IL CASO DI UNA IMPROBABILE… «VITTIMA» (& ALTRO…)
— 5 Marzo 2017Fedro, un greco «romanizzato», duemila anni fa scrisse la famosa favola del lupo e dell’agnello. La storia è la seguente: un lupo ed un agnello assetati capitano allo stesso ruscello, il lupo però stava più in alto e l’agnello assai più in basso; il lupo, che aveva anche fame, volle attaccare lite.
«Perché» disse «mi stai intorbidando l’acqua? Non vedi che sto bevendo?». L’agnello, che aveva capito l’antifona, gli risponde: «E come potrei intorbidarti l’acqua se essa scende proprio dalla tua parte in alto?». C’era del ragionevole nella risposta dell’agnello, per cui il lupo dovette cambiare pretesto: «Sarà, però so che sei mesi fa tu hai parlato male di me». Allora l’agnello disse: «Manco ero nato io, sei mesi fa!». «E allora sarà stato sicuro quel caprone di tuo padre a parlar male di me» gli rispose il lupo che aveva bisogno di una giustificazione per mangiarselo. E difatti se lo mangiò sul momento, ma non senza aver cercato prima – come si è visto – di farsi passare per vittima.
Duemila anni dopo, in un contesto che è quello del nostro ambiente, la favola si ripete. Un nostro amico – che ogni tanto ci segnala i fatti della vita (oltre a quelli che già sappiamo per conto nostro) – ci racconta (e l’ha già anche raccontata ovviamente ad altri) una storia vera.
«Una compagnia petrolifera, ora in lite giudiziaria con un proprio gestore» racconta il nostro «lo discriminava, e tutt’ora continua a farlo, sul prezzo di acquisto dei carburanti, in pratica lo ha messo completamente fuori mercato nei confronti della concorrenza locale, e fin qui “tutto bene”, ma la discriminazione vale anche verso gli altri impianti della compagnia, e mica cosina da poco: 10 centesimi al litro più dei colleghi e ben 16 più dei ghost con lo stesso marchio. Chiaro che le vendite sono drasticamente crollate, ben un milione di litri persi per strada. La compagnia petrolifera è andata a piangere miseria dal giudice lagnandosi che il comportamento del gestore ha gravemente compromesso la redditività dell’impianto».
Niente di nuovo, si dirà: è pari pari la vecchia storia del lupo e dell’agnello.Senonché il nostro scopre che alla versione dei giorni nostri della antica favola si aggiunge un ulteriore elemento: il lupo, oltretutto, aveva già mangiato quando ha attaccato lite con l’agnello.
Considerando che i prezzi di acquisto del prodotto li fissa l’azienda, e parimenti fissa quelli di vendita (prezzo consigliato, prezzo massimo), la compagnia ha realizzato su quei volumi a prezzi più elevati, margini corrispondentemente più elevati. Ed infatti il nostro favolista ha correttamente calcolato che l’ammontare del margine lordo realizzato dall’azienda sui pur ridotti quantitativi di quell’impianto – che il gestore avrebbe «sfasciato», e per la quale ragione è stato portato in giudizio – corrisponde nientemeno che all’ammontare del margine realizzabile in un impianto con volumi di vendita quasi doppi, se si parla di impianti dello stesso marchio, diciamo così, «non discriminati», corrisponde addirittura all’ammontare del margine realizzabile in un impianto con volumi di vendita tripli, se si parla di impianti ghost dello stesso marchio.
In sostanza, l’azienda vuole disfarsi del gestore e – considerando, come dice UP (si veda il primo articolo di questo stesso numero di Figisc Anisa News) che il medesimo è coperto da «ampissime garanzie» – lo mette fuori mercato con prezzi esorbitanti (con tutte le conseguenze economiche per la sua gestione), acconciandosi a perdere erogato consapevolmente, ma tuttavia realizzando margini n volte superiori a quelli ordinari e, infine, gli muove causa per un presunto danno che in ogni caso essa stessa ha generato.
Oltre alla antica favola di Fedro, in questa vicenda sembra appropriato anche di aggiungere un vecchio aneddoto dell’ambiente dei tribunali: un tale uccide il padre e la madre; preso e tradotto a processo, fa invocare (per lucrare il relativo sconto di pena) dal proprio avvocato l’attenuante di essere un povero «orfano».
La storia che abbiamo raccontato rimanda, ovviamente, al valore delle famose «eque condizioni», di cui alla legge 27/2012, che nel caso di fattispecie l’azienda ha invece reso studiatamente e particolarmente «inique».
Dicevamo, oltre un anno fa (nello studio «Eque condizioni»: un «caso di scuola» sulla discriminazione dei prezzi del 21 febbraio 2016) quanto segue:
<<Il «micro mercato», si può dire in due parole, è l’orizzonte concorrenziale del gestore, un orizzonte assai limitato territorialmente che si stende fin dove è possibile individuare le politiche commerciali dei competitori, comunque con un’ottica forzatamente di «vicinato».
L’azienda petrolifera, che opera su una scala complessiva di Paese o superiore, ha necessariamente una visione che trascende il «micro mercato» e la cui risultante non è esattamente la somma dei singoli micro mercati. Non si tratta semplicemente di un problema di «scala», cioè di «piccolo» e di «grande», ma di una diversa, estremamente significativa, diversificazione della gestione della distinta mission economica: la gestione singola, il punto vendita singolo, giocano le loro opportunità o scontano le loro limitazioni in un àmbito ristretto in cui si «decide» tutta la singola partita senza possibilità di compensazioni, l’azienda nazionale o multinazionale può compensare su diversi ed infiniti teatri risultati meno positivi che consegue nelle singole realtà di micro mercato con risultati positivi che consegue in altre, ed infine trarre un risultato generale. In altre parole, la compagnia petrolifera qua perde, là vince, e può trovare complessivamente un proprio equilibrio trovando corrispondenza tra aspettativa e risultato; il gestore vive o muore o sta in agonia solo nel suo micro mercato, ed in nessun modo può compensare una situazione preventivamente discriminante e di svantaggio. Per questa ragione, le sensibilità e le finalità – che solo apparentemente potrebbero sembrare comuni [vendere di più, marginare di più, acquisire quote di mercato] tra le due parti della filiera, il marchio petrolifero ed il suo gestore – sono invece estremamente diverse ed influenzate da variabili molteplici, oltre che dallo squilibrio strutturale del diverso ruolo delle parti nonché dell’orizzonte fisico-quantitativo nel quale cui operano.>>
In parole più semplici, se l’azienda è in grado di perdere erogati pur guadagnando in margine lordo unitario, se è in grado di differenziare i prezzi, e comunque di perdere e vincere potendo contare su migliaia di punti vendita su cui attuare politiche commerciali n volte mille diverse, su cui realizzare risultati n volte mille diversi, il gestore può contare invece su uno solo e su quest’unica possibilità non vi è altro dominus che la compagnia: essa decide a chi fornire il prodotto ed a quali condizioni, a qual prezzo fornirlo, essa decide a quale prezzo preferibilmente il prodotto dovrà essere venduto infine al consumatore finale e quale è il tetto massimo del prezzo di vendita.
E ciò rende assai labile pensare di trovare tutela nelle norme del settore. Vi è da augurarsi – ma doverselo augurare è, come abbiamo detto più volte, assai poco rassicurante – che chi deve giudicare di queste controversie tenga in debito conto queste due, tanto gigantesche quanto evidenti, sperequazioni tra gli attori in causa.
Paradossalmente, mentre vi è, ovviamente sul lato delle controparti dei gestori, chi punta il dito per intervenire sulla legge dei contratti – lo fa in questi giorni UNIONE PETROLIFERA dicendo che è ora di finirla con l’obbligo di tipizzare i contratti e che bisogna puntare alla trattativa individuale a senso unico -, dalla parte opposta nessuno (se si eccettuano le opinioni personali) ha sollevato l’esigenza di apportare modifiche a quella medesima legge né in generale, né in particolare sui contratti, né in particolare sulle condizioni di mercato cui si dovrebbero applicare le così dette «eque condizioni».
Eppure vi è stata in questi giorni una ampia ripresa delle iniziative delle Organizzazioni di categoria (dalla negoziazione straordinaria degli oneri negli accordi scaduti alla questione dei costi della moneta elettronica, dagli obblighi fiscali delle vending machine alle vertenze sui cocci della rete ESSO, per non parlare delle gravissime criticità aperte con tutte le aziende petrolifere, che vi siano o meno con esse accordi vigenti). Al di là di questo attivismo a 360 gradi, che produce sicuramente molte comunicazioni e prese di posizione, insomma molti spot, non sono ancora pienamente decifrabili – quantomeno a noi profani, s’intende! – tanto gli effetti che tutto questo potrà produrre, quanto il disegno generale verso cui si pensa di andare, mentre è chiarissimo che si mira quanto meno ad ottenere l’attenzione da un lato della parte industriale dall’altro della politica e/o delle istituzioni, sembra però ancora difficile – o quantomeno a noi profani, s’intende – intuire il disegno d’insieme.
Se si deve interessare la politica, dopo lunghissimi anni di crisi che ha dissestato economia, imprese e famiglie, è difficile pensare che questa categoria abbia più meriti, più rappresentatività o più potere contrattuale di tante altre parimenti disastrate per attirare l’attenzione se si tratta solo di aggiungere, ai tanti che tutti presentano, un ennesimo quaderno di lamentele e reclami.
Per interessare la politica con qualche (limitata) alea di riuscita bisognerebbe riuscire a proporre qualcosa che possa essere percepito come utile alla comunità in quanto innovativo: 1) ad esempio, ammodernare le relazioni commerciali all’interno di questo settore, renderle conformi a quanto succede nel resto del mondo del commercio, significa – senza rubare nulla a nessuno – rendere più uniformi le condizioni di accesso al prodotto con un innegabile effetto sui prezzi al consumo; 2) ad esempio, il superamento del regime concessorio in autostrada per la parte che consente di lucrare rendite parassitarie su beni e servizi rimuoverebbe un macigno che pesa sul principio costituzionale di offrire ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, con un ulteriore innegabile effetto sui prezzi; e via dicendo.
Bisognerebbe, cioè, dire cose diverse da quelle che non siano gli abusati richiami alla «specialità» di questo settore, che invece ha, più che mai, bisogno di «normalità» e regole ordinarie di buon mercato. Insomma, sarebbe il caso di cambiare paradigmi.
Più difficile è il rapporto con una parte industriale che è sempre più insofferente (e non si cura affatto di nasconderlo) dei riti della concertazione e che è invece occupata dagli scenari evolutivi del mercato, tra addii alla rete ed irruzione dei fondi di investimento – i quali, come scrive in questi giorni acutamente ULISSE-Riccardo PIUNTI, hanno come mission di «comprare a un prezzo particolarmente favorevole, attività in settori in crisi creando valore sin dall’inizio col prezzo basso di acquisto….» , insomma, nuovi entranti che «guarderanno al nostro business della distribuzione come una opportunità da cogliere nei momenti di bassa per poi rapidamente abbandonarlo» -, ma che, nonostante appunto più complesse preoccupazioni, non esita en passant a prendersela con le «ampissime garanzie» dei gestori.
E anche qui sarebbe il caso di cambiare paradigmi. Quegli stessi paradigmi per cui, in assenza di regole di mercato «normale» in questo settore «speciale», sono possibili, nello stesso tempo e luogo, sia le vacue norme piene di bei principi sulle «eque condizioni» (e, si noti, che per questo settore speciale si sono dovuti scrivere principi che sarebbero normali in un settore normale, il che è tutto dire), sia le versioni «speciali» della favola del lupo e dell’agnello di cui sopra abbiamo riferito.
Anche se non sembra ancora chiarissimo, come diceva Totò, il «per dove dobbiamo andare dove dobbiamo andare» – ossia le prospettive -, ed è magari più importante ora concentrarsi per dare l’impressione di essere sul pezzo – ossia fare molto movimento -, è senza dubbio probabile che molto presto le prospettive di fondo, le strategie, insomma, dovranno chiarirsi. Le Organizzazioni di categoria, infatti, con lettera del 23 febbraio, hanno chiesto al Segretario Generale del Ministero dello sviluppo economico – in qualità di «terminale di una filiera prima industriale e poi commerciale che viene considerata, a giusta ragione e a diversi titolo, strategica per il “sistema Paese” in generale e di precipuo interesse per il cittadino ed il consumatore» – di partecipare alle audizioni per la formulazione del Documento della Strategia Energetica Nazionale, «allo scopo di poter sottoporre analisi, scenari di prospettiva e progetti». [G.M.]