CANTARELLI, ANISA: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

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C’è in autostrada una vertenza aperta sin dalla primavera 2012. A quattro anni e mezzo di distanza, l’emergenza più evidente è che pressoché nulla è, non solo stato risolto, ma neppure, quanto meno, sono stati imboccati percorsi idonei a riportare un assetto più «normale» o meno conflittuale.

Ad inizio vertenza, la categoria aveva posto questioni vitali – quali, ad esempio, l’ingiustificata disparità dei prezzi in un regime di mercato relativamente omogeneo sul piano degli assetti e dei costi (tornerò di seguito sull’argomento), il peso delle royalty nel regime di sub concessione, la ridefinizione dei livelli e costi del servizio – che,

a) o si sono ulteriormente aggravate, come le differenze dei prezzi (raddoppiate rispetto ai livelli denunciati quattro anni fa),

b) o sono state distorte (la ridefinizione dei livelli di servizio, ad esempio, diventa una spinta alla ghostizzazione strisciante),

c) o sono diventate persino oggetto di appropriazione – indebita – da parte delle compagnie petrolifere (che avendo ottenuto una prima revisione in riduzione della componente delle royalty se la sono intascata senza alcuna ricaduta né sulla categoria né sui prezzi),

d) o, come la necessità di razionalizzare la rete, hanno dato il destro ad una spartizione delle aree di interesse non più primarie per le compagnie ed alla loro propensione all’abbandono del comparto (con la semplice assegnazione di oltre un quarto della rete ai gruppi della grande ristorazione organizzata).

Né a queste distorsioni hanno posto argine i pressoché ininterrotti tavoli di concertazione, generali o particolari, tecnici o politici che siano, non dapprima gli atti di indirizzo, non poi persino i decreti.

A distanza di un anno abbondante dal decreto del 7 agosto 2015, ad esempio e come si vede dalle numerose note inviate in tal senso a controparti e ministeri, sono ancora aperti i nodi, si noti, delle «interpretazioni autentiche» della norma in merito a come intendere / applicare nodi aperti come la continuità gestionale piuttosto che gli indennizzi ai gestori in uscita, i contratti, le modalità di servizio, le attività non oil fuori dal regime di subconcessione. Intanto i bandi per le assegnazioni dei servizi sono andati avanti in maniera autoreferenziale – con una gestione che definire «opaca» è eufemistico – giusto per mandare avanti le cose come se crisi del comparto non ci fosse o le parti interessate avessero già trovato la quadra sottobanco.

Da quando è cominciata la vertenza le vendite di carburanti in autostrada sono diminuite (dati 2016 vs/ 2011) di ben 46,2 punti percentuali – e, per ovviare ad inutili obiezioni avverse invocando la crisi economica, evidenzio che in rete ordinaria, esattamente nello stesso tempo, sono diminuite tra due e mezzo e tre volte di meno (-17,9 %) e che i volumi di traffico in autostrada sono pressoché immutati (+0,3 %) -, sono calati del 25 % i volumi d’affari delle attività di ristorazione, le gestioni di AdS in default tecnico (sotto soglia di sostenibilità economica) sono passate da un terzo dell’intera rete – come denunciavamo a febbraio del 2012 su questo stesso notiziario – a poco meno di due terzi.

I prezzi in autostrada sono scandalosamente elevati per effetto delle politiche di pricing aziendali in generale (e cresce nel contempo continuamente il delta selfservito) e del complessivo livello di conflittualità sul «prezzo massimo», al cui superamento i gestori hanno dovuto contro volontà fare ricorso per arginare le emorragie dovute a quello stesso pricing delle compagnie ed alla cui mossa queste ultime hanno risposto non già rimuovendo le cause scatenanti, bensì ritorsivamente, disdicendo accordi ed aumentando ancora i prezzi, in un loop malefico che amplifica ancor più l’incessante deriva del comparto.

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Gli accordi non si rinnovano per diverse ragioni – anche perché non ci sono risorse se non ci sono volumi -, per cui le aziende preferiscono o continuare a trascinare lo stato di fatto o, ancor più prevedibilmente, brigare per trovare soluzioni al di fuori dei quadri normativi esistenti, come ben esemplifica la vicenda Q8 in materia di contratto di commissione, in cui, per aggirare il rischio del superamento del prezzo massimo, si intende cambiare il titolo di proprietà del prodotto, togliendolo al gestore, con un colpo di mano giocato sul ricatto di non riconoscere la continuità gestionale in caso di rifiuto del gestore stesso. Oppure si sperimentano forme di scambio che ricordano assai da vicino quanto avveniva ed avviene ancora – sia pure con minore diffusione – nella rete ordinaria: concedo a te gestore un prezzo più competitivo se mi restituisci una parte di margine (che, per inciso, è già largamente insufficiente a quadrare i conti della gestione!).

In questo contesto così degradato, sembra quindi maturare, con l’«incursione» non casuale di una primaria compagnia come Q8, il problema dei nuovi (si fa per dire) contratti. E su questo c’è da fare una prima considerazione.

La continuità gestionale, intesa come la automatica vigenza novennale dell’affidamento in comodato dell’impianto e fornitura esclusiva anche in caso di affidamento ad altro subconcessionario del servizio, è una questione che si trascina dalla privatizzazione delle autostrade e che ha retto, non senza traballare, sin dagli accordi tra gestori, UP, Ministeri e Concessionari, del 2001-2002. Essa ha – come del resto lo stesso strumento contrattuale nella rete ordinaria, sia pure con le particolarità che in autostrada ci sono e nella rete ordinaria no – garantito ai gestori la permanenza nella conduzione degli impianti, svincolandola dalla mutabilità della compagnia per effetto dei bandi, e tutto questo è andato bene finché il comparto funzionava. La continuità gestionale di cui si parla nel decreto del 07.08.2015 è cosa diversa: essa ha effetto per una volta sola, ossia è salvaguardata per l’ultima volta. Poi…si cambia, si vedrà, ecc.

Ecco che l’operazione che sta tentando Q8 è una specie di «anticipazione» del «come si vedrà». Né sarà probabilmente l’unica variante delle compagnie sul tema, sempre ammesso che negli anni a venire abbiano ancora qualche residuo interesse a restare nel comparto, considerando che stanno fuggendo dal mercato nazionale, anche di rete ordinaria, o «terziarizzando» e, comunque, che il processo di assimilazione alla rete ordinaria è già cominciato proprio con le misure del decreto in materia di «ristrutturazione», che poi si riduce alla regalìa di un quarto delle AdS alla ristorazione.

Siamo quindi di fronte ad un primo assalto alle «certezze» che finora hanno caratterizzato il quadro nel comparto, e non parlo certo delle certezze del mercato, già svanite da tempo con la consunzione degli erogati ed il dissesto dei conti delle gestioni, ma del contesto di relazioni contrattuali formali aziende-gestori. Non v’è ragione di rifiutare pregiudizialmente un confronto sui contratti – una cosa da tempo assolutamente necessaria (e in verità persino tardiva), ad esempio, nella rete ordinaria – e prova ne sia che, anche nella diffida inviata a Q8 le Organizzazioni di categoria dei gestori autostradali hanno riaffermato «il loro pieno interesse e massimo impegno a definire in sede negoziale…in esecuzione e nel rispetto della legge, un modello di contratto di commissione». Ma…

Ma nel comparto autostradale, sia per la sua specificità di mercato imperfetto, sia per la velocità di peggioramento della situazione, sia per la partita ancora aperta sulla applicazione del decreto, sono suggeribili alcune cautele, che mi provo a riassumere:

a) una partita sui contratti può aprirsi solo «dopo» la definizione dei nodi ancora irrisolti sul decreto (e ricordo che, per sospendere lo sciopero di settembre, abbiamo dato un mese di tempo per trovarne la quadra), tra cui quello della continuità gestionale legata ai contratti in essere e non solo alla continuità in senso generico e teorico: negoziare qualcosa senza aver messo un punto fermo su questo è prematuro, e forse per questo c’è chi tenta con un colpo di mano di spostare l’asticella più in basso;

b) la questione dei modelli contrattuali non è la foglia di fico per non affrontare quella, realmente vitale, del pricing in autostrada e del tracollo delle vendite, quasi che bastasse cambiare un contratto o prendersi la proprietà della merce per risolvere d’un tratto la crisi del sistema continuando a lasciare tutto il resto come sta;

c) non è detto né che esista una variabile unica sostitutiva ai contratti in essere (commissione che si sostituisce alla fornitura in esclusiva), né che essa sia generalizzabile a tutte le gestioni.

Ed un’ultima cosa ci sarebbe da dire in margine alla vicenda. In autostrada la concessione ai privati ha consentito di utilizzare il bene pubblico per incentivare, in un mercato parzialmente protetto e drogato dalla particolarità del regime di concessione, un meccanismo di rendite (e, si noti, anche su investimenti altrui) che hanno influito nel tempo sempre negativamente sulla competitività, circostanza alla quale ora si vorrebbe mettere rimedio con il peggioramento dei servizi, lo «spezzatino» degli assetti, infine con la dismissione e la fuga, mantenendo, nel tempo stesso, una difesa della logica delle rendite stesse.

Ma davvero ha ancora senso continuare a gestire in regime di concessione anche quei servizi accessori, come distributori di carburanti o attività di somministrazione, che dovrebbero essere ricondotti, valutati e rimessi in competizione dentro logiche «normali», ossia di ordinario mercato?

Stefano CANTARELLI

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