ACCORDO ENI: PER RIPARTIRE DAL «PUNTO ZERO»

ACCORDO ENI: PER RIPARTIRE DAL «PUNTO ZERO»

Il 19 dicembre le organizzazioni di categoria hanno sottoscritto con ENI un nuovo accordo.

C’è voluto qualche giorno perché i suoi contenuti venissero diffusi – nonostante un vincolo di riservatezza difficile da osservare visto che riguarda migliaia di gestori ed addetti aziendali – ed ora si va al confronto nelle assemblee sul territorio ed al vaglio degli organismi delle varie organizzazioni [il 14 vi sarà il Comitato nazionale di colore FIGISC (poi l’accordo andrà al Consiglio nazionale), il 15 la Giunta FAIB, il 21 il Consiglio Nazionale FEGICA].

L’accordo precedente era scaduto il 31 dicembre 2011: ci sono voluti tre anni di complicate trattative a singhiozzo per chiuderne un altro. E già questo la dice lunga sulla difficoltà di trattare e soprattutto sulle possibilità di contrarre contenuti accettabili.

Per poter esprimere giudizi equilibrati su questo accordo bisogna per forza partire da dove si era arrivati in questi ultimi anni, una situazione che riassumiamo in breve perché senza questo ripasso si rischia solo di semplificare e fraintendere.

Basti ricordare alcuni dei passaggi con cui l’azienda si era mossa verso i propri gestori: prima sono apparsi i cluster – invenzione che ha penalizzato e discriminato sul territorio le gestioni nello stesso bacino di utenza -, poi è partita l’esasperazione della logica del prezzo con il raddoppio degli sconti Iperself, la discesa one to one su ogni singola gestione per derogare le condizioni stabilite con gli accordi collettivi, l’accentuazione delle differenze del prezzo di cessione tra rete di marchio ed extrarete, la sistematica decurtazione del margine nella cosiddetta «difesa mercato», l’invenzione di Iperself H24, gli scontoni estivi, l’elusione dei contratti di legge con le varie proposte di guardianìa o di appalto di servizi ed altro [qualcuno si ricorderà quando qualche dirigente sosteneva che la giusta remunerazione del gestore erano 12mila euro per milione di litri], la resistenza a non voler trattare altri accordi, la delegittimazione della rappresentanza collettiva [e qualcuno si ricorderà che l’allora AD di ENI disse che era assurdo che i benzinai fossero sindacalizzati], l’avventura dei ghost affidati agli agenti del marchio, l’abbandono di una politica di gestione razionale della rete e persino delle strutture.

Se questo sia avvenuto «per colpa del Sindacato» è un esercizio inutile e anch’esso fuorviante, che magari può accontentare quelli che la sanno sempre lunga e soprattutto quelli che non hanno mai dovuto assumersi l’onere di dover fare qualcosa o ancora quelli che si limitano agli insulti: la realtà è che questo settore – e quindi non solo di ENI si parla, ma dell’industria petrolifera in genere – ha ritenuto per anni di fare il peggio di quel che voleva, scaricando tutto sul gestore, esasperando il conflitto sociale ed economico ed approfittando dell’assoluto silenzio o della complicità della politica e delle authority del mercato, con una convergenza di interessi e di impostazioni coalizzate contro la parte più debole della filiera. Se si perde il senso della crudezza di questo scontro e della sproporzione tra le parti in causa, è difficile fare analisi un minimo equilibrate.

E d’altra parte va detto che ogni solidarietà tra la categoria è stata fatta a pezzi dall’azione ficcante e crescente delle aziende per esasperare la ricerca individuale di soluzioni e l’idea fallace di cavarsela da soli, per instillare la sfiducia nella rappresentanza e nella comune ricerca di soluzioni. Lo dicono i numeri delle migliaia di gestioni che via via hanno crescentemente aderito a tutte le politiche commerciali di prezzo imposte da questa ed altre aziende. E su questo va anche detto che non è un modo per scaricare le colpe: non di vere e proprie scelte individuali si è trattato, quanto di necessità individuali scaturite dalla pressione sopportata direttamente dal potere delle aziende, dall’esplodere più di sempre delle difficoltà e della dipendenza economica, tanto più crescenti da un lato quanto più dall’altro – sempre ad opera delle aziende – veniva pervicacemente smantellato e vanificato il ruolo della rappresentanza.

Si era raggiunto, dunque, una specie di «punto zero» nello stato delle relazioni e dei rapporti in questo settore ed in questa, esattamente come nelle altre, aziende.

Questo accordo – ed è questa la domanda da farsi – è qualcosa di diverso dal «punto zero»?

Intanto, il punto di caduta, il risultato finale di questo accordo è certo diverso da quello che le organizzazioni hanno sempre tentato di ottenere in questi anni di trattativa, nella quale si è fatto ogni sforzo possibile per toccare i punti fondamentali: non solo l’aspetto economico, ma le questioni della discriminazione dei prezzi nel marchio e fuori dal marchio, nella rete e nell’extrarete, l’abbandono delle condotte aziendali di premere su ogni singolo gestore per derogare dagli accordi collettivi, il contrasto alle politiche di ghostizzazione della rete, tanto per citarne alcune.

I risultati sono inferiori alle aspettative – ma solo trattando con se stessi, purtroppo, si raggiungono le aspettative, non così quando si ha a che fare con un interlocutore -, pure il fatto che l’azienda – non senza resistenze e non senza visioni interne molto diverse circa il fatto di raggiungere ovvero rifiutare ogni accordo – abbia accettato alla fine di inserire in esso alcune questioni fondamentali significa che c’è un segnale in controtendenza al «punto zero».

Ci si riferisce ad alcuni passaggi dell’accordo, che qui citiamo sinteticamente:

– semplificazione dell’offerta commerciale attraverso la presenza del gestore ed offerta durante il normale orario di apertura, al massimo di due modalità di vendita (viene cioè a cessare la modalità Iperself h24 ritornando alla situazione antecedente con l’erogazione personale del gestore, dei suoi dipendenti o collaboratori e/o con l’utilizzo delle attrezzature self service post pagamento nell’orario diurno e con l’attivazione delle attrezzature pre-pagamento esclusivamente in orario di chiusura dell’impianto);

– cessazione del concetto di «sconto» quale attrattiva e pubblicizzazione delle diverse modalità di rifornimento con l’introduzione del metodo di scelta dell’erogazione del carburante da parte dell’utente relazionata unicamente alla prestazione di servizio ed al prezzo del carburante;

– cessione del prodotto da parte di ENI al gestore a condizioni economiche eque e non discriminatorie, nella fattispecie tali da consentirgli di essere nel micro mercato di riferimento competitivo rispetto agli altri impianti (dizione che recepisce letteralmente la norma di legge dando forza ed efficacia all’imperativa esigenza posta a base della trattativa di colore dalle organizzazioni di categoria);

– reintegrazione delle condizioni generali della produttività e della remuneratività tali da superare l’attuale fase di emergenza;

– adozione di interventi tecnici atti a garantire la conversione di tutti gli impianti nel segmento misto, mediante scelta operativa delle attrezzature da utilizzare per la vendita in modalità Servito ed Iperself (il vecchio Fai da Te) di comune accordo tra gestore ed azienda;

– sospensione della possibilità da parte di ENI di applicare la clausola di recesso anticipato a titolo oneroso sino al 2017 con riferimento al biennio antecedente;

– salvaguardia di tutti gli accordi aziendali precedenti, per le parti non sostituite o modificate dalla presente intesa;

– risoluzione di tutti gli accordi di adesione individuale all’iniziativa Iperself H24 sottoscritti tra azienda e singolo gestore;

– condivisione di un calendario di incontri a livello tecnico per affrontare le problematiche inerenti i cali e connesse procedure di scarico dei carburanti, drop, fidejussioni, sintesi in un testo unico di tutti gli accordi di colore in essere, ecc.

Questi contenuti dell’accordo – che magari qualcuno potrebbe superficialmente giudicare come generici e solo teorici – sono in realtà qualcosa di diverso rispetto a ciò che l’azienda ha negli ultimi anni sistematicamente detto, perseguito e fatto: un primo segnale di distacco, certo tutto da verificare e contendere ogni giorno su ogni piazzale!, da quel «punto zero» o «buco nero» in cui si erano avvitati i rapporti con ENI e che purtroppo ancora contraddistinguono altre realtà aziendali, e un segnale che anche la solidarietà tra i gestori del marchio – rimuovendo le ragioni di contrasto più aspre – può con pazienza essere ricostruita.

Questa è la ragione – dopo che mille volte durante la trattativa i negoziatori dei gestori sono stati tentati di mandare il tavolo a gambe all’aria – che ha indotto a mettere una firma sotto quell’accordo: un segnale di discontinuità, un segnale rivolto anche al resto delle aziende per invertire la deriva, nella convinzione che più che mai nella situazione in cui si era arrivati un accordo è la scelta meno peggiore che si può fare rispetto a nessun accordo di sorta, al lasciare che tutto vada al diavolo ancor più di quanto non sia già andato.

Un punto di partenza, non un punto di arrivo.

Un punto di partenza perché questo accordo – come tutti, ma più ancora di sempre – va fatto osservare e rispettare nei fatti concreti con tutta la forza che ancora si può esercitare, e perché comunque gli accordi sono uno strumento che può essere fatto anche valere nelle sedi cui bisogna rivolgersi quando una delle parti diventa elusiva od inadempiente; perché contribuisce a scalfire il muro di diniego a trattare che contraddistingue altre realtà aziendali di questo settore; perché alcuni dei contenuti puntano diritto alla sostanza dei problemi veri del settore – che vanno ben al di là dello steccato aziendale -: la discriminazione dei prezzi, una politica commerciale più attenta al servizio, un riposizionamento del gestore.

Un punto di partenza che contribuisce a scalfire quel modello «ideologico» del rifiuto a trattare e della visione del prezzo e della rete che in questi anni è stato l’unico a tener banco nel settore.

Questo è il valore – certo non facilmente percepibile a chi soffre quotidianamente – di questo accordo, che non può certo essere venduto come una vittoria, ma neppure liquidato sommariamente come l’ennesima «fregatura».

Certo aver raggiunto un accordo con un’azienda – anche se si tratta del leader di mercato – non significa affatto aver raggiunto la «pace sociale» in questo settore, non fa venir meno in alcun modo la necessità per le organizzazioni di mobilitarsi per affrontare i nodi cruciali del settore e del mercato, in primo luogo la discriminazione dei prezzi tra rete ed extrarete, ingiustificabile sul piano dei costi e degli investimenti delle parti, l’eccesso della fiscalità sui carburanti [i prezzi diminuiscono perché il mercato è in discesa, le imposte non calano e nuovi balzelli minacciano il medio termine], i tentativi di azzerare la rappresentanza dei gestori e di metterli da soli di fronte alla controparte, l’evoluzione delle forme contrattuali, né per ricostruire faticosamente un ruolo di rappresentanza reale degli operatori che stanno da questa parte della filiera.

Più che mai resta necessario «darsi una mossa».

Nota informativa
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