stazioni ogni anno, con un forte interscambio da e verso altri settori commerciali);
B. la categoria organizzata dei gestori naturalmente rafforza le barriere difensive in uscita mentre, di converso, le barriere all’ingresso permangono anche grazie alle difficoltà finanziarie derivanti dall’acquisto del prodotto anziché dalla sua gestione in commissione; il tutto rende il sistema meno aperto da e verso altre tipologie di commercio e di commercianti;
C. la normativa italiana degli orari degli esercizi commerciali si è evoluta solo dove hanno agito forti istanze di settore (come ha fatto e ottenuto per sé la grande distribuzione) e non in modo organico e omogeneo fra i comparti diversi, lasciando al palo proprio il settore rete carburanti, frenato, al suo interno, da interessi solo apparentemente divergenti fra le sue diverse componenti;
D. Garanti, Stato e Autorità locali (e le compagnie?) non hanno esercitato un ruolo di guida sufficientemente forte e incisivo e di respiro ampio in direzione di un’effettiva armonizzazione con l’Europa, a volte puntando più a normare i dettagli (per esempio: come adeguare comodato e non-oil? quale la trasparenza corretta dei prezzi?) che il quadro generale.
Quali sono le conseguenze di tutto ciò sulla evoluzione del settore nel tempo?
Per lunghi anni il sistema è rimasto sostanzialmente ingessato, con una dominanza nel mercato da parte delle compagnie, con un pricing molto compatto e stabile, strutture bloccate, ma pur tuttavia in grado di sopravvivere…… poi le spinte del mercato sono arrivate (vieppiù a seguito della crisi, del calo drammatico dei volumi, dello scrollone dello “scontone” e di nuove politiche di pricing differenziato, dell’aumento degli indipendenti senza marchio di Oil Company…) e hanno agito all’interno del settore in modo involutivo e, in modo trasversale, pressando dall’esterno:
– i supermercati hanno finito per confiscare una parte delle prospettive future del non oil;
– i prezzi sono andati verso una diversificazione alquanto disordinata e poco comprensibile, anche a causa della frammentazione dei marchi e delle aziende;
– le compagnie hanno un ridotto interesse a investire sulla qualità delle strutture (automazione, controlli a distanza, non oil…) non avendo modo né, da un lato, di meglio integrarsi con i gestori né, dall’altro, di programmare facilmente la concentrazione su un numero più limitato e selezionato di stazioni;
– tutto il settore è rimasto confinato alla centralità della benzina, la cui domanda è anelastica (cioè di fatto indipendente da prezzo, qualità, marketing…) e non in grado di sostenere, nel medio-lungo termine, il costo e il valore crescenti dei beni e delle strutture impiegati;
– l’illegalità è avanzata (al di là della endemica spinta della malavita) grazie alla crisi, trovando più spazi di azione, meno controllo e più domanda.
Insomma la redditività complessiva del settore, erosa dall’esterno e incapace di tenere un ritmo evolutivo sano di crescita quali-quantitativa, si sta richiudendo su se stessa, mentre la parallela crisi e razionalizzazione del sistema di raffinazione riduce l’attrattiva della rete come outlet privilegiato della produzione.
Questo è quello che si chiama (nel gergo aziendale) l’”as is” (il com’è). Si può tuttavia dire che il modello “to be” (cioè verso il quale si dovrebbe andare) esiste già…… è l’Europa.
Basta varcare la frontiera, sperando di non trovare muri che ci blocchino, e percorrere le strade di Austria, Germania, Svizzera… Il primo maestro televisivo della nostra storia, Alberto Manzi, diceva sempre che … “non è mai troppo tardi”.>>
Nel premettere che si condividono alcune delle analisi – peraltro risapute da tempo – sulla rete italiana, va detto che le reti di cui parla, o che propone a modello, Ulisse-Piunti [in almeno sette dei nove articoli della serie], sono qualcosa di ben diverso dalla situazione italiana.
Sono o reti connesse ad altre attività locali ed autonome prevalenti [come in Svizzera: «…la benzina non è al centro di questi siti; il proprietario la usa come un servizio aggiuntivo per i suoi clienti e per il villaggio; insomma cerca di mettere a reddito questo asset senza dargli più importanza che tanto, ma traendone i dovuti vantaggi. In altri termini egli non è un gestore di stazioni di servizio, né un benzinaio; è un piccolo o medio imprenditore che si occupa di auto (meccanico, gommista, garagista) oppure le vende, a volte è il “car-dealer” del villaggio dove il suo nome vale come garanzia per la qualità della riparazione o del modello di auto che egli propone in vendita»], e/o, in ogni caso, anche nelle reti strutturate in grandi impianti delle Oil Company, «la benzina non è più la “prima donna” nel punto vendita».
Così come gli istituti che regolano il rapporto con le gestioni [gestori indipendenti per via delle «mille qualità del gestore ed i limiti della gestione diretta»] – in un contesto, come già detto, in cui la vendita dei carburanti ha un valore minoritario rispetto al complesso delle attività del punto vendita – sono né più né meno che il contratto di commissione [«le tipologie possono variare in funzione dell’erogato o della durata del turno (24 ore vs 16, p.es.) , ma la sostanza è che, normalmente, le commissioni sono, in ragione della presenza importante del non oil, ridotte al massimo a 2-3 centesimi/litro»], così che «….non essere proprietario del carburante ha, per il Gestore Europeo, un’altra conseguenza importante. Non deve disporre del capitale circolante per finanziare l’acquisto dello stoccaggio del prodotto e, d’altro lato, non deve configgere con la Compagnia nella definizione di una adeguata dilazione, se concessa o concedibile, del pagamento. Come noto, la mancanza di capacità finanziaria di un Gestore può essere, oltre che il problema che porta al fallimento della gestione stessa, la barriera all’ingresso di validi operatori che si candidino a quest’attività, per la quale, come noto, le compagnie pretendono adeguate garanzie a salvaguardia del pagamento della fornitura. Minori barriere all’ingresso, minore rilievo finanziario del tema “acquisto benzina”, meno problemi, quindi, se la benzina non è al centro».
Insomma, Ulisse – che pure non è né un ingenuo, né un signor Nessuno rispetto al mondo petrolifero nazionale – ci indica come risolutivi modelli «esotici» che, a) nelle realtà in cui sono applicati, non sono nati ieri, ma si sono consolidati nel tempo, che b) nella nostra Itaca-Italia non sono applicabili solo con un atto di improvviso ravvedimento che possa fare piazza pulita di decenni di scelte che sono andate in tutt’altra direzione [ad esempio, lo sradicamento della rete dalle attività autonome ed accessorie, la mitologia degli impianti portanti per finire all’opposto con la scorciatoia del ghost , l’eccesso di «oilcentricità», e via dicendo] che c) sono stati preventivamente scartati per responsabilità precisa delle così dette Oil Company, le quali peraltro portano altresì la responsabilità diretta anche dell’evoluzione/involuzione del mercato, in un complesso ed alla lunga ingestibile gioco di prestigio per conciliare l’imprinting del modello di rete portante, ma nel contempo la sua terziarizzazione e dequalificazione, per difendere quote di mercato in extrarete facendo concorrenza alla propria rete, insistendo nel contempo nell’ossessione del controllo del prezzo, nonostante il mercato sia ormai ampiamente «bucato».
Insomma, sembra un po’ tardi per credere alle illusioni del canto delle sirene in un contesto in cui le medesime Oil Company, quando non scelgono di andarsene, vanno in un ordine che più sparso non si può nell’affrontare il mercato. [G.M.]