INTERVISTA AL PRESIDENTE FIGISC, BRUNO BEARZI

INTERVISTA AL PRESIDENTE FIGISC, BRUNO BEARZI

Situazione gravissima nella rete distributiva dei carburanti: gente a casa, traffico in buona parte bloccato, vendite a picco, presìdi sanitari insufficienti, liquidità esaurita, eppure i benzinai sono lì a svolgere un servizio ancora ritenuto tra quelli essenziali. 

Dopo una prima fase, in cui ancora quindici giorni fa il massimo del sostegno offerto da compagnie e retisti ai gestori era quello di invitarli “a tutelare al meglio la salute delle proprie risorse” ed “a provvedere in proprio all’acquisto e all’utilizzo dei presìdi sanitari di base”, è subentrata da una settimana a questa parte una fase almeno più costruttiva, ancorché non di tutti i soggetti della rete. 

Sono stati sottoscritti “accordi di emergenza” con ENI (il primo in data 20 marzo), IP, Assopetroli e sono in corso di definizione con Q8 ed EuroGarages. Tutti questi hanno in comune, con alcune variabili da azienda ad azienda, alcune misure tampone per la fase più acuta della crisi, intervenendo in materia di drop e di pagamenti, di attivazione del self prepay, di dotazione dei DPI indispensabili, di coperture assicurative sanitarie, di rimodulazione di orari di servizio, di pagamento dei canoni di locazione dei locali commerciali, nonché di interventi a diretto sostegno con misure economiche una tantum di quanti per effetti diretti del contagio da COVID-19 siano impossibilitati a condurre gli impianti, e salvo l’impegno formale a definire ulteriori misure a fronte di specifiche difficoltà segnalate dalle Associazioni dei gestori.

Questi accordi e quelli in via di perfezionamento vengono messi a conoscenza degli operatori associati e le Organizzazioni restano attive ed in osservazione (e da qui il nostro hashtag #LAFIGISCNONSIFERMA) della loro applicazione e delle misure che fossero da implementare, oltre alle forme di intervento accessibili – con tutti i tempi e le burocrazie necessarie – previste dalle norme di sostegno del Governo ad imprese e famiglie e con pienamente attivi i canali istituzionali (da oggi, ad esempio, si attiva in conference call il tavolo di lavoro coordinato dal Ministero dello sviluppo economico). 

Certo che quanto codificato in questi “accordi di emergenza” non può essere risolutivo e  adeguatamente rapportato alle urgenze dei gestori, ma in questa prima fase risulta pressoché impossibile definire altro, anche per via di un  contesto di crisi che coinvolge l’intero Paese e tutte le realtà produttive e di servizio, nessun settore escluso. E, comunque, alcuni impegni economici dell’attività di gestione vengono solo differiti (creazione di debito dilazionato, in sostanza) a fronte di una liquidità ormai già esaurita a  causa di un crollo delle vendite che è già avvenuto e non è purtroppo anch’esso “differibile”, e che, peraltro, si propaga velocemente risalendo l’intera filiera distributiva e produttiva del comparto. 

Tutti questi accordi emergenziali si sono posti in scia di quello per primo attivato con ENI, per il quale va detto che ci siamo impegnati fino in fondo per concludere, consapevoli dei suoi limiti, ma anche del pessimo segnale in caso di una mancata convergenza, in primis per dare un sollievo al gestore, indi per costituire un esempio, dopo qualche settimana del muro di indifferenza, anche per il resto dei soggetti della rete. 

Altro dovrà essere definito a seconda dell’evolvere della situazione, innanzitutto rispetto alla protrazione ormai certa delle misure restrittive dettate dall’emergenza sanitaria (ulteriore calo delle vendite, proroga delle dilazioni), e “dopo”, una volta usciti dal tunnel sanitario, per ricostruire una condizione di graduale normalità che difficilmente sarà lo specchio di “prima” considerate le cicatrici indelebili che questa vicenda lascerà impresse sull’economia non solo nazionale, ma globale, e di riflesso sull’occupazione ed il futuro delle nostre imprese e dei nostri giovani. 

Di sicuro dovrà essere garantito alle nostre microimprese l’accesso a tutte le misure di sostegno già emanate (e da organizzare per la loro reale applicazione ed efficacia, già in ritardo rispetto alle esigenze) e prossimamente emanande (il “decreto aprile”) in un contesto di chiarezza ed equità (per intenderci, non alla stregua delle “ruota della fortuna” dei click day che sembravano doversi applicare ai sussidi agli autonomi). 

Se dovessi spiegare al Governo perché l’attuale situazione è devastante per i gestori della rete carburanti cosa sarebbe importante far capire? 

Quello che è facilmente intuibile senza essere stati alla Bocconi  e che riguarda una grande fetta di imprese, soprattutto quelle commerciali: se non si vende non si incassa, non si arriva a pagare il prodotto in giacenza, e, oltre al circuito acquisto/vendite di merce, neppure i costi di gestione, l’onere dei dipendenti, le tariffe dei servizi tecnologici, ecc., ed inoltre perché anche se si arrivasse a razionalizzare il ciclo breve (comprando quel tanto che si sa di poter arrivare a vendere, e anche questo nel nostro settore ha dei vincoli imposti dai fornitori che solo in questi giorni si stanno attenuando), nel caso – come questo – in cui il quantitativo di prodotto diventa troppo esiguo, il bassissimo margine per singola unità di prodotto non può giustificare la sostenibilità economica della attività della microimpresa del benzinaio. Senza liquidità, credito, dilazione del debito, misure di sostegno diretto, e con incassi marginali chiunque capisce come va a finire. 

E se la prima circostanza (il crollo delle vendite) è conseguenza dei provvedimenti governativi di restrizione della mobilità come deterrente alla diffusione del contagio, quindi una congiuntura gravissima di ordine generale ed esterna al settore, la seconda (l’insufficiente rimuneratività) è un elemento tutto strutturale ed interno della distribuzione carburanti: con 0,035 euro/litro per un erogato medio per punto vendita di 1,3 milioni di litri/anno (regola “del pollo”), il risultato di esercizio è di 45.000,00 euro/anno, con cui remunerare costi, canoni, tariffe, addetti, imposte e previdenza. Una gestione di conto economico così risicata che persino l’avvento della fatturazione elettronica ha messo in crisi per i costi diretti ed indiretti derivanti dall’ennesimo adempimento, figurarsi in che condizione viene ridotta dalla cortocircuitazione del flusso finanziario di base. 

Si aggiunga (ricordo che dovrei far capire al Governo alcune cose del mondo della distribuzione) che in questo settore le cose funzionano in un certo modo. Il fornitore, che è anche proprietario in genere del punto vendita di carburanti (ossia la compagnia petrolifera o il retista, ecc.) vincola il gestore cui viene affidato l’impianto alla fornitura in esclusiva dei prodotti, ne fissa praticamente al 100 % il prezzo di vendita al pubblico e ovviamente il prezzo di fornitura al gestore stesso – che in genere avviene a valori molto più elevati di quelli con cui viene ceduto agli operatori indipendenti, alla grande distribuzione –  a fronte di un margine di 0,035 euro/litro, come già detto in precedenza. La concorrenza di chi ha accesso ai prezzi più favorevoli penalizza ovviamente le vendite del gestore che deve comprare al prezzo più caro e che ha un margine fisso che non può variare perché, pur essendo impresa formalmente, non decide in nessuna fase il prezzo dei beni che vende. Coronavirus a prescindere, ossia, questa era la situazione da anni consolidata già “prima” del COVID. 

Politica e media hanno equivocato sullo “sciopero non-sciopero” con giudizi, stroncamenti, rettifiche, ma fra chi non ha capito, altri più addentro al settore, hanno capito. 

E di un tanto ringrazio chi ha cercato di capire.

Alle volte, soprattutto in situazioni come quelle che questa categoria sta vivendo, può essere che i segnali che si lanciano non siano esattamente limpidi ed inequivocabili e si intenda consapevolmente che possano essere interpretati in modo diverso.

Come che sia quanto è stato rappresentato all’universo mondo voleva lanciare un grido di aiuto (peraltro ripetuto singolarmente o collettivamente più volte sin dall’inizio del mese di marzo) e dare un avvertimento di cui tutti dovessero essere consapevoli trattandosi di preservare un servizio essenziale che anche in questa emergenza rimane tale perché la mobilità che si tratta di rifornire è oggi strategica alla sopravvivenza del Paese. 

Se i gestori vengono lasciati soli – questo il senso di quell’appello – a sostenere questo impatto in una situazione in cui erano già fragili “prima” di tutto ciò, se gli altri attori del settore, piuttosto che Governo ed istituzioni, si girano dall’altra parte, da soli non potranno farcela.

Il senso, insomma, è “aiutateci a continuare questo servizio”, e maggiormente ora al servizio del Paese colpito da una sciagura che non avremmo mai neppure immaginato.  

Perché il gestore c’è comunque, è lì sul pezzo, anche se, di emergenza in emergenza, non c’è mai stato né tempo né voglia per risolvere i suoi problemi. 

Un’affermazione, quest’ultima, che suona intuitivamente familiare, ma che forse è meglio precisare…. 

Oggi stiamo attraversando una fase  in cui ci sarà poco e nullo tempo per affrontare qualcosa di più che non sia l’assoluta emergenza quotidiana. 

Una volta di più sembra – per dirla tutta – che, per una questione o per l’altra, per una emergenza reale o per una priorità fittizia, non sia mai l’ora “per” il gestore, l’ora, cioè, di risolvere qualcosa, una volta tanto, a suo favore. Ci sono sempre state “emergenze” più supposte che reali in nome delle quali non si è affrontato il nodo del ruolo del gestore nella filiera del mercato distributivo, emergenza prezzi, emergenza concorrenza, emergenza ristrutturazione, emergenza ambiente, emergenza illegalità … ogni volta c’è qualcosa che si sovrappone, o, nel migliore dei casi, che va affrontato da una prospettiva “complessiva” di settore che però finisce per cancellare semplicemente dall’agenda la soluzione delle sofferenze della categoria. 

Così, ad esempio, la ristrutturazione della rete (che con c’è mai stata) avrebbe – ogni volta che si è riportato, anche a distanza di anni, in auge il punto – consentito di ridurre il numero di impianti e quindi “dopo” di aumentare l’erogato medio degli impianti residui, rendendo così inutile discutere “prima” di contratti o di vincoli commerciali.

La liberalizzazione della rete e dei prezzi – con tutte le variabili connesse, dalle pompe bianche alla ghostizzazione all’informazione pubblica della concorrenza privata dei prezzi, un ambiente così più idoneo al rincaro delle accise sui carburanti -, riguardando la più vasta platea dei consumatori non poteva che venire ovviamente “prima” della corrispondente liberalizzazione dei vincoli contrattuali cui i gestori erano soggetti e sui quali si sarebbero scaricati, in quelle condizioni, gli effetti più devastanti della liberalizzazione di tutto il resto del settore. 

E, dopo sondate tutte le variabili del mercato “legale”, aumento delle imposte e libera circolazione dei prodotti, liberalizzazioni e creatività inventiva hanno fatto esplodere l’emergenza illegalità, una bolla che si è gonfiata negli anni posteriori al “Salva Italia” e che infine è stata affrontata alcuni anni dopo, guarda caso con una coda gravosa (quanto inefficace a contrastare l’illegalità vera e propria) di adempimenti e costi proprio per la categoria dei gestori, ancora una volta lasciati a subire gli effetti, sempre con le mani legate dagli schemi contrattuali e dai vincoli sui prezzi, di tutti i mercati legali ed illegali.

Un’emergenza (vera certamente! ma, che responsabilità ha il gestore?), ma sotto la cui ampia ondata si è riusciti a far diluire le molte cose buone che giusto un anno fa la risoluzione De Toma aveva portato all’attenzione del Parlamento: diciotto righe di specifiche misure di natura contrattuale e normativa nei rapporti gestori-aziende [punti b), d), e) f) ed i) con cui la risoluzione “impegnava il Governo”], poi asciugate in poche generiche petizioni di principio nella versione uscita dall’esame in Commissione. 

Ed infine a che serve affrontare marginali problemi di categoria (peraltro l’ultimo anello della filiera!) di un settore nel suo complesso ormai obsoleto, quando gli obiettivi, dati per certi a questo o a quel termine di qualcuno dei prossimi venturi decenni, sono quelli della rivoluzione ambientale, della sostituzione del parco vetture, della fine del fossile (non si sa con quali mezzi ed incentivi, e con quale gettito fiscale alternativo, ma avanti popolo!)? 

E oggi, infine, un’emergenza drammaticamente autentica, niente fiction in questo palcoscenico che non avremmo mai pensato di calcare. E il gestore, quello per cui non c’è mai tempo, quello che viene “dietro” e “dopo” tutte le altre emergenze vere o fasulle, quello per cui non è mai ora di risolvere qualcosa, quello per cui non si è fatto nulla per riuscire a renderlo almeno un po’ resiliente al mercato normale (figuriamoci ad una recessione globale) è sempre e ancora in postazione sul suo impianto, non c’è invenzione che tenga, che sia un ghost o un’auto elettrica. E, come ogni altro cittadino responsabile, in questo momento così buio per l’Italia, è ancora pronto a fare la sua parte. Ma lasciato solo non potrà, con tutta la sua generosità e buona volontà, farcela a lungo! 

Se e quando, infine, si uscirà da questo incubo forse si prenderanno a pretesto altre “emergenze” per continuare a tenere la categoria in un limbo di “specialità” del tutto estraneo alla “normalità” delle regole commerciali e di impresa che valgono per tutti gli altri?

Nota informativa
a cura della Segreteria Nazionale FIGISC - ANISA
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