ACCORDI & DISACCORDI: PAROLE E SOSTANZA SULLE «EQUE CONDIZIONI»

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In questo articolo si parla di due cose: a) anzitutto del fatidico concetto normativo [è legge, infatti] di «eque condizioni», e, b) in seconda battuta di come ed in che misura questo concetto sia stato o non sia stato declinato negli accordi intercorsi di recente tra Compagnie petrolifere e gestori di marchio.

Cominciamo dall’argomento a), cioè del concetto di «eque condizioni», concetto assai altisonante ed invero «gradevole», che è stato introdotto nell’articolo 28, comma 12, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e successivamente modificato ed integrato per mezzo dell’articolo 17, comma 2, della legge 24 marzo 2012, n. 27, che dice testualmente che i «contratti …….. devono assicurare al gestore condizioni contrattuali eque e non discriminatorie per competere nel mercato di riferimento».

Tutto bene nell’enunciato, se non fosse che la norma non è chiarissima nell’estendere tale prescrizione normativa ai contratti «in genere»: i contratti di cui si parla, infatti – come recita testualmente la norma – sono i «nuovi contratti di cui al comma 12».

Ed i «nuovi contratti di cui al comma 12» sono quelli che così la stessa legge ancora descrive: « Fermo restando quanto disposto dal decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, e successive modificazioni, e dalla legge 5 marzo 2001, n. 57, in aggiunta agli attuali contratti di comodato e fornitura ovvero somministrazione possono essere adottate, alla scadenza dei contratti esistenti, o in qualunque momento con assenso delle parti, differenti tipologie contrattuali per l’affidamento e l’approvvigionamento degli impianti di distribuzione carburanti, nel rispetto delle normative nazionale e europea, e previa definizione negoziale di ciascuna tipologia mediante accordi sottoscritti tra organizzazioni di rappresentanza dei titolari di autorizzazione o concessione e dei gestori maggiormente rappresentative, depositati inizialmente presso il Ministero dello sviluppo economico entro il termine del 31 agosto 2012 e in caso di variazioni successive entro trenta giorni dalla loro sottoscrizione…………Tra le forme contrattuali di cui sopra potrà essere inclusa anche quella relativa a condizioni di vendita non in esclusiva relative ai gestori degli impianti per la distribuzione carburanti titolari della sola licenza di esercizio, purché comprendano adeguate condizioni economiche per la remunerazione degli investimenti e dell’uso del marchio».

L’interpretazione più auspicabile é che il concetto delle eque condizioni possa avere una valenza estensiva, onnicomprensiva, «coprendo» tutte le fattispecie contrattuali, «nuove» [«differenti tipologie contrattuali per l’affidamento e l’approvvigionamento degli impianti di distribuzione carburanti»] e «vecchie» [«attuali contratti di comodato e fornitura ovvero somministrazione»], ma rimane il dubbio tuttavia che il singolo giudice di turno possa interpretare restrittivamente l’efficacia della norma, e rimane il fatto che essa è redatta in maniera vagamente equivoca e, infine, resta il fatto che abbisognerebbe di una riscrittura inequivocabile.

La medesima legge, al medesimo articolo, ma al successivo comma 3, inserisce il concetto che «I comportamenti posti in essere dai titolari degli impianti ovvero dai fornitori allo scopo di ostacolare, impedire o limitare, in via di fatto o tramite previsioni contrattuali, le facoltà attribuite ……. al gestore integrano abuso di dipendenza economica, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192».

Anche in questo caso, tutto bene, se non che la norma parla di «facoltà attribuite dal presente articolo al gestore», e quindi non è propriamente un capolavoro di chiarezza,

a) perché si porta dietro le ambiguità di cui abbiamo detto appena più sopra a proposito degli accordi che copre o non copre il comma 12,

b) perché il concetto di «abuso di dipendenza economica», non costituendo affatto una novità in assoluto, nonché essendo norma precedente [legge del 1998], dovrebbe trovare applicazione anche in riferimento allo specifico settore della distribuzione carburanti e, per di più, in maniera «incondizionata», cioè indipendentemente dalle eventuali limitazioni poste in essere dai titolari degli impianti, ovvero dai fornitori, per limitare le facoltà date al gestore dal citato articolo 17.

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Al proposito è opportuno ricordare quella unica sentenza del Tribunale di Massa [si veda Figisc Anisa News n. 28 del 09.06.2014], sul contenzioso che opponeva alla SHELL un suo gestore che contestava il differenziale tra prezzo impostogli dall’azienda e quello sempre dall’azienda fatto praticare ad un vicino impianto AICO.

Il Tribunale ha asserito che la «rivendicata asserita libertà di Shell Italia di determinare, nei confronti del gestore, i prezzi dei carburanti, intesa come diritto contrattuale e libertà di mercato è sì un diritto indiscutibile, ma anche, per contro, un diritto circoscritto dai limiti imposti dalla legge, uno dei quali è appunto il divieto di abuso di dipendenza economica, e che il consistente squilibrio tra i prezzi imposti al gestore e quelli fatti praticare all’impianto Aico non è giustificato da alcuna particolare e dimostrabile ragione commerciale». Specificava altresì il Giudice che «il fatto che la compagnia abbia a suo vantaggio sia l’esclusiva di fornitura sia la possibilità di determinare il prezzo del gestore determina un evidente squilibrio nelle posizioni delle parti a favore di Shell nel senso che consente a quest’ultima di determinare pressoché unilateralmente ed arbitrariamente al gestore i prezzi di vendita dei carburanti un tanto integrando condizioni contrattuali……………… ingiustificatamente gravose o discriminatorie».

[Una situazione, quella delle condizioni contrattuali «gravose o discriminatorie», che è difficile non riconoscere come quella che contraddistingue pressoché tutte le relazioni Compagnie – Gestori, a cominciare dall’imposizione unilaterale di prezzi di cessione e di prezzi consigliati palesemente differenziati e discriminatori, nonché di prezzi massimi non superabili per vincolo economico-normativo………………]

E del resto la legge 18 giugno 1998, n. 192, articolo 9, così definisce testualmente l’abuso di dipendenza economica:

«1. É vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica é valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

2. L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.

3. Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica é nullo».

Vista così, la legge 27/2012 su questo punto – detto con chiarezza – non solo non dice nulla di più di quanto non fosse già detto [anche se «sembra» fornire un rafforzativo], non solo dunque non innova, ma persino, a voler pignolare, sottopone a condizioni specifiche, ingenerando forse dei dubbi interpretativi ed applicativi, delle tutele che prima erano inequivocabili e generali.

Venendo, invece, all’argomento b), cioè se e/o come le «eque condizioni» sono state recepite e declinate negli accordi, c’è intanto da premettere che di queste condizioni non si parla affatto né nell’accordo ESSO del 16.07.2014 né nell’accordo KUPIT del 14.04.2015.

A proposito di quest’ultimo, la questione è affrontata solamente nella dichiarazione a verbale integrativa fornita da FAIB, FEGICA e FIGISC [in sostanza un «parlare allo specchio», per quanto doveroso, di cui l’azienda ha solo accusato ricevuta e basta] le quali «chiariscono formalmente che in nessun caso i contenuti del suddetto Accordo potranno essere interpretabili ovvero utilizzabili per limitare, nei fatti, quanto disposto dal Legislatore comunitario e nazionale con l’adozione dei Regolamenti delle Leggi speciali di settore citati in premessa all’Accordo e, in particolare, per circoscrivere, restringere o condizionare in alcun modo l’obbligo assoluto che l’articolo 17 della legge 27/2012 impone al titolare di autorizzazione ovvero fornitore, vale a dire quello di garantire al gestore condizioni eque e non discriminatorie, sia in termini di prezzi di approvvigionamento che di prezzi di rivendita al pubblico, per competere nel mercato di riferimento».

Quanto all’accordo perfezionato con TOTALERG, in esso è presente la seguente formulazione [lettera d) delle Premesse]: «d) le relazioni tra TotalErg ed i Gestori sono improntate a condizioni di vendita eque e non discriminatorie, tenuto conto delle caratteristiche dell’impianto e delle condizioni competitive dell’area di mercato di riferimento», che sembra niente più che un «mezzo inchino» generico e frettoloso ad una specie di vecchia icòna cui si annette poca importanza e quindi poca fede e che è una versione depotenziata e sbiadita dello stesso passaggio contenuto nell’accordo ENI.

Perché la formulazione più complessa ed articolata di una specie di traccia delle «eque condizioni» va rintracciata proprio nell’accordo ENI del 19.12.2014, che, al punto 2.8 recita così: «Prezzo di cessione nel medesimo micro mercato di riferimento. Le Parti concordano che ENI venderà a ogni singolo Gestore, a condizioni eque e non discriminatorie, i carburanti in forza del contratto di fornitura in esclusiva, in funzione delle modalità di vendita [Servito o Iperself] nonché delle caratteristiche dell’Impianto e delle condizioni competitive del micro mercato di riferimento. In particolare, le Parti ritengono soddisfatta tale previsione ove al Gestore siano praticate, per la cessione di ciascun prodotto oggetto del contratto di fornitura in esclusiva, condizioni che consentano allo stesso di poter essere competitivo rispetto agli altri Impianti con le medesime specifiche sopra declinate».

Abbiamo già accennato, nello scorso numero di Figisc Anisa News, agli impianti con la «I maiuscola»: sono quelli, a norma delle Premesse dell’accordo, della «rete ordinaria a marchio eni/Agip con la presenza del Gestore [“Impianto/i”]», gli unici, cioè, per i quali vale il principio delle eque condizioni, avendo l’azienda tenuto a precisare con questa precisa simbologia [«I maiuscola»] che non rientrano nel confronto gli impianti con la «i minuscola», che sono ovviamente quelli degli altri marchi, quelli senza marchio o con marchio della grande distribuzione che ENI rifornisce dello stesso prodotto a prezzi di cessione straordinariamente inferiori, ed anche quelli a marchio ENI/Agip «senza» la presenza del Gestore, ossia «ghost» o gestiti direttamente od indirettamente. Tanto per essere chiari.

Ma anche limitando di molto il mercato, ossia restringendo l’applicabilità delle «eque condizioni» ai soli impianti a marchio ENI/Agip con la presenza del Gestore, si presentano almeno due interrogativi circa l’efficacia effettiva e non solo lontanamente astratta di questa clausola.

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Cos’è il «micro mercato» di riferimento? Scartato che si tratti di un concetto tratto dalle tecniche di marketing [il mercato si segmenta, si seziona tra macro e micro dal punto di vista dell’analisi della domanda, del consumatore differenziato, del prodotto o del servizio differenziato, ma nella distribuzione carburanti domanda, prodotto e servizio sono sempre quelli e non giustificano segmentazioni di mercato nel senso tecnico del termine], bisogna pensare che si tratti di un concetto territoriale, di un àmbito circoscritto della rete, geograficamente o commercialmente identificabile in un’area, in una distanza concentrica, o qualcosa del genere.

Peccato che non vi sia nessuna definizione particolareggiata – ma neppure generica – del così detto «micro mercato» [neppure desumibile per analogia] nella rete distributiva dei carburanti, talché né l’azienda lo ha definito, né il gestore sa dove cominci e dove finisca il suo micro mercato, né un giudice che dovesse eventualmente decidere di un contenzioso saprebbe [a meno che non sia a tempo perso un esperto di tecniche di geomarketing] da dove cominciare a mettere le mani.

Le «eque condizioni», inoltre, cioè la competitività deve essere misurata in relazione «agli altri Impianti con le medesime specifiche»……..Che significa? Che il confronto è ammissibile solo tra impianti esattamente sovrapponibili per modalità di servizio, potenzialità attrattiva, assetto, dimensione, allocazione entro quell’entità indefinita ed astratta che risponde al concetto di «micro mercato di riferimento»…Il che vuol dire inevitabilmente una parcellizzazione infinitesimale delle variabili di interfaccia degli impianti tra i quali è possibile instaurare un confronto sulle condizioni di competitività.

In buona sostanza [forse è una conclusione pessimistica] può accadere che siano confrontabili tra essi, forse – ma ad avere proprio decisamente fortuna –, due impianti alla volta, e sempre ammesso che ci si possa accordare sull’ambito territoriale [«micro mercato»]. Il che condiziona e riduce di molto sia la reale efficacia della clausola dell’accordo, sia l’insorgere di contenziosi per inosservanza sia della clausola sia della norma generale sulle «eque condizioni» che si possano fondatamente proporre ad un giudice. E sempre poi con la tara che al giudice mancano, per poca chiarezza della norma e per una ridondante nebulosità della clausola, strumenti oggettivi, chiari e facilmente utilizzabili per determinare torti e ragioni nonché per eventualmente quantificare i danni patiti.

[G.M.]

Nota informativa
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