MICHELI FIGISC: DAI FATTI DI VICENZA UN SEGNALE PER TUTTI

MICHELI FIGISC: DAI FATTI DI VICENZA UN SEGNALE PER TUTTI

Quanto è accaduto a Vicenza – al di fuori di ogni strumentalizzazione e di ogni tesi non equilibrata – è l’ennesimo segnale di uno stato di malessere economico e sociale in cui è molto delicato il nesso tra i diritti a vivere e lavorare ed il grado di tutela di tali diritti che sono tra quelli fondamentali di ogni persona in uno Stato che sia tale per i suoi cittadini.

Una persona, un nostro Collega – che ha conosciuto a proprie spese la criminalità che affligge il settore -, vede che è in corso un vero e proprio attacco da commando ad un esercizio commerciale ed interviene attivamente a difesa del personale del negozio attaccato. L’epilogo è tragico: uno dei rapinatori rimane ucciso ed il Collega si trova incriminato per il suo gesto.

Questi i fatti e questo l’ordinamento legale della Repubblica.

Al contesto dei fatti ed dell’ordinamento legale si aggiunga quel che sottolinea il Presidente di FIGISC Vicenza: «se delinquenti con alle spalle gravi fatti di criminalità sono liberi di partecipare ad una rapina a mano armata, c’è molto da cambiare anche nelle nostre leggi e nel funzionamento dell’apparato giudiziario».

Crisi economica e senso di insicurezza forse non giustificano il ricorso alla giustizia privata, ma ne rendono comprensibile il contesto: se ti portano via [o se lo vedi portare via ad un collega] i soldi che servono per pagare la merce, i dipendenti, il tuo lavoro, le tasse per lo Stato, che te lo portano via anche mettendo a repentaglio la tua vita o quella dei tuoi familiari e collaboratori, e poi sai che o c’è una sostanziale impunità, ovvero che se preso il rapinatore è messo a piede libero poco dopo, tu che stai lavorando per vivere perdi le sicurezze fondamentali dell’individuo e dubiti che qualcuno più in alto nell’organizzazione sociale sia in grado di tutelarti.

E se questo sta diventando un sentimento diffuso nella precarietà dei tempi della crisi è cosa su cui tutti devono riflettere, perché la violenza impunita non diventi l’esempio su cui rapportarsi nelle relazioni con il resto del mondo attorno a noi.

Così come è da riflettere sul rischio che se lo Stato non riesce a tutelare a sufficienza, sarà difficile arrestare il senso di sfiducia del comune cittadino – quello che non delinque e subisce tutto – nello Stato di diritto, spingendolo a pensare che allora – come accade a torto o a ragione in altre realtà del mondo civile e democratico – difendersi da soli è una buona regola, sia pure con tutti i rischi devastanti che ciò comporta.

Non è affatto un ragionamento sui massimi sistemi, anche perché dal malessere sociale della crisi non si può che assistere ad una progressione di questi fatti: al moltiplicarsi degli episodi di criminalità ed al loro incattivimento non può che derivarne maggiore insicurezza e più ampi varchi alla ricerca di qualcosa che possa compensare il vuoto di tutela.

Nel nostro settore, quasi ogni gestore nella sua esperienza professionale nel proprio impianto ha conosciuto fatti di criminalità o micro delinquenza, collettivi od individuali. Quando li subisce sono finalizzati alla rapina del contante che gira sul distributore [anche se i rapinatori ora attaccano anche gli accettatori automatici]: di quel contante, tanto o poco, solo il due per cento sono soldi del gestore, il novantotto per cento sono i soldi che vanno al fornitore per pagare il prodotto e di questi oltre il sessanta per cento allo Stato sotto forma di imposte. Dopo qualche rapina le assicurazioni o alzano spaventosamente i premi o rifiutano di assicurare il gestore che, col suo due per cento, deve anche curarsi del danno per la compagnia e per lo Stato!

Un anno fa le Organizzazioni di categoria hanno ri-chiesto [non era la prima volta, cioè, e la cosa è stata posta anche nelle trattative per i rinnovi degli accordi con le petrolifere] al tavolo ministeriale poche cose: costi sostenibili delle transazioni in moneta elettronica, videosorveglianza, copertura assicurativa [adesso lo abbiamo riscritto al Ministero!].

È passato invano un anno: sui costi sulla moneta elettronica sappiamo tutti cosa se ne è fatto [e abbiamo dovuto ricorrere in sede europea], sulle altre due richieste le controparti si sono dileguate, come se la sicurezza delle persone, dei valori, degli impianti, fosse cosa solo di altri, ossia che la rapina e magari l’omicidio siano parte del rischio d’impresa del gestore, quello stesso del due per cento, quello stesso cui lo stesso fornitore fa concorrenza letale svendendo prodotto alla rete bianca, ecc.

Si sono chieste cose pratiche, concrete, che, pur non eliminando certo alcuni rischi, ne riducono almeno un po’ altri, consentono di limitare l’attrazione dell’impianto rispetto all’impresa criminosa, coprono il danno economico riducendo comportamenti difensivi pericolosi, consentono la tracciabilità del delinquente. Niente è stato accordato, costruito, ricercato….

È solo un esempio, s’intende: senza neppure parlare di massimi sistemi [lo Stato ed il cittadino, la difesa individuale, le leggi svuota carceri piuttosto che l’incertezza della pena, ecc.], neppure le vie di mezzo di buon senso si sono messe in cantiere.

Se allora qualcuno si sente smarrito contro la delinquenza [e ciò non è certo in alcun modo colpa delle forze dell’ordine che fanno più di quello che possono con i mezzi che hanno a disposizione] e reagisce, ciò non costituisce certo – per i rischi che comporta una generalizzazione di questo comportamento – un esempio da seguire, ma certo è purtroppo comprensibile nella durezza dei tempi che viviamo. Ed è per questo che – in tutta la complessità del caso e dei temi che solleva – non possiamo almeno non essere solidali con lui.

MAURIZIO MICHELI – Presidente Nazionale FIGISC

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