LETTERA APERTA AD ENI

LETTERA APERTA AD ENI

 

A distanza di ormai sei mesi dalla firma dell’accordo di dicembre è più che mai opportuno, più che mai necessario, porre all’azienda qualche preciso e diretto interrogativo.

Scegliere di farlo apertamente non preclude in alcun modo che si procederà comunque a farlo anche con tutti gli aspetti formali e nell’auspicabile massima condivisione di tutte le componenti di rappresentanza della Categoria.

Già sono diverse le problematiche aperte e non ancora risolte in sede di applicazione dell’accordo stesso – cui si aggiunga che le procedure di verifica della sua attuazione tra le parti che lo hanno sottoscritto non vengono attivate nei termini ivi previsti -, al punto che già le Organizzazioni di categoria dei gestori hanno sollecitato ripetutamente, e purtroppo senza adeguato riscontro, un confronto con l’azienda stessa.

Nuovi fatti ci vengono recentemente e ripetutamente segnalati, con particolare riferimento alla gestione del prezzo consigliato nelle due modalità «self» e «servito» per una aliquota di impianti di marchio sul territorio: a tali impianti [cosìddetti «special»] – a cui erano state accordate condizioni [e relativi vincoli] particolari di prezzo, proprio in considerazione della particolare aggressività della concorrenza nel micro mercato locale -, sarebbero stati aumentati, anche in maniera sensibilmente elevata, i prezzi consigliati nella modalità «servito» ovvero aumentata ulteriormente la «forchetta» di prezzo tra la modalità in «self» e quella in «servito».

Ora, è di tutta evidenza che tale condotta – indipendentemente da «quanti» impianti [e pure da «dove», «come» ovvero «di quanto»] essa coinvolga – espone quei gestori, della cui situazione di non competitività particolarmente grave la stessa azienda si era fatta inizialmente responsabile, ad una premeditata penalizzazione economica e di mercato, all’impossibilità di poter giustificare un divario così troppo elevato tra i due prezzi – in nessun modo relazionabile con il valore del servizio prestato -, allo sviamento della clientela, alla perdita di erogato, alla penalizzazione del margine di base ed anche di quello differenziale sul servito, alla assunzione di costi passivi del tutto improduttivi per sostenere lo svolgimento del servizio.

Per cui, pubblicamente e formalmente, per questi gestori non si può richiedere altro che l’immediato ripristino delle condizioni precedenti all’intervento unilaterale sul prezzo.
Lo richiede, se non altro, il minimo rispetto dell’accordo sottoscritto dalle parti il 19 dicembre del 2014, che – come altri accordi, nel marchio, in altri marchi e nel settore – non può essere sempre e solo soggetto ad interpretazioni arbitrarie, casuali, indefinite, a seconda del caso e del momento, di una delle parti contraenti – cosa, del resto, di cui siamo stati lungamente testimoni -.

Né «solo» dell’osservanza o meno dell’accordo si tratta.

ENI LOCO

Tale problematica – unitamente alle altre cui abbiamo prima solo vagamente accennato – rimanda, infatti, ad una questione di fondo a carattere generale.

È ben noto ad ENI che l’accordo è stato faticosamente sottoscritto in funzione di alcuni contenuti normativi – su quelli economici è stato usato l’eufemismo dell’accordo «di solidarietà»! – su cui, da parte delle Organizzazioni di categoria, si sono capiti/o si sono voluti vedere/ segni di speranza e di controtendenza:

1) un riposizionamento del ruolo del gestore rispetto alla deriva della automatizzazione totale,

2) un ripristino della intangibilità del margine concordato rispetto alla lunga stagione della compartecipazione sugli sconti di iperself,

3) qualche regola per condizioni più eque per competere rispetto alla esperienza negativa dei cluster,

tutti concetti «sindacalesi» teorici che assumono un valore reale – visti i tempi che attraversiamo e la situazione del settore, in cui le norme su negoziazione e contratti sono scritte, ma inefficaci – se e solo se possono essere riscontrati da un progetto «aziendale» di concreta politica commerciale tutto sommato non incompatibile con essi.

Così i gestori si sono organizzati la risorsa umana ed un minimo di piano economico per affrontare faticosamente la nuova politica commerciale del marchio. Nell’ottica e nella speranza, dopo anni di esperienze negative, di una ragionevole stabilità della stessa, condizione minima per verificare erogati, costi, ricavi e risultati, insomma per poter ancora lavorare.

Ciò che ora – al di là del rispetto delle regole concordate, che diventa astratto e quindi del tutto inefficace quando le regole, come avviene beninteso non solo in ENI, vengono cambiate «in corsa», o quando le strategie commerciali durano lo spazio di una stagione o quando cambia il management o quando vi sono oscillazioni/incertezze/diversità di posizioni sulle stesse strategie, o quando si risponde azzardosamente alle sollecitazioni del mercato, cioè sempre – è il caso di chiedere all’azienda se quel progetto di politica commerciale, che è stato alla base di un difficile incontro tra contenuti «sindacali» e scelte aziendali, sia ancora valido o stia cambiando qualcosa e se non vi siano tentazioni di riportare le lancette dell’orologio indietro, cioè alle politiche commerciali precedenti.

L’eventuale risposta che la politica commerciale è sempre quella, se non altro perché comprovata dalla partenza alla grande della campagna di marketing sul «+Servito», non è che una mezza risposta [cui si potrebbe, peraltro, obiettare che meglio sarebbe stato riversarne il costo per limare il divario tra i prezzi nelle due modalità di offerta, dal momento che l’efficienza competitiva del marchio sul mercato è comunque critica]: i gestori, ed anche le loro Organizzazioni, sono stati a lungo abituati a trovarsi tra capo e collo repentini cambiamenti e capovolgimenti di indirizzo che ne hanno prodotto fin troppo spesso solo il default economico.

Segnali come quelli sulla modificazione unilaterale dei prezzi che abbiamo più sopra denunciato [ma potremmo parlare della campagna a tappeto di contestazione di superamento del prezzo massimo, la stessa vicenda del recesso dall’accordo della rete autostradale – solo per parlare delle cose più importanti, e neanche di tutte], pur sapendo che l’azienda gioca comunque la carta del massimo di «flessibilità» [«flexability» sarebbe il termine giusto], sono indizi inquietanti di una situazione per nulla definita e in odore di ennesima e non negoziata mutazione.

Sarebbe bene che ENI, dunque, chiarisse quanto prima – peraltro rispondendo ai pressanti inviti già fatti anche sulle altre partite aperte sulla gestione dell’accordo – a tutte le Organizzazioni della categoria la questione di fondo che è stata qui posta – la tenuta dell’accordo, in quanto discendente dalle norme del settore, e della politica commerciale in esso sottesa, quale scelta dell’azienda, nonché la loro reciproca compatibilità – e, quale primo utile segnale di una possibile conferma, ripristinasse le condizioni di prezzo a coloro a cui le ha alterate.

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