NOSTALGIA (TARDIVA) DEL «BEL TEMPO ANDATO»?

Torna sulle colonne di STAFFETTA di venerdì 16 dicembre ULISSE-PIUNTI con una lunga ed articolata riflessione sulla raffinazione e sulla rete dal titolo evocativo «Se il downstream petrolifero rischia la “disintegrazione”».

Quanto dice sugli scenari della rete in Italia, lo riportiamo [per g.c.] testualmente:

<<La Shell ha abbandonato il mercato nel 2015 (per buona sorte a favore di una compagnia di livello di un paese produttore), la Esso sta attuando, da alcuni anni, una politica di cessione delle stazioni con concessione temporanea dell’uso del marchio in sintonia con quanto già fatto in altri Paesi, mantenendo il rifornimento dalla sue raffinerie italiane (che avrebbe desiderato cedere?).

La joint venture TotalErg è alla ricerca di un compratore diverso da entrambi i partner attuali, che, ricordiamolo, sono una major e un operatore italiano di antichissima tradizione petrolifera.

Nel contempo, una miriade di piccoli impianti, un tempo sotto l’ombrello del marchio delle majors, si sono “messe in proprio”, generando una pletora di marchi indipendenti, cui ha fatto limitato argine il Progetto Retitalia. Indipendenza, che vuol dire assunzione di regole da piccola impresa e abbandono degli standard, a volte criticati ma utili, delle majors; indipendenza, che può voler dire nessun filtro sulla taglia minima e nessuna politica di razionalizzazione di siti inadeguati; indipendenza, che può coltivare, sotto piccole e vecchie pensiline e non solo, la mala pianta della illegalità e del mercato nero.

A riprova di ciò gli impianti con marchio “altro” ammontano oramai a circa il 20% degli impianti (UP) e il numero di marchi complessivamente presenti nella statistica periodicamente elaborata dalla Staffetta è pari a circa 130! Quali sono le potenziali conseguenze di questa politica di abbandono (al momento realizzata in alcuni Paesi) da parte delle majors, anche nel settore distributivo a livello europeo?

In primis, l’elemento differenziante una major è sempre stato il “service”; le reti delle majors si sono da sempre caratterizzate per una forte connotazione “Rete”, che significa che più che un insieme di stazioni sono sempre state gestite e sviluppate “come una Rete” per offrire servizi omogenei in tutti i siti, strumenti di collegamento di catena (fuel-card, carte promozionali, marketing integrato,…) e sfruttare al meglio le sinergie di dimensione. Il tutto, peraltro, è caratterizzato da un concetto di qualità e di standard prestazionali elevati.

É chiaro che la “rottura delle Reti”, la gestione di singoli operatori indipendenti o di operatori di Rete con finalità diverse (vedi la spinta verso il “ghost” da parte di molti), il taglio agli investimenti esprimono una tendenza più al “low cost” che alla qualità.

Nel caso italiano, la grande frammentazione e gli standard qualitativi dei piccoli punti vendita, a volte “inadeguati”, aggravano ancor di più questa situazione, che probabilmente si coniuga con un tasso attuale e previsto d’investimenti di mantenimento molto ridotto e, come abbiamo visto, con un livello di controllo sul punto vendita [anche in termini di legalità e compliance (N.d.R.: osservanza delle norme e delle regole)] spesso insufficiente.>>

ULISSE-PIUNTI così va a concludere la sua esposizione :

<< In termini generali possiamo dire che il downstream, nella prospettiva attuale, appare più che un business maturo, un business che rischia di avviarsi al tramonto mentre, da quanto si vede, non è certo che una nuova alba luminosa si affacci presto all’orizzonte.Va anche detto che la presente situazione mal si coniuga con le sfide che si stanno approssimando e che richiedono un forte supporto di pianificazione e sviluppo: l’avanzata dell’elettrico (e del metano) potrà trovare spazio nella rete attuale o sarà lasciata a nuove strutture distribuite e disperse? La valorizzazione di siti “preziosi” come posizione commerciale ridarà smalto alla rete petrolifera o ne segnerà la fine per un migliore e altro uso? Insomma molte domande alle quali, a differenza di quanto accadde per le sfide del passato, non saranno lì a rispondere le grandi, magari lente ma efficaci majors, ma una pletora di newcomer [N.d.R.: nuovi entranti] e operatori di taglia e strategie diverse o in conflitto, con visioni di breve o di lungo, con capitali disponibili o meno, con rigore legale e normativo o meno…>>

Quanto esposto più sopra, sia pure in un ragionamento più complesso e generale, fa – casualmente – pendant con quanto di recente è stato recentemente affermato dallo stesso Presidente di UNIONE PETROLIFERA, SPINACI, che, stigmatizzando l’involuzione qualitativa e di efficienza della rete e l’illegalità strisciante, punta il dito dritto su quel mondo caratterizzato dal «proliferare di una terza categoria di punti vendita: quelli a basso erogato (che magari in precedenza erano convenzionati con le compagnie petrolifere)» alla cui chiusura/cancellazione «dovrebbe essere il mercato a portare, ma ciò non avviene anche per la diffusa illegalità che caratterizza il comparto».

Sembra di cogliere, pur tra diverse prese di posizione di soggetti diversi e da diverse angolature, un’aria di «nostalgia» del «vecchio monopolio» petrolifero – usiamo in senso lato un’espressione sintetica, ma efficace per rendere il concetto -, ormai incrinato definitivamente sia dalla crisi del settore e delle marginalità, che dall’apertura irreversibile del mercato, sia dalle passate avventurose scelte «controllate» di terziarizzazione «della» rete che dalle più recenti fughe «dalla» rete.

Alcuni anni fa [Figisc Anisa News n. 2 del 20.01.2010] ci eravamo permessi a proposito del così detto «nuovo» che avanzava nel settore [salutato dall’unanimità come la migliore evoluzione possibile e la migliore convenienza per il consumatore (e per la politica «stressata» dal problema mediatico dei prezzi)]  di svolgere la seguente considerazione: «Queste sono condizioni, appunto, da outsider, condizioni che non sono replicabili se a questi soggetti venisse affidato quel ruolo di gestione di un sistema complesso, integrale e capillare, coordinato e centralizzato in alcune sue fasi, che ha caratterizzato il ruolo dell’industria petrolifera nella distribuzione, con gli annessi riflessi dei costi di scala e sistema sul prezzo finale. Ci si scordi che questi soggetti siano disposti a supplire al ruolo che è, che fu, dell’industria petrolifera. Non è questo il loro punto di appeal ed essi hanno, appunto, forza ed interesse finché rimangono una “nicchia” del sistema, sfruttano un ruolo antagonista di straordinaria visibilità e rifuggono – si badi bene – dall’assumere un ruolo totalizzante di responsabilità verso il sistema».

Bene: – e non è affatto né una soddisfazione, né una consolazione – l’abbiamo detto molto prima che lo scoprisse la controparte.

Trasferiamo ora le cose da un piano generale a quello più particolare all’interno delle relazioni della filiera. Sono passati da allora alcuni anni; l’evoluzione negativa del mercato, unitamente al deterioramento gravissimo del sistema di relazioni commerciali tra industria petrolifera e quelli che una volta si chiamavano «gestori», rende oggi proprio per questi ultimi inutile e persino spiacevole ogni residua «nostalgia del bel tempo andato» – non c’è nulla di buono, infatti, da rimpiangere negli ultimi dieci anni! -, rendendo semmai sempre più necessaria ed urgente, a cominciare dagli strumenti contrattuali, quella «indipendenza» [che vorremmo poter declinare come un’«equa reciprocità»] di ruoli che non c’è mai stata, neppure nei tempi di cui ora qualcun altro sente nostalgia.

 

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