CESSIONI SPEZZATINO: L’OPINIONE DELLO STUDIO SORRENTINO

In margine alle complesse vicende degli «spezzatini» ESSO e delle connesse questioni di ordine legale, discendenti dalla mancata applicazione da parte dei cessionari della continuità delle condizioni previste dagli accordi economici e normativo sottoscritti tra cedenti e gestori, riportiamo [per g.c.] un parere dell’Avvocato Bonaventura SORRENTINO, pubblicato alcuni giorni fa da STAFFETTA QUOTIDIANA, sotto il titolo «Carburanti, il nodo dei gestori nella cessione degli impianti “a pacchetti”»

«È ritenuto da più parti che i trasferimenti “a pacchetto” degli impianti da parte delle compagnie petrolifere ad aziende locali potrebbero, col tempo, dar vita ad un radicale cambiamento nella geografia commerciale del più ampio mercato dei carburanti, realizzando uno scenario diverso dall’attuale panorama della rete; se ciò accadrà, se e quanto proficuo sarà e per chi potrà esserlo, non è dato saperlo nell’immediatezza. Andranno infatti verificate l’influenza dei criteri di economicità della nuova gestione, le politiche di pricing verso il consumatore, così come le politiche commerciali del cessionario e così via.

La questione che invece lascia spazio a brevi considerazioni di diritto riguarda l’incidenza, sulla operazione di trasferimento, della tipologia contrattuale utilizzata a monte, che lega originariamente la compagnia petrolifera con il gestore ceduto, condizionando, a valle, la tipologia di accordo posto in essere con gli acquirenti; tutto ciò considerando che i trasferimenti degli impianti con i relativi gestori vengono definiti cessioni di aziende, fermi restando gli obblighi più o meno temporali, in capo al cessionario, di rifornirsi dalla compagnia e di usare i loghi della stessa.

Tali considerazioni di premessa, se sostenute da condizioni di tipicità previste dal codice civile, possono focalizzare con sufficiente chiarezza i rispettivi diritti ed obblighi contrattuali connessi al passaggio degli impianti, così come la piena linearità delle cessioni.

In sostanza è del tutto evidente che le tutele che ne derivano nonché i relativi diritti per entrambe le parti non possono non tener conto della corretta individuazione della tipologia e delle caratteristiche del rapporto originariamente stipulato con il gestore e soprattutto da una corretta regolamentazione contrattuale della cessione.

Così come non sembra possano esserci dubbi sulla legittimità della operazione societaria, che realizza palesemente una legittima riorganizzazione con un nuovo assetto operativo per il cedente ed una nuova pianificazione commerciale per il cessionario.

In sintesi e con specifico riferimento alla posizione dei gestori ceduti in quanto parte integrante della azienda, la questione di fondo inerisce dunque la regolamentazione contrattuale originaria tra questi ultimi e la compagnia, regolamentazione che, notoriamente, lascia zone grigie interpretative sulla tipologia e sui criteri di interpretazione dell’accordo, qualsiasi sia il tipo di contratto nominale applicato nei rapporti.

Sostanzialmente una indubbia importanza ricade sulla tipologia di contratto reale col gestore consentito, a prescindere dalla denominazione più o meno tipica.

D’altro canto se, come sembra, la cessione dei pacchetti di impianti si pone come cessione di singole aziende o di rami di azienda, si presumono almeno due condizioni: che ogni singolo impianto ceduto realizzi una azienda e dunque una soggettività “autonoma” nella piena capacità operativa, che si compone come parte essenziale di beni strumentali e personale; che la compagnia petrolifera cedente trasferisca i propri rami di azienda (impianti) ricevendone un corrispettivo, essendo garantiti diritti ed obblighi per i contraenti.

 

Se dovesse trattasi di una cessione di azienda “pura”, ci sono condizioni necessarie affinché possa configurarsi la piena validità ed efficacia delle operazioni di cessione.

Il principio di diritto enunciato da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 17366/2016) sul controverso tema della individuazione degli elementi necessari affinché possa configurarsi una valida operazione di cessione di ramo d’azienda e dunque ogni diritto ed onere connesso, ben si attaglia alle cessioni in questione ed è il seguente: “Costituisce elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda prevista dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti. Incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c. che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall’art. 1406 c.c., fornire la prova dell’esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l’operatività”.

Nel caso riportato nella sentenza, con la suddetta operazione venivano ceduti i dipendenti pertinenti al ramo d’azienda, i contratti ad esso inerenti, tutti i beni mobili non registrati di alcune sedi, inclusi arredi e sistemi operativi.

Rimaneva però escluso il trasferimento dei programmi e dei sistemi informatici della società cedente. Contestualmente le parti stipulavano un contratto per la fornitura, dal cessionario al cedente, dei servizi ceduti.

La Suprema Corte, confermando la pronuncia impugnata, ha ritenuto non valida l’operazione posta in essere tra le parti, in quanto priva di taluno degli elementi necessari caratterizzanti una valida operazione di cessione di ramo d’azienda, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c.

Per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte ha tenuto conto delle fonti comunitarie in materia (Direttiva Europea 12 marzo 2001, 2001/23/CE) e di alcune pronunce della Corte di Giustizia, rilevando come il criterio decisivo – per stabilire se sussista o meno un trasferimento nel senso indicato dalla richiamata Direttiva – è la conservazione dell’identità dell’entità produttiva, che si desume dal proseguimento effettivo della gestione o dalla sua ripresa e dunque dalle potenzialità di una autonoma operatività delle componenti essenziali dell’azienda, tra cui rientrano sicuramente i dipendenti.

Tale verifica, secondo i criteri comunitari, deve effettuarsi sul “complesso delle circostanze fattuali che caratterizzano l’operazione”.

La Cassazione conclude che, anche sulla scorta del nuovo testo dell’art. 2112 c.c. come novellato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32 (che ha mantenuto immutata la definizione di “trasferimento di parte dell’azienda” nella parte in cui essa è “intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”, con la soppressione dell’inciso “preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità” e l’aggiunta testuale “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”), l’autonomia funzionale del ramo d’azienda ceduto costituisce elemento costitutivo della fattispecie della cessione d’azienda, intesa come capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionali ed organizzativi.

 

La questione, riportata nella fattispecie in trattazione, riguarda dunque i componenti degli impianti ceduti e più specificamente se il gestore, componente necessario per la composizione delle aziende cedute, possa farvi parte come dipendente e dunque “asset” integrante e di disponibilità esclusiva delle compagnie cedenti, oppure se tale inclusione, per una diversa tipologia di rapporto con la compagnia cedente, possa ravvisare una forzatura negoziale.

Un elemento di analisi che potrebbe richiedere un approfondimento riguarda la sussistenza della necessità del consenso al trasferimento del gestore, nel caso in cui si dovesse ravvisare un rapporto diverso da quello di dipendente ed in ogni caso, in carenza di una regolamentazione espressa nel contratto originario con il gestore, si potrebbero forse rendere necessari accordi propedeutici alla cessione.

La Cassazione richiamata, nel rimettere al cedente e al cessionario di identificare il ramo d’azienda “al momento del trasferimento”, non può interpretarsi nel senso di demandare ai contraenti la qualificazione della porzione dell’azienda ceduta così come le tipologie di contratto coinvolte, così affidando all’autonomia privata l’applicazione della speciale disciplina dettata dall’art. 2112 c.c.

Secondo la Suprema Corte, il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente la funzione cui esso risultava finalizzato già prima della cessione, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario ed ovviamente senza forzature di alcun genere.

L’analisi circa la validità dell’operazione, quindi, non deve basarsi sull’organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi accordi, ma all’organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto.

La natura del rapporto originario tra la compagnia petrolifera ed il gestore ed in particolare se quest’ultimo possa realmente configurarsi comunque un mero “asset”, quale potrebbe essere quello dei dipendenti, oggetto della cessione oppure, avendo una propria autonomia di operatività, debba esserne invece escluso oppure farvi parte su base negoziale propedeutica con lo stesso, è il punto da chiarire; potendo forse, contrariamente, causare una carenza di rilievo per la cessione di azienda, ancor più se associato alla permanenza del logo la cui titolarità resta della compagnia ed all’obbligo di fornitura.

Tutto ciò ovviamente alla luce di considerazioni di principio che prescindono da norme e specifiche regolamentazioni, che comunque difficilmente possono derogarvi.

Una diversa chiave di lettura, con divergenti conclusioni, dovrebbe tener conto di una “unitarietà oggettiva” dei componenti i singoli rami di azienda ceduti, laddove la parte gestionale, legata imprescindibilmente a quella strumentale, hanno entrambe un identico indissolubile riferimento, facendo capo alla compagnia petrolifera cedente. Una questione sicuramente ancora aperta

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